Pagine Esteri, 29 luglio 2021 – Il quartiere di Sheik Jarrah, a Gerusalemme est, è al centro della disputa sulla confisca delle case palestinesi operata da Israele. Le manifestazioni contro gli espropri hanno portato lo scorso maggio alla violenta repressione di Israele, anche sulla Spianata delle Moschee, alla risposta del lancio di razzi di Hamas dalla Striscia di Gaza e all’operazione israeliana “Guardiani delle mura”, che ha causato l’uccisione di 260 persone a Gaza, inclusi 67 bambini. I morti in Israele sono stati 12, inclusi 2 bambini.
Nella trascrizione riservata di una riunione dei negoziati di pace di giugno 2008, pubblicata da The Guardian prima e Al-Jazeera poi insieme a migliaia di altri documenti, si scopre che i negoziatori palestinesi avevano proposto alla controparte israeliana di scambiare il quartiere di Sheikh Jarrah con un altro pezzo di terra, di uguale grandezza. Gli israeliani rifiutarono questa proposta come tutte le altre, nonostante i palestinesi facessero presente che proposte così generose non erano mai state fatte prima e che i palestinesi stavano offrendo agli israeliani “la più grande Gerusalemme di tutti i tempi”.
La prima volta che si è aperta una negoziazione sulla sistemazione di Gerusalemme è stato durante i negoziati di Camp David, nel 2000.
Per il diritto internazionale Gerusalemme Est, con al-Haram al-Sharif e il Monte del Tempio, rientrano nei territori occupati illegalmente da Israele, che si è spinto ben oltre i confini tracciati nel 1967. Per l’Autorità Nazionale Palestinese questi confini rappresentano la base negoziale da cui partire per discutere qualsiasi tipo di accordo. Israele, che in un primo momento aveva accettato questo modo di procedere, rispondente ai canoni del diritto internazionale, negli anni ha cambiato la realtà territoriale di Gerusalemme e della West Bank attraverso la politica del “fatto compiuto”, rappresentata dalle colonie, aumentate di numero e di estensione, e da tutte le infrastrutture che le collegano tra di loro e con Gerusalemme.
A Camp David Yasser Arafat accettò di negoziare sullo status di Gerusalemme Est, nonostante il diritto internazionale la definisse zona illegalmente occupata, ma non sulla condizione del terzo luogo sacro dell’Islam dopo la Mecca e Medina, al-Haram al-Sharif.
La negoziazione su Gerusalemme divenne, da allora, molto più rara, soprattutto per la pressione politica dei partiti della destra israeliana, presenti in coalizione al governo, che minacciavano di far mancare i numeri in parlamento qualora si fosse anche solo parlato, all’interno dei colloqui di pace, di modificare lo status di Gerusalemme e del Monte del Tempio. Seguendo queste direttive, i negoziatori si sono spesso rifiutati di rispondere ai partner palestinesi sulle questioni da loro sollevate in merito a Gerusalemme e, anzi, hanno più volte sottolineato di non avere il mandato per poter trattare della città dichiarata unilateralmente capitale dello Stato d’Israele.
Durante tutto l’arco dei negoziati di pace, Israele ha utilizzato più volte una particolare tecnica che consiste nel prendere atto delle concessioni che i negoziatori palestinesi sono disponibili a fare qualora si giungesse a un accordo, e utilizzarle come punto di partenza negli incontri successivi. Quando l’ANP si è dimostrata disposta a superare i confini territoriali stabiliti nel 1967, Israele si è rifiutato di riconoscere questi stessi confini come base negoziale, dando per scontato che i riconoscimenti territoriali non dovessero partire dalle frontiere individuate dal Diritto Internazionale, ma dai fatti compiuti, che vedono Israele inserito nel cuore della West Bank attraverso le sue colonie, perennemente in espansione.
Negoziatore israeliano: A partire dal 2000, delle cose sono successe in questi 8 anni, quindi non ci troviamo allo stesso punto di partenza. Voi avete ingaggiato una guerra di terrore contro di noi e noi abbiamo creato fatti compiuti. Questa è la realtà in cui viviamo oggi, quindi non possiamo tornare indietro a Camp David. Le circostanze sono cambiate considerevolmente da allora. I fatti sono cambiati. Quindi non possiamo congelare il tempo e considerare che siamo nel 2000. Il Medio Oriente è cambiato. Tutti i discorsi che hai menzionato e le trattative fatte in passato, non erano ufficiali, almeno non per gli israeliani. Noi non dimentichiamo niente ma neanche possiamo tornare indietro a Taba o Camp David. Questo è il concetto che sta dietro al nostro agire. Io non credo sia compito del nostro gruppo discutere sull’interpretazione della Risoluzione 242. Voi credete che la 242 dia dei diritti e dica che gli insediamenti sono illegali, noi no. Noi crediamo di avere diritti su questi territori. La strada che crediamo debba essere percorsa è quella che vede fare mutue concessioni. Noi non crediamo di avere qualcosa da dovervi restituire. Non siamo del parere che vi abbiamo preso qualcosa che dobbiamo ridarvi. Vogliamo creare uno Stato palestinese perché è nel nostro interesse, non possiamo avere l’approccio della “restituzione”.
[…]
Negoziatore palestinese: Lo scambio [di terre] è un principio. Voi non potete farne una precondizione. Non è un punto di partenza [per i negoziati]. Noi dobbiamo essere convinti che non danneggi i nostri interessi. Voi non potete fare imposizioni in merito ad una determinata area o località che volete prendere[1].
A luglio del 2008 tra i documenti compare una mappa dettagliata del Muro e degli insediamenti costruiti intorno a Gerusalemme Est occupata[2]:
Negoziatore palestinese: Non è un segreto che sulle mappe che vi sono state proposte vi stiamo offrendo la più grande Yerushalayim [nome ebraico per Gerusalemme] della storia. Ma dobbiamo parlare dell’idea di al-Quds [nome arabo per Gerusalemme].
Negoziatore israeliano: Voi avete un’idea?
Negoziatore palestinese: Sì, abbiamo un’idea dettagliata – ma ne discuteremo solo con un partner. E si può fare.
Negoziatore israeliano: No, non posso.
Negoziatore palestinese: L’ultima proposta potrebbe aiutare il processo di scambio [di terre]. Noi proponiamo che Israele annetta tutti gli insediamenti realizzati a Gerusalemme, eccetto Jabal Abu Ghneim (Har Homa) È la prima volta nella storia che facciamo una proposta del genere; a Camp David ci rifiutammo di farla.
[…]
Negoziatore palestinese: C’è della terra libera, ma non correte. Non andateci domani per prenderla e costruirci nuovi insediamenti.
Negoziatore palestinese: Noi stiamo costruendo per voi la più grande Gerusalemme della storia.
Dall’incontro negoziale di circa un mese prima sappiamo che l’ANP era disposta a cedere, tra le altre, proprio la zona di Sheikh Jarrah[3]:
Negoziatore palestinese: Proposta di scambio: Quindi per l’area a Sheikh Jarrah dobbiamo vederne una equivalente [per lo scambio nda].
Insieme a questo, tante altre proposte di scambi di terra, dettagliate da mappe e numeri.
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Ma la risposta israeliana è stata un netto rifiuto:
Negoziatore palestinese: Abbiamo fatto del nostro meglio per includere il maggior numero di coloni.
Negoziatore israeliano: Voglio dire che non ci piace questo suggerimento perché non soddisfa le nostre richieste, e probabilmente non è stato facile per voi prendere in considerazione queste condizioni, ma l’ho davvero apprezzate. Penso che abbiamo una ragione per continuare.
Molte delle aree dei Territori palestinesi che i negoziatori si erano offerti di dare ad Israele scambiandole con aree di colonie israeliane, principalmente nella West Bank, per provare a dare un minimo di contiguità ad un possibile Stato palestinese, sono poi state prese con la forza da Israele o sono attualmente sotto rischio di esproprio.
[1] The Palestine Papers, “Meeting Minutes: 8th meeting on territory”, 28 maggio 2008.
[2] The Palestine Papers, “Map of Jerusalem settlements and separation Wall – July 2008”, 30 giugno 2008.
[3] The Palestine Papers, “Meeting minutes: General plenary meeting”, 29 giugno 2008.
[4] [5] [6] [7] [8] [9] [10] [11] [12] The Palestine Papers, “Meeting minutes: borders with Erekat, Qurei and Livni”, 3 maggio 2008.