di Francesco Dall’Aglio*
Le dimissioni del governo bulgaro, avvenute l’11 dicembre sull’onda di una serie di manifestazioni molto partecipate a Sofia e in molte altre città, sono l’ultimo atto di una crisi politica che si trascina da anni e che negli ultimi mesi, complice una serie di motivi, si è trasformata in una tempesta perfetta per l’esecutivo e per l’intera politica bulgara. Provocate dalle proteste contro la nuova legge di bilancio per il 2026, approvata in maniera poco rituale e che sembra essere riuscita a scontentare tutte le parti sociali, le proteste si sono innestate su una serie di altre istanze che preoccupano la popolazione: una insoddisfazione generalizzata nei confronti della classe politica, pesanti accuse di corruzione a membri importanti dell’esecutivo, l’aumento dell’inflazione e del costo della vita, inclusa una bolla del mercato immobiliare che sta aumentando a dismisura il costo delle abitazioni, l’entrata in vigore dell’Euro il 1 gennaio 2026, la spaccatura dell’opinione pubblica sul conflitto in Ucraina, le sanzioni trumpiane alla Lukoil e la preoccupazione per la sorte della raffineria di Burgas, che fornisce da sola l’80% del carburante della Bulgaria, e non ultimo un complesso sistema di inimicizie politiche e personali, e di sabotaggi reciproci, tra la Presidenza della repubblica guidata da Rumen Radev, il governo guidato da Boijko Borisov e l’opposizone, sia quella liberale che quella nazionalista. Il tutto in un Paese fondamentale per il “fianco sud-est” della NATO, non solo dal punto di vista della posizione geografica ma soprattutto per la produzione bellica: è infatti l’unico paese dell’ex-Patto di Varsavia ad aver mantenuto una linea di produzione per i proiettili d’artiglieria sovietici, che sono stati fondamentali per garantire potenza di fuoco all’Ucraina nella prima fase del conflitto, e recentemente la Rheinmetall ha deciso di investirvi massicciamente in nuove linee di produzione sia per i proiettili d’artiglieria calibro NATO che per la produzione di polvere da sparo, uno dei punti deboli dell’industria militare europea.[1] Non tutti, sia tra i cittadini che tra i partiti politici, sono d’accordo col ruolo di prima linea che nelle intenzioni della NATO e dell’UE la Bulgaria dovrebbe giocare nel conflitto ucraino e nel successivo potenziamento militare europeo, il che contribuisce a rendere la situazione ancor più volatile di quanto già non sia.
Questa crisi ha raggiunto il punto di non ritorno quest’anno, ma è da tempo che la Bulgaria non riesce ad esprimere un governo stabile e che il malcontento della popolazione dei confronti della classe politica cresce. Possiamo fissarne l’inizio al 9 luglio 2020, quando si è tenuta la prima manifestazione contro l’esecutivo di Bojko Borisov, leader del partito conservatore GERB e personaggio molto noto, che guidava il paese dal 2016 e il cui governo era stato coinvolto in una lunga serie di scandali. Le manifestazioni contro di lui e in generale contro la corruzione erano proseguite letteralmente ogni giorno fino alla scadenza del suo mandato nell’aprile 2021, ma chi sperava che nuove elezioni avrebbero riportato il paese alla normalità si è dovuto ricredere perché da allora non è stato possibile formare una maggioranza di governo che restasse in carica per più di un anno. Dal 2021 si è andati alle urne 7 volte (3 nel 2021, 1 nel 2022, 1 nel 2023 e 2 nel 2024), senza contare le elezioni che si terranno a breve, e la percentuale dei votanti disillusi è cresciuta progressivamente fino ad arrivare, alle ultime elezioni, a percentuali di astensione superiori al 65%.
Nessuno schieramento è riuscito a creare una coalizione di governo stabile, né le formazioni politiche nate dalle manifestazioni e basate sostanzialmente sulla protesta e l’anticorruzione, né i liberali ‟europeisti” né la sinistra né la destra nazionalista, in crescita nei sondaggi ma ben lontana dai numeri necessari.
Un panorama politico dunque estremamente volatile, con alleanze opportunistiche e transitorie e coalizioni pronte a spaccarsi alla minima difficoltà. Emblematico a questo proposito è il caso del governo appena dimessosi, che a sua volta è la conseguenza del fallimento della coalizione uscita vittoriosa dalle elezioni dell’aprile 2023, le prime di quell’anno, formata dall’intramontabile GERB di Borisov e dai liberali di ‟Continuiamo il Cambiamento – Bulgaria Democratica” (PP-DS) guidati da Kiril Petkov (già Primo Ministro dal dicembre 2021 all’agosto 2022) e Asen Vasilev, entrambi economisti. Si tratta di due partiti che hanno ben poco in comune: conservatore e populista uno, liberale l’altro, erano riusciti comunque a trovare un modus vivendi in nome dell’Unione Europea, dell’ingresso nell’Euro e del sostegno all’Ucraina. Era stato deciso che la carica di Primo Ministro sarebbe stata assegnata a rotazione tra i due partiti, toccando prima a Nikolai Denkov (PP-DB) con Mariya Gabriel come vice, per poi invertire i ruoli dopo nove mesi. Alla scadenza del termine di Denkov, però, le tensioni tra i due partiti, già presenti fin dall’inizio, esplosero facendo naufragare il passaggio di consegne e portando nuovamente il paese ad elezioni anticipate nel giugno 2024. Da quel momento i rapporti tra GERB e PP-DS si guastarono, e peggiorarono sempre più. Le elezioni del 9 giugno 2024 videro sempre GERB come primo partito, ma non fu possibile formare una maggioranza anche perché il Presidente della Repubblica Rumen Radev (eletto come indipendente ma con l’appoggio del Partito Socialista nel 2017 e al suo secondo mandato) aveva fatto largo uso dei suoi poteri di veto, attirandosi notevoli critiche ma anche l’appoggio di chi, a sinistra come a destra, continuava a identificare GERB come il simbolo della corruzione e del malgoverno, e Borisov come un personaggio pericoloso per la democrazia. Nuove elezioni furono fissate per il 27 ottobre 2024 e tra accuse di brogli e compravendite di voti GERB si trovò ancora una volta primo partito e ancora una volta impossibilitato a governare da solo. Per non ricorrere un’altra volta alle elezioni anticipate si formò una complessa maggioranza che vedeva insieme GERB, il Partito Socialista – Sinistra Unita (BSP, ma alcune delle formazioni minori lo abbandonarono non volendo collaborare con GERB), e il partito populista anti-corruzione ITN con PP-DB all’opposizione insieme (o meglio contro) i partiti nazionalisti Vazrazhdane (Risorgimento), Mech e Velichie, tutti e tre su posizioni sovraniste ed anti-europeiste.
La coalizione restava comunque fragile e per rinforzarla furono avviate consultazioni con quello che è spesso stato in passato l’ago della bilancia della politica bulgara, il partito centrista e storicamente espressione del voto della minoranza turca Movimento per i Diritti e le Libertà (DPS), che si era però da pochissimo spaccato in due tronconi a causa di una profonda crisi interna dovuta in gran parte all’ascesa al suo interno di Delyan Peevski, coinvolto in una infinità di scandali fin dal suo debutto sulla scena politica nel 2001 e dal 2021 sotto sanzioni statunitensi per ‟significativi atti di corruzione” in base al cosiddetto ‟Magnitsky Act”.[2] Nell’ottobre 2023 Peevski era diventato vicepresidente del gruppo parlamentare del DPS insieme a Mustafa Sali Karadayi (la carica di presidente era attribuita ad honorem ad Ahmed Dogan, fondatore del partito nel 1990), schierandosi da subito su posizioni europeiste ed anti-russe e litigando, nei mesi successivi, con tutte le personalità politiche di governo e opposizione, incluso il Presidente della Repubblica. Il 7 novembre 2023 Karadayi si dimise dalla carica per motivi personali, lasciando Peevski unico vicepresidente, e 10 giorni dopo annunciò la sua intenzione di candidarsi a presidente del partito incassando anche l’appoggio di Dogan che però, vista una significativa fronda all’interno del partito, successivamente decise di mantenere la doppia vicepresidenza affiancandogli l’ex-ministro Dzhevdet Chakarov.[3] Il 27 agosto 2024, a due mesi dalle elezioni, Peevski e parte del suo gruppo vennero espulsi dal partito, probabilmente su iniziativa di Dogan. Peevski, che da candidato indipendente non avrebbe avuto alcuna speranza di essere eletto, fece ricorso, riuscì a prendere il controllo del sito web del partito e si presentò all’opinione pubblica come il vero continuatore dell’opera del DPS, chiamando la sua formazione DPS-NN, ‟DPS-Nuovo Inizio”.[4]
Il 2 settembre sia lui che Chakarov presentarono le loro liste, entrambe sotto la sigla DPS: Peevski riuscì a presentarla per primo avvalendosi della possibilità di farlo elettronicamente, e non personalmente allo sportello della commissione elettorale, registrando così la sua candidatura alle 00.05 all’insaputa di Chakarov che consegnò firme e richiesta all’apertura dell’ufficio. Il Tribunale amministrativo al quale entrambi fecero ricorso riconobbe dunque che Peevski aveva presentato la lista per primo, e un altro tribunale stabilì che la sua espulsione dal partito era stata irregolare, consentendogli così di utilizzare nome, simbolo e strutture del DPS; Chakarov abbandonò il partito per formare l’Alleanza per i Diritti e le Libertà (il simbolo dei due partiti e diverso ma la sigla è quasi uguale, АПС per Chakarov e ДПС per Peevski, ma la A di АПС è resa graficamente in maniera estremamente simile alla Д, cosicché a prima vista i nomi dei due partiti, complici anche colore e font uguali, sono indistinguibili). Pagine Esteri
Pubblicheremo la seconda parte nei prossimi giorni
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[1] (https://www.novinite.com/articles/234154/Defense+Minister%3A+New+Factory+Will+Turn+Bulgaria+into+Key+NATO+and+EU+Ammunition+Supplier
[2] https://home.treasury.gov/news/press-releases/jy0208
[3] https://www.mediapool.bg/po-narezhdane-na-dogan-dps-izbra-peevski-i-chakarov-za-lideri-news356539.html
[4] https://boulevardbulgaria.bg/articles/shte-ima-li-dps-dogan-i-dps-peevski-v-byuletinata-na-izborite-na-27-oktomvri
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*Francesco Dall’Aglio. Laureato in lingue e culture dell’Europa Orientale presso l’Orientale di Napoli, dottorato in Storia dell’Europa presso la Sapienza di Roma. Ricercatore presso l’Istituto di studi storici dell’accademia bulgara delle scienze. Si occupa principalmente dei rapporti tra Europa Orientale e Occidentale nel tardo medioevo, della formazione delle identità etniche e nazionali in Europa orientale, del rapporto tra nomadi e sedentari nelle steppe euroasiatiche, dell’uso del passato medievale nella formazione del nazionalismo moderno e contemporaneo in Europa Orientale e di storia militare in generale. Oltre a un gran numero di ricerche per pubblicazioni specialistiche dei suoi settori di competenza, ha recentemente pubblicato, insieme a Carlo Ziviello, “Oppenheimer, Putin e altre storie sulla bomba” (Ad Est dell’Equatore, 2023)
















