di Antonio Perillo

Pagine Esteri – 03 maggio 2021

 

La luna di miele

“Già ora è meglio di Obama, è Jobama!”. Con queste parole, Michael Moore ha concluso la puntata del suo seguitissimo podcast “Rumble” dedicato al primo discorso del presidente Biden davanti ai membri del Congresso, tenuto mercoledì 28 aprile. In sostanza, una lunga audio-lettera aperta al presidente, ricca di elogi e ringraziamenti per quanto fatto nei primi 100 giorni di governo.
Il regista di documentari come Bowling for Columbine e Farhenheit 9/11 è anche uno dei volti più noti della sinistra americana. Sostenitore in prima linea dello sconfitto Bernie Sanders nelle ultime due primarie per la presidenza (2016 e 2020), Moore è da sempre anche critico dell’establishment centrista del Partito democratico, cui non ha mai risparmiato critiche. E tuttavia Biden sembra per ora averlo non soltanto convinto, ma entusiasmato.
Michael Moore interpreta il sentire di una parte significativa di coloro che volevano Bernie alla presidenza, che non avevano fiducia nell’ennesimo candidato conservatore dei democrats, che pure hanno fatto campagna elettorale per Biden perché era necessario disfarsi di Trump, ma che fin dal primo giorno, con i 17 ordini esecutivi firmati per cancellare alcune delle politiche più odiose del predecessore, hanno affidato al presidente le loro speranze di reale cambiamento. Secondo l’idea, sostenuta dallo stesso Sanders, per cui il movimento progressista aveva perso la battaglia delle primarie, ma vinto quella delle idee.
Insomma, nonostante i sondaggi sulla sua popolarità non siano alle stelle, rispecchiando così la spaccatura e la polarizzazione riscontrata alle elezioni fra democratici e repubblicani, per Biden sembra proprio esserci una luna di miele con il suo elettorato, come già avvenuto con Obama nel 2008, anche di sponda progressista.

Il presidente USA Joe Biden

 

Il discorso al Congresso

Certamente, nel suo discorso al Congresso Joe Biden ha utilizzato diversi argomenti e toni cari all’ala più progressive del suo partito. Un passaggio per tutti: “la trickle-down economy non ha mai funzionato ed è ora arrivato il momento di far crescere l’economia dal basso”. Non si ricorda un presidente USA in carica demolire con tanta forza uno dei presupposti stessi delle politiche neoliberiste introdotte da Reagan, ovvero l’idea che la ricchezza “coli” dall’alto, distribuendosi naturalmente dai più ricchi, che vanno quindi favoriti con tagli delle tasse e deregulation, al resto della società. Diversamente dai leader europei, che pure “sospendono” le politiche di austerità durante la crisi pandemica, Biden ha sostenuto che la trickle-down economy non ha mai funzionato a beneficio di lavoratori e classe media. E lo ha fatto proponendo al Congresso e al Senato di approvare due nuovi piani di investimento pubblico: 1800 miliardi di dollari per l’American Families Plan, che comprende misure contro la povertà da sempre al centro dell’agenda progressista, fra le quali sussidi di maternità e sostegni per gli affitti, e 2300 miliardi per lavoro e infrastrutture in un’ottica di sostenibilità ambientale. Il tutto dopo i 1900 miliardi già votati a febbraio per l’emergenza Covid e le vaccinazioni. Un programma da “big state”, cioè da ruolo molto importante dello stato e del pubblico, parola che fino a pochi mesi fa rappresentava uno spauracchio per la politica a stelle e strisce. Da finanziare, peraltro, con un aumento, seppur modesto, della tassazione sulle grandi ricchezze e le grandi aziende. Per dare un riferimento, l’intero Recovery Plan europeo, il Next Generation EU, ammonta a 750 miliardi di euro destinati ad una popolazione di circa 450milioni di abitanti, a fronte dei 320 milioni residenti negli USA.
Inoltre, Biden ha definito il suprematismo bianco come terrorismo, ha attaccato duramente chi non vuole nuovi controlli e restrizioni sull’uso delle armi, ha ribadito il concetto di “razzismo sistemico” che aveva usato nel commentare la sentenza sull’assassinio di George Floyd. Il presidente ha proposto anche l’approvazione del PRO Act, una legge per favorire l’organizzazione sindacale, incontrando sul punto il pieno sostegno di molte organizzazioni di sinistra, fra cui i Democratic Socialists (DSA). Biden ha poi sottolineato l’importanza simbolica della presenza, per la prima volta, di due donne, la vicepresidente Harris e la speaker del Congresso Nancy Pelosi, alle spalle del presidente. E ha garantito il suo supporto alla comunità LGBT, in particolar modo alle persone transgender.
Quasi tutti gli osservatori ed i politici di parte repubblicana, quindi, hanno contestato al presidente tali toni e contenuti da “radical left” in un discorso alla cui base c’era comunque l’invito all’unità della nazione e alla ricomposizione dopo i fatti di Capitol Hill per battere l’epidemia e far ripartire l’economia.

Joe Biden e Barack Obama

 

La posizione dei parlamentari progressisti

La reazione dei parlamentari democratici più di sinistra è stata decisamente più composta di quella di Michael Moore, ma in ogni caso di chiaro sostegno. Alexandria Ocasio-Cortez ha sostenuto che i primi 100 giorni di presidenza siano andati “oltre le aspettative”. Ayanna Pressley, componente della “Squad” della Ocasio-Cortez, su twitter ha scritto addirittura di sentire nel discorso di Biden “l’influenza di generazioni di attivisti”.
In generale, l’idea è che seppure diverse delle misure proposte dalla presidenza non siano abbastanza ambiziose, esse condividano una “visione comune” con l’ala progressista, come ha scritto AOC. Ciò potrebbe dare spazio per rilanciare contenuti più radicali. Un altro deputato newyorkese, l’afroamericano Jamaal Bowman, rappresentante dell’organizzazione Working Families, ha chiarito in un video di commento al discorso di Biden che le sue proposte sarebbero dei “grandi passi” nella giusta direzione, ma del tutto non sufficienti per quella che chiama Care for All agenda, che noi potremmo tradurre con stato sociale universale.
In particolare, i due punti cardine dell’agenda progressista rimangono il Medicare for All, cioè l’assistenza sanitaria garantita per tutti sul modello europeo, ed il Green New Deal, il piano per rivoluzionare l’economia per combattere il cambiamento climatico. Soluzioni ufficialmente non condivise da Biden.
Ma ancora, Elizabeth Warren ha annunciato la presentazione di un piano più corposo per l’assistenza all’infanzia rispetto a quello previsto nel Families Plan e Cori Bush una riforma complessiva della giustizia, della polizia e del sistema carcerario.
Il presidente Biden ha tuttavia ribadito più volte come le sue proposte potrebbero trovare consenso anche fra l’elettorato repubblicano. La risicatissima maggioranza democratica al Senato, infatti, garantita dal solo voto della vicepresidente Harris, impone il sostegno di almeno 10 senatori repubblicani per far passare le proposte citate battendo l’ostruzionismo consentito dai regolamenti. Il piano di emergenza per il Covid approvato a febbraio ha già visto per questo motivo alcune concessioni ai repubblicani, come la rimozione dell’aumento del salario minimo a 15 dollari (che Biden ha potuto rendere effettivo soltanto per i dipendenti federali) e la riduzione degli assegni familiari a 1400 dollari rispetto ai 2000 proposti dai progressives. I piani per le famiglie e le infrastrutture potrebbero subire una sorte analoga e quindi un ridimensionamento.
Il più cauto in questo senso sembra essere proprio Bernie Sanders, che presiede l’importantissima commissione bilancio del Senato. Negli ultimi giorni il senatore del Vermont non ha mostrato entusiasmi e ha sostenuto la necessità di lavorare ad approvare i provvedimenti possibili senza ricercare a tutti i costi l’intesa con una parte dei repubblicani, che potrebbe renderli inefficaci.

U.S. Senator Bernie Sanders of Vermont speaking at a town meeting at the Phoenix Convention Center in Phoenix, Arizona. Please attribute to Gage Skidmore

 

Le note dolenti

Le voci di sinistra hanno da subito individuato nella politica estera e in quella sull’immigrazione i veri punti deboli dell’azione di Biden nei suoi primi 100 giorni. La rivista Jacobin, ad esempio, mentre dedicava al discorso del presidente un articolo molto speranzoso circa il suo atteggiamento verso i sindacati, sottolineava l’assenza di discontinuità rispetto all’operato di Trump in particolare per l’aggressività contro la Cina e la gestione dei confini meridionali. Rispetto a Trump, Biden ha inoltre invertito, inasprendolo, l’atteggiamento verso la Russia. Il presidente ha molto insistito nel suo intervento sulla necessità della competizione generale contro le “autocrazie”, Cina e Russia su tutte. Una competizione economica ma anche militare. Il mantenimento di una forte presenza militare nel Pacifico e la “risposta” ad ogni atto ostile della Russia sono state le principali promesse di Biden al Congresso.
Per quanto riguarda l’immigrazione, pur avendo immediatamente rimosso il divieto di ingresso da alcuni Paesi mussulmani, una delle più tristi eredità dell’era Trump, Biden ha confermato le quote molto modeste previste per gli ingressi regolari negli USA.


La voce più illustre nel mondo della sinistra americana, Noam Chomsky, in una recente intervista ha definito “pretty dangerous”, decisamente pericolosa, la politica estera di Biden, “pressoché indistinguibile” da quella di Trump. Le critiche di Chomsky si sono concentrate soprattutto sui rapporti con Iran e Arabia Saudita (nonché l’eterna avversione a Cuba). Su questi due versanti Biden finora sembra contraddire i suoi stessi proclami. Il Pentagono ha infatti confermato il sostegno all’aviazione saudita impegnata nella sanguinosa guerra in Yemen, nonostante l’annuncio di disimpegno fatto da Biden in febbraio. Per quanto riguarda l’Iran, Biden ha promesso uno sforzo per tornare ad un accordo sul nucleare, ma finora sta proseguendo sulla strada di pesanti sanzioni, le stesse imposte da Trump. E ha anche assunto come consigliere sul tema Richard Nephew, artefice di quelle sanzioni ai tempi di Obama.
Dalla famiglia Chomsky arriva anche una serrata analisi delle politiche migratorie della nuova Amministrazione. Aviva Chomsky, figlia del celebre linguista e anch’essa docente universitaria, esperta di storia dell’America latina, in un articolo uscito alla fine di marzo ha tracciato la perfetta continuità che ha contraddistinto tutti i presidenti da Clinton a Biden, passando naturalmente per Trump. Non solo la costruzione parziale del muro col Messico, iniziata proprio durante l’Amministrazione Clinton, ma soprattutto l’esternalizzazione della gestione dei confini, con lo spostamento del contenimento dei flussi migratori da Tijuana all’interno dei Paesi di più grande emigrazione, in particolar modo quelli del “triangolo del nord”, cioè Guatemala, Honduras ed El Salvador. Secondo la Chomsky, gli aiuti economici forniti a questi Paesi hanno seguito la logica neoliberale da sempre seguita dagli USA in America Latina, essendo indirizzati soprattutto ad addestrare esercito e polizia e a favorire libero commercio e privatizzazioni. L’effetto è stato l’esatto contrario di quanto previsto, ovvero l’ulteriore impoverimento delle fasce più deboli della popolazione, spinte ad emigrare ulteriormente. Il piano di Biden per la partnership con l’America centrale non divergerebbe in nulla da questa linea destinata al fallimento.

Confine Messico-Usa

 

In conclusione

Nonostante l’esperienza relativa all’Amministrazione Obama, di cui Biden era Vicepresidente, quando la luna di miele con i progressives terminò con la frustrazione di molte aspettative e lo shock della sconfitta di Hillary Clinton nel 2016, l’atteggiamento verso Biden sembra per ora improntato ad una grande apertura di credito. La speranza è che i movimenti di base cresciuti in questi anni nel Paese, per la giustizia ambientale e razziale e il movimento per la sanità per tutti guidato da Sanders possano costringere la nuova Amministrazione a scelte coraggiose ed il presidente Biden su posizioni contrarie a quelle da lui stesso sostenute in passato, come il sostegno alle guerre in Iraq e Afghanistan, alla costruzione di oleodotti e infrastrutture per i combustibili fossili e agli aiuti a Wall Street.
I toni, forse più che le poche leggi finora completamente approvate, sembrano incoraggiare queste speranze, ma gli ostacoli sistemici all’adozione di politiche più progressiste sembrano essere ancora tutti al loro posto.