Pagine Esteri – Negli ultimi mesi, mentre la situazione sul campo volgeva decisamente a favore dell’esercito russo, abbiamo assistito all’infittirsi della trattativa diplomatica grazie al protagonismo dell’amministrazione Trump, desiderosa di chiudere la partita ucraina per concentrarsi sull’America Latina e sulla competizione strategica con Pechino.
Se la Russia sembra, almeno per ora, poco interessata ad arrivare ad un compromesso, i paesi dell’Unione Europea e la Gran Bretagna sembrano impegnati nel tentativo di sostituire il sostegno statunitense a Kiev nell’ottica della continuazione del conflitto e promettono addirittura di inviare truppe a difesa di Kiev dopo un eventuale cessate il fuoco.
I toni tra le due sponde dell’Atlantico si sono fortemente alzati, con Bruxelles che sembra finalmente essersi resa conto che il disegno di Washington include l’indebolimento se non la frantumazione dell’Unione Europea, considerata un ostacolo al mantenimento dell’egemonia globale statunitense. L’obiettivo sembrava evidente a molti sin dall’annuncio, da parte delle cancellerie europee, della costituzione dell’euro come moneta concorrente rispetto al dollaro, ma ci sono voluti i continui strali dell’inquilino della Casa Bianca nei confronti degli ex alleati e subalterni europei a far emergere questa certezza anche nel discorso pubblico.
Orfani del vecchio padre padrone e protettore che ora sembra addirittura mettere in discussione la Nato, i governi europei accennano a perseguire una strada maggiormente indipendente che include l’aumento delle spese militari e il rafforzamento dei propri apparati bellici di fronte al rifiuto da parte di Washington di continuare a sostenere la “difesa europea” (non è chiaro nei confronti di chi). Tale strategia è sorretta da un discorso bellicista e allarmista che descrive la Russia come “nemico esistenziale” in procinto di aggredire l’Europa che non può quindi esimersi dall’ergersi a baluardo della libertà minacciata dall’autoritarismo di Mosca e ora anche dell’isolazionista Trump.
Mentre l’amministrazione e i media statunitensi descrivono gli europei come degli ingrati e inconcludenti smidollati, quelli europei rappresentano una realtà manichea: da una parte ci sarebbero gli Stati Uniti, disponibili ad un abbraccio con Putin che sacrificherebbe la sicurezza di Kiev e lascerebbe campo libero alle pretese russe; dall’altra la confederazione europea, che si descrive come ultimo muro a difesa della civiltà e della democrazia e per questo altruisticamente orientata a sacrificarsi per continuare a difendere il paese invaso e la sua integrità territoriale.
Per quanto rivestito di significati ideologici e simbolici, però, il conflitto tra le due sponde dell’Atlantico assume contorni assai più materiali. La realtà è che – rappresentazioni e autorappresentazioni ideologiche a parte – la competizione tra Bruxelles e Washington sul futuro dell’Ucraina ha più a che fare con l’economia, la geopolitica e la ricerca dell’egemonia che con una disinteressata difesa dei “fratelli ucraini” o della pace. In ballo ci sono i nuovi assetti economici internazionali, il controllo delle materie prime e dei corridoi commerciali, l’accesso a risorse sempre più limitate e sempre più contese.

I negoziatori statunitensi
Un articolo a più mani pubblicato l’11 dicembre dal “Wall Street Journal” ha rivelato alcuni interessanti retroscena del braccio di ferro tra Stati Uniti ed Europa sulla vicenda ucraina.
Secondo il quotidiano newyorchese, nelle scorse settimane l’amministrazione Trump avrebbe recapitato agli omologhi europei una serie di documenti che espongono gli obiettivi di Washington a proposito della ricostruzione dell’Ucraina e del reinserimento della Russia all’interno delle relazioni economiche e finanziarie globali.
Secondo i giornalisti, alcuni dei documenti allegati ai piani di pace che non sono stati resi pubblici si riferiscono al progetto diretto a permettere a società finanziarie e imprese statunitensi di sfruttare 200 miliardi di dollari di asset russi congelati dall’Unione Europea dopo l’invasione per finanziare investimenti in territorio ucraino. Il piano ovviamente cozza con il progetto europeo di sequestrare la totalità dei fondi russi congelati da varie istituzioni continentali per concedere un maxiprestito al governo ucraino e acquistare le armi necessarie a rifornire gli arsenali di Kiev sostenendo il più possibile l’industria bellica europea invece di quella americana.
Un altro documento descrive la realizzazione di un enorme centro dati alimentato dalla centrale nucleare di Zaporizhzhia, attualmente controllata delle truppe russe. Le imprese statunitensi sarebbero intenzionati a realizzare vari data center in Ucraina presentando la cosa come un’opportunità di reimpiego per molti veterani della guerra con la Russia.
Un altro file prevede che nel processo di reintegrazione dell’economia russa in quella mondiale alle imprese statunitensi sia consentito di realizzare investimenti in settori strategici, dall’estrazione delle terre rare nei territori ucraini occupati da Mosca (quelle nei territori controllati da Kiev Washington se le è già accaparrate grazie ad un accordo capestro firmato da Zelensky alcuni mesi fa) allo sfruttamento dei giacimenti di petrolio nell’Artico. Anche il ristabilimento dei flussi energetici russi verso l’Europa avverrebbe a beneficio di Washington e attraverso il coinvolgimento di varie aziende statunitensi.
Secondo il “Wall Street Journal” le “proposte” dell’amministrazione Trump avrebbero incontrato la contrarietà delle cancellerie europee e avrebbero ulteriormente esacerbato lo scontro tra le due sponde dell’Atlantico. Gli europei avrebbero affermato di temere che il piano americano possa concedere alla Russia la tregua di cui ha bisogno per rilanciare la sua economia e rafforzarsi militarmente.
I funzionari statunitensi coinvolti nei negoziati – guidati dall’inviato speciale di Trump Steve Witkoff e dal genero del presidente Jared Kushner – affermano, al contrario, che l’approccio europeo esaurirebbe rapidamente i fondi russi congelati mentre il progetto di Washington otterrebbe la collaborazione di Wall Street e di vari miliardari allo scopo di aumentare il fondo per la ricostruzione portandolo fino a 800 miliardi di dollari.
Ma «Lo scontro al tavolo delle trattative non riguarda più solo i confini, ma sempre più gli affari e, in un colpo di scena, mette a confronto non solo la Russia con l’Ucraina, ma anche gli Stati Uniti con i loro tradizionali alleati in Europa» scrivono gli autori dell’inchiesta.
Da questo punto di vista l’insistenza di Francia, Gran Bretagna e altri paesi sulla volontà di inviare truppe a Kiev dopo un eventuale cessate il fuoco sembra orientata ad accreditare i paesi europei come protettori preferenziali dell’Ucraina, garantendo maggiori possibilità alla presenza di imprese europee nella ricostruzione del disastrato paese. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, si occupa di geopolitica e movimenti sociali. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria














