Pagine Esteri, 20 maggio 2024. Una piccola ma importante vittoria nella battaglia politico-legale del fondatore di Wikileaks, Julian Assange. L’Alta Corte di Londra ha fermato per il momento il processo di estradizione, giudicando “non infondati” i timori dei suoi avvocati in merito alla possibilità che negli Stati Uniti d’America sia sottoposto a un processo ingiusto. I giudici riconoscono dunque ai legali il diritto di ricorrere in appello.

Assange, divenuto nel mondo il simbolo della difesa della libertà di espressione e della verità al di sopra degli interessi di Stati e di privati, rischia una condanna a 175 anni di carcere per aver diffuso documenti riservati del Dipartimento di Stato USA e del Pentagono riguardanti vari argomenti, tra i quali possibili crimini di guerra commessi durante le occupazioni di Afghanistan e Iraq.

In prima istanza l’ipotesi di appello da parte legali di Assange era stato rigettata. Oggi la corte ha stabilito, invece, che le assicurazioni fornite da Washington non bastano a garantire un giusto processo all’imputato e dunque ne ha fermato l’estradizione. Non si tratta di un “no” definitivo alla richiesta USA ma di un passaggio comunque importante. I giudici inglesi, sottoposti alla forte pressione dell’opinione pubblica mondiale, devono assicurarsi che se estradato il giornalista australiano non venga condannato a morte e che possa usufruire di tutte le garanzie legali possibili, tra cui la libertà di espressione sancita dal Primo emendamento della Costituzione americana.

 

Stella Assange, la moglie di Julian, si è rivolta agli Stati Uniti in una pubblica conferenza stampa, dichiarando che “è questo il momento per lasciar perdere il caso, abbandonando i vergognosi attacchi contro i giornalisti e la stampa che stanno andando avanti da 14 anni”.

Julian Assange è detenuto da 5 anni nel penitenziario di massima sicurezza di Belmarsh, a Londra e non era presente in aula per problemi di salute. Pagine Esteri