Di Hussein Ibrahim – Al Akhbar (Beirut) –

Pagine Esteri, 18 settembre 2021– Un solo anno è bastato per dimostrare il fallimento degli Accordi di Abramo per la normalizzazione delle relazioni tra Israele gli Emirati arabi, il Bahrain, il Marocco e il Sudan. Le parti coinvolte hanno raggiunto solo obiettivi minori e specifici, come la cooperazione nelle operazioni di intelligence. Per gli obiettivi principali i risultati si sono rivelati insoddisfacenti. Israele non è stato né in grado di fornire ai regimi del Golfo un’alternativa rassicurante agli Stati Uniti, né di aiutarli ad affrontare lo spauracchio iraniano. L’Arabia Saudita ne è l’esempio più chiaro: astenendosi all’ultimo momento dal perseguire la normalizzazione ritenendola non nell’interesse del Regno in questa fase di transizione, ha addirittura proseguito il dialogo con Tehran.

Un anno fa, la scommessa tra Stati Uniti e Israele era di espandere gli accordi di Abramo firmati il ​​15 settembre 2020 in modo da includere più paesi, in particolare l’Arabia Saudita, il Qatar e il Sultanato dell’Oman. Ma i paesi che hanno normalizzato le relazioni hanno poi affrontato problemi che li hanno fatti fare un passo indietro, come nel caso del Sudan, o sono diventati più riluttanti a propagandare un’eccessiva amicizia con Israele, come nel caso degli Emirati. E’ peggiorato il rapporto tra l’establishment al potere e i cittadini che (in realtà) non hanno approvato la normalizzazione con Israele ma hanno semplicemente mantenuto un silenzio per paura di ritorsioni. Tutti i paesi che hanno avviato le relazioni ufficiali, hanno pensato di potenziarsi usando Israele, ossia gli Stati Uniti per procura, sui loro vicini, compatrioti e soprattutto sui loro connazionali, in modo da scongiurare potenziali pericoli derivanti dai grandi cambiamenti che il Medio Oriente ha visto negli ultimi dieci anni.

Gli Emirati hanno notevolmente raffreddato le relazioni, il che suggerisce che Abu Dhabi non è stata sufficientemente rassicurata sul fatto che Israele è in grado di fornirgli la stessa protezione garantita dalla presenza degli Stati Uniti nel Golfo, che sta diminuendo a un ritmo elevato. Nonostante la normalizzazione abbia spinto Washington a chiudere l’affare dei caccia F-35 con lo stato del Golfo…che comunque non valgono molto in assenza dell’ombrello Usa. Dopo l’annuncio quasi quotidiano di “accordi e progetti bilaterali” nei primi mesi della normalizzazione, quasi nessuno ha notato quelle relazioni di recente.

Dal canto suo, l’Arabia Saudita ha cambiato marcia prima di raggiungere la fase pubblica della normalizzazione, perché la situazione del Regno è diversa dai piccoli Stati del Golfo i cui residenti sono in inferiorità numerica rispetto agli espatriati arabi e ai lavoratori asiatici di fatto in grado di sostituirli…In Arabia Saudita i cittadini hanno una voce più forte poiché sono la maggioranza. Hanno espresso in anticipo la loro opposizione alla normalizzazione sui social media che svolgono la parte di una stampa relativamente libera che è assente dal Golfo…

Le parti coinvolte negli Accordi di Abramo hanno fallito anche per quanto riguarda il confronto con l’Iran. Lo stesso Israele ha bisogno di protezione dall’Iran e dai suoi alleati, altrimenti perché Tel Aviv dovrebbe richiedere l’installazione di missili antimissile e anti-drone statunitensi nei territori occupati e nei paesi in via di normalizzazione? I regimi del Golfo e Israele con ogni probabilità hanno beneficiato soprattutto dalla loro cooperazione in materia di intelligence, un settore in cui Israele eccelle mentre gli arabi ne sono facilmente preda. L’esempio più importante di questa cooperazione è stato lo scandalo dello spyware Pegasus. Il software, prodotto dalla società israeliana NSO, ha permesso agli Emirati, all’Arabia Saudita, al Bahrain, al Marocco e ad altri paesi di spiare i telefoni di dissidenti, attivisti, giornalisti. In cambio questi Stati hanno fornito piattaforme di spionaggio a Israele.

È ancora possibile per coloro che ha abbracciato la normalizzazione invertire le loro misure, come nel caso dell’Arabia Saudita, che si è trattenuta all’ultimo momento perché ha ritenuto che il passo sarebbe stato molto più dannosa che vantaggioso per il regime. L’erede al trono Mohammed bin Salman, alla ricerca di sostegni da quando viene tenuto a distanza dall’Amministrazione Biden, ha scoperto che una relazione (pubblica) con Israele non gli darà molti benefici, e così ha deciso di accontentarsi di alcune intese segrete che comunque gli danno accesso a servizi di intelligence in grado di sorvegliare i suoi nemici. Quanto al pretesto che i paesi normalizzatori abbiano stabilito relazioni con Tel Aviv per servire i palestinesi, è solo uno scherzo. Il sangue dei bambini di Gaza non si era ancora asciugato quando l’ambasciatore degli Emirati a Tel Aviv, Mohammed Mahmoud Al Khaja, ha visitato il capo del Consiglio dei Saggi della Torah, il rabbino capo Shalom Cohen, nella sua casa a Gerusalemme e ha ricevuto la sua “benedizione”.

Come gli accordi di normalizzazione con Egitto e Giordania che li hanno preceduti decine di anni fa, gli Accordi di Abramo non hanno portato a rapporti diversi e amichevoli tra le popolazioni del Golfo e gli israeliani. Non c’è una tendenza del turismo del Golfo verso lo Stato ebraico e gli israeliani che hanno visitato Dubai sulla scia degli accordi hanno scoperto che gli Emirati restano lontani da loro. Mentre il segretario di Stato americano Antony Blinken si preparava a riunire le sue controparti israeliane, emiratine, del Bahrein e marocchine in una videoconferenza per celebrare il primo anniversario degli accordi, l’Amministrazione Biden – che non è così entusiasta della normalizzazione come lo era Donald Trump – non sembra avere alcuna intenzione di cambiare la sua decisione di ridurre la sua presenza nel Golfo, o di soddisfare la richiesta di Tel Aviv di schierare missili difensivi nella regione, poche settimane dopo aver ritirato le batterie Patriot dall’Arabia Saudita. Pagine Esteri