Pagine Esteri – Le principali città del Sudan, comprese la capitale Khartoum e la città costiera di Port Sudan, sono state immerse nel buio dopo che stamattina alcuni attacchi di droni hanno colpito una centrale elettrica importante nella parte orientale del paese, ad Atbara, nello stato del Nilo controllata dalle Forze Armate Sudanesi fedeli al governo.

E’ intanto salito a 104 il bilancio dei civili uccisi nei giorni scorsi dai droni dei ribelli delle Forze di Supporto Rapido nella regione del Kordofan, in Sudan, mentre gli scontri tra fazioni rivali si stanno facendo sempre più violenti. L’ennesima escalation della guerra civile che insanguina il paese dall’aprile del 2023 ha causato lo sfollamento di decine di migliaia di persone e ha travolto le strutture sanitarie già messe a dura prova dalle epidemie di colera e dengue.

I combattimenti principali si stanno spostando dal Darfur, nell’ovest, alla vasta regione centrale del Kordofan (ricca di oro e di petrolio) in seguito alla conquista da parte dei ribelli di un’importante base militare a Babnusa.
L’attacco più mortale è stato segnalato in un asilo e in un ospedale a Kalogi, nel Kordofan meridionale, dove sono state uccise 89 persone, tra cui 43 bambini e otto donne.

Gli attacchi delle Forze di Supporto Rapido hanno preso di mira anche il contingente dell’UNISFA (United Nations Interim Security Force for Abyei), uccidendo sei peacekeeper del Bangladesh colpiti all’interno della loro base a Kadugli, la capitale del Kordofan meridionale, il 13 dicembre.

Pochi giorni prima dell’attacco le RSF hanno preso il controllo del più grande giacimento petrolifero del Paese, situato a Heglig, al confine tra il Kordofan meridionale e il Sud Sudan.

Il mandato di UNISFA è appena stato rinnovato dal Consiglio di sicurezza dell’ONU per un altro anno. I 4 mila caschi blu schierati nel 2011 si trovano in particolare nell’area di Abye, un territorio di 10 mila chilometri quadrati che si distende nel cuore del bacino petrolifero del Nilo e che continua ad essere conteso tra Sudan e Sud Sudan sin dal momento della separazione del Sud Sudan dal Sudan.
Nel corso dei combattimenti per il controllo del giacimento un attacco da parte dell’esercito sudanese ha causato la morte anche di sette membri delle Forze di Difesa Popolare, cioè le forze armate sudsudanesi.

Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha condannato quelli che ha definito “terribili attacchi con droni”, sottolineando che «possono costituire crimini di guerra secondo il diritto internazionale».

Il giorno dopo ad essere bombardato è stato l’ospedale militare di Dilling; il “Sudan Doctors Network” ha segnalato nove morti e 17 feriti, definendo l’accaduto “un attacco sistematico alle istituzioni sanitarie”.

I combattimenti nel Kordofan rappresentano una significativa espansione del conflitto in seguito alla presa di el-Fasher, ultima roccaforte dell’esercito in Darfur, da parte delle RSF, avvenuta il 26 ottobre.
I ricercatori dell’Humanitarian Research Lab (HRL) della Yale School of Public Health hanno rivelato in un nuovo rapporto che le milizie hanno ucciso anche un gran numero di civili che tentavano di fuggire dalla città, per poi dedicarsi sistematicamente a distruggere le prove seppellendo e bruciando i corpi delle vittime.
Basandosi sulle immagini satellitari, il rapporto afferma che le RSF «hanno intrapreso una campagna sistematica di diverse settimane per distruggere le prove delle loro uccisioni di massa».

In seguito alle reazioni internazionali, il leader delle milizie, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, ha annunciato l’apertura di un’indagine su quelle che ha definito “violazioni commesse da alcuni dei suoi soldati” durante la cattura di El Fasher. Tuttavia la milizia ha continuato a negare le accuse secondo cui gli omicidi in città sarebbero motivati ​​da ragioni etniche, compiuti dai combattenti arabi (o arabizzati) che prendono di mira le popolazioni non arabe.

Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (Ohchr), inoltre, ad aprile le milizie di Dagalo avrebbero ucciso un migliaio di civili in un attacco contro il campo profughi di Zamzam, nel Darfur settentrionale.
Tra le persone uccise, 319 sono state giustiziate sommariamente, all’interno del campo o mentre cercavano di fuggire, denuncia il rapporto, secondo il quale alcune delle vittime sono state uccise dalle RSF nelle loro case durante le perquisizioni, altre sono state
assassinate nel mercato principale o all’interno di scuole, strutture sanitarie e moschee.

Il rapporto denuncia che almeno 104 sopravvissuti, tra cui 75 donne, 26 ragazze e tre ragazzi – la maggior parte dei quali appartenenti al gruppo etnico Zaghawa – sono stati sottoposti a orribili violenze sessuali.

Mentre gli scontri e le stragi si intensificano, il 15 dicembre il capo del regime militare sudanese Abdel Fattah al-Burhan ha incontrato il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman esprimendo la propria disponibilità a collaborare con il presidente degli Stati Uniti per fermare la guerra civile.

Il giorno seguente, in una dichiarazione congiunta, Egitto e Stati Uniti hanno respinto “qualsiasi tentativo di dividere il Sudan” e hanno chiesto un cessate il fuoco globale.

Al-Burhan sta tentando di convincere la comunità internazionale a isolare gli Emirati Arabi Uniti per indebolire il sostegno della petromonarchia alle milizie di Dagalo. Un sostegno che, nonostante le smentite di Abu Dhabi, emerge con sempre maggiore evidenza da numerosi rapporti delle Nazioni Unite, di varie organizzazioni internazionali e non governative e di istituti di ricerca.

Questi documenti hanno evidenziato l’esistenza di una rete ben collaudata, costruita attraverso le alleanze regionali, a partire dai ribelli del Ciad e dall’Esercito nazionale libico (Enl) del generale Khalifa Haftar, articolata attorno agli snodi logistici di Bosaso, nella regione somala del Puntland, e di Berbera, nell’autoproclamata Repubblica nel Somaliland, e alimentata dai profitti derivanti dallo sfruttamento delle miniere d’oro del Darfur e ora anche del Kordofan. – Pagine Esteri