Pagine Esteri – Nelle scorse ore è aumentato il bilancio delle vittime palestinesi causate dalla tempesta Byron. Le forti piogge hanno letteralmente sommerso di acqua – spesso contaminata, vista la distruzione degli impianti fognari – le tendopoli in cui sono ammassati centinaia di migliaia di abitanti di Gaza sopravvissuti a due anni di devastanti bombardamenti.

Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) delle Nazioni Unite sarebbero circa 800 mila gli sfollati investiti dalle conseguenze delle alluvioni. Le violente raffiche di vento hanno letteralmente spazzato via decine di migliaia di tende e ripari di fortuna e causato il crollo di una quindicina di edifici già compromessi dai bombardamenti.

Secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa, sono almeno 14 le persone morte nelle ultime 24 ore a causa della tempesta: tre bambini (uno di nove anni, uno di otto mesi e una neonata) sono morti per ipotermia; sei persone sono morte nel crollo di una casa nella zona di Bir al-Naaja, nel nord di Gaza; altre due sono morte per il crollo di un muro nel quartiere di al-Rimal a Gaza City; un’altra è morta nel campo profughi di Shati, sempre a causa del crollo di un muro.

A fronte di questa situazione Jonathan Fowler, portavoce dell’Unwra (l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi), ha denunciato da Amman che gli aiuti destinati ad oltre un milione di persone sono bloccati fuori da Gaza perché Israele ne impedisce l’ingresso.
Fowler ha aggiunto che le squadre di soccorso sul campo stanno facendo tutto il possibile con le poche attrezzature che hanno a disposizione cercando di svuotare i laghi formati dalle acque reflue non trattate che si formano nei crateri degli edifici e delle infrastrutture distrutte.
Secondo Fowler, Israele impedisce addirittura l’ingresso delle aste di supporto per le tende, sostenendo che potrebbero essere usate per non meglio precisati scopi militari.

«I palestinesi stanno camminando e vivendo tra liquami, fango e detriti (…). Le autorità israeliane continuano a bloccare l’ingresso di materiali di base per rifugi, carburante e infrastrutture idriche, esponendo le persone a danni del tutto evitabili. Quando l’accesso viene negato, le tempeste diventano mortali. Questa sofferenza è causata dalla politica, non dalle condizioni meteorologiche», ha denunciato Bushra Khalidi, responsabile di Oxfam nei territori palestinesi occupati.

Ieri l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato a stragrande maggioranza per sostenere il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia (ICJ) secondo cui lo “stato ebraico” ha l’obbligo di consentire l’ingresso degli aiuti a Gaza tramite le agenzie delle Nazioni Unite, tra cui l’UNRWA. A favore della risoluzione hanno votato i rappresentanti di 139 paesi, mentre 19 si sono astenuti (tra questi l’Ucraina) e 12 hanno votato contro. Tra questi ultimi figurano ovviamente Israele e gli Stati Uniti, ma anche l’Ungheria di Orban e l’Argentina di Milei, oltre alla Bolivia e al Paraguay.

Già ad ottobre la Corte aveva stabilito che il divieto imposto da Israele al principale ente assistenziale umanitario delle Nazioni Unite per i palestinesi e le restrizioni imposte agli aiuti destinati a Gaza e alla Cisgiordania erano incompatibili con il diritto internazionale. Anche in quel caso Israele, Stati Uniti e Ungheria hanno contestato l’opinione dei giudici dell’Aia, sostenendo che gli obblighi previsti dal diritto internazionale umanitario debbano passare in secondo piano di fronte alle necessità militari e di sicurezza della potenza occupante, argomentazioni che la Corte ha respinto.

Il capo dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha accolto con favore il risultato della votazione di ieri sostenendo che essa smentisce le accuse di Israele «secondo cui l’Unrwa sarebbe infiltrata da Hamas o (,,,) non sarebbe un’organizzazione neutrale».

Ma nonostante la liquidazione nelle scorse settimane della “Gaza Humanitarian Foundation” – un’agenzia privata inventata da Washington e da Israele per distribuire i pochi aiuti consentiti alla popolazione di Gaza – le autorità occupanti, in mancanza di efficaci meccanismi sanzionatori da parte dell’ONU e dei paesi che ne fanno parte, continuano a impedire le attività dell’Unrwa.

Già durante l’amministrazione Biden gli Stati Uniti avevano interrotto i finanziamenti all’agenzia dell’ONU dopo che Israele aveva accusato alcuni membri del suo staff di aver partecipato all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.

Dopo l’insediamento di Donald Trump, poi, Washington ha interrotto ogni collaborazione con il segretario di Stato Marco Rubio che nell’ottobre scorso l’ha definita “una succursale di Hamas”.

Come se non bastasse, nei giorni scorsi l’agenzia Reuters ha riferito che gli Stati Uniti stanno valutando l’ipotesi di imporre sanzioni all’UNRWA dichiarandola “organizzazione terroristica straniera”. Ciò impedirebbero all’organizzazione di realizzare transazioni bancarie in dollari. Le sanzioni allo studio impedirebbero di trasferire le donazioni dei contribuenti statunitensi verso i centri operativi dell’ente in Medio Oriente.

Israele ha voluto dare un ennesimo segnale quando, nei giorni scorsi, un raid militare ha preso di mira la sede dell’Agenzia dell’ONU a Gerusalemme Est e la bandiera dell’UNRWA è stata sostituita con quella con la stella di David.

Intanto il bilancio ufficiale delle vittime a Gaza dal 7 ottobre del 2023 ha raggiunto quota 70.160 morti e 171 mila feriti. Un quarto di questi, secondo un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha riportato lesioni gravi tra cui amputazioni, ustioni, lesioni del midollo spinale e danni cerebrali.

In totale, prendendo come base il numero di abitanti della Striscia nel 2023 (il 40% aveva meno di 14 anni), la somma tra morti e feriti rappresenta il 10,8% della popolazione totale.

Come abbiamo avuto modo di scrivere nei mesi scorsi, il conteggio delle vittime da parte delle autorità sanitarie del territorio assediato non tiene conto di diverse migliaia di vittime rimaste intrappolate sotto le macerie e di altri migliaia di morti non conteggiati perché non comunicati agli ospedali. Pagine Esteri