di Eliana Riva
Pagine Esteri, 18 ottobre 2021 – Paula è la protagonista di un film di George Cukor del 1944, interpretata da Ingrid Bergman.
È una donna giovane e innamorata che si ritrova in una relazione insana con un manipolatore sadico e senza scrupoli che utilizza trucchi e raggiri per farle credere di essere sull’orlo della follia, di stare impazzendo.
Il titolo originale del film è Gaslight, in Italia è stato chiamato Angoscia.
Esiste davvero la violenza psicologica? Come si fa a riconoscere e come può essere dimostrata?
Quando si trattano oggi le questioni di genere l’attenzione, sebbene purtroppo insufficiente a generare una risoluzione, è alta sul problema della violenza fisica. Scarseggia, invece, sul tema della violenza psicologica che non lascia tracce, non è palese e i cui numeri sono incalcolabili. È da questa consapevolezza che è nata l’idea di “Io vivo per te”, lo short film realizzato da Claudio Lombardi, Paolo Mazzarella e Rita Raucci per la regia di Gaetano Ippolito.
E l’angoscia è la sostanza dalla quale è stato plasmato il cortometraggio.
Grandi spazi vuoti, come vuota diventa l’esistenza della vittima di gaslighting, senza più punti di riferimento, ridotta e sfumata da una sagoma senza contorni, un’ombra che la umilia e la avvilisce, negando la realtà e accusandola di vaneggiare pur di giustificare il proprio comportamento egoista e narcisista.
Lo short film sta riscuotendo successi internazionali nel panorama del cinema indipendente: finalista in due festival svedesi, nomination a Parigi, Londra, Toronto, Clermont, Glasgow, Budapest, Bologna. Il tema trattato richiama grande interesse e curiosità.
“La violenza psicologica è largamente accettata – ci spiega Rita Raucci, che è anche l’interprete principale del corto –, soprattutto se causata dal dominio maschile”. Certi atteggiamenti non vengono neanche definiti violenti, la donna stessa non li percepisce come tali, anche se hanno l’effetto di svilirla e destrutturarla psicologicamente. “È necessario operare sul piano della conoscenza del fenomeno. In Italia le normative a riguardo non sono sufficienti: nella giurisprudenza italiana non c’è traccia della violenza psicologica e le sentenze sono piene di pregiudizi a riguardo”. Le donne non denunciano perché certi atteggiamenti sono ritenuti normali e normale spesso è considerato subire. Solo con la consapevolezza si potrà cominciare a parlare di tutela. “Abbiamo studiato il fenomeno. Personalmente, già mi occupavo di questioni di genere, sono argomenti che riguardano tutti perché tutti concorriamo ad alimentare stereotipi e concezioni errate, ognuno all’interno del proprio ruolo: anche quando esiste la consapevolezza, è difficile liberarsi del tutto da modelli, preconcetti e consuetudini. Per ogni violenza fisica ne esiste sempre una psicologica. Ed è giusto partire da quest’ultima”.
Esiste, a monte, un problema di tipo culturale che alimenta la violenza psicologica, con l’aiuto dei tanti stereotipi a disposizione: “Partiamo dalla violenza che non si percepisce e che siamo persino disposte a sopportare perché basata sul sistema di dominio maschile che tenta di replicarsi, di generazione in generazione. Siamo spesso disposte a credere, fino all’autodistruzione, che la violenza psicologica non sia altro che qualcosa di naturale che ci riporta al nostro spazio, ci spinge nuovamente nel nostro ruolo, quello in cui dobbiamo vivere e del quale siamo tenute a rispettare i limiti. Ma è quando la donna tenta di uscire da quella gabbia che il sistema va in cortocircuito, perché non prevedeva una reazione. Io stessa alimento questo sistema, con i miei atteggiamenti. Me ne sono resa conto e ho sentito la necessità di dire qualcosa”. E lo storytelling è lo strumento più immediato per farlo. “Per questo abbiamo scelto un corto, perché è incisivo e può permettere di catalizzare l’attenzione di un pubblico quanto più ampio possibile”. Insieme all’idea del corto è nato un collettivo che si è dato l’obiettivo di provare a raccontare alle persone cosa è il gaslighting, come è possibile riconoscerlo e quali sono i modi per affrontarlo. “Ci siamo voluti chiamare collettivo Paula perché è questo il nome della protagonista del film di George Cukor ed è il simbolo di chi riesce a liberarsi dalla follia, dalla manipolazione e dalla dipendenza. Non da sola, certo, ma con l’aiuto e una collaborazione corale”.
Non è stato facile condensare in circa 6 minuti le sensazioni che può provare la vittima della violenza psicologica, spiegare come essa può svilupparsi e tratteggiare i contorni del gaslighter, ma per il regista, Gaetano Ippolito, è stato chiaro sin dal principio quale fosse la strada da seguire: “Ho pensato subito che dovesse essere un corto non narrativo. Non si può raccontare una storia del genere in così poco tempo ma se ne possono riportare visivamente le suggestioni. Ho deciso di non mostrare il volto di lui, perché la violenza psicologica è subdola e fumosa, non si vede, anche per gli amici e per i parenti è difficile accorgersi della sua esistenza e ancor di più coglierne le dinamiche”. Così l’ombra diventa il perno intorno cui ruota l’intera esistenza della vittima, uno spettro ingombrante sia nelle sue assenze che nelle presenze che le giustificano “lei è quasi sempre sola, anche nelle sue riflessioni, si convince di essere diventata la donna che lui la accusa di essere e si domanda perché è accaduto”. Tra gli spazi vuoti, il bianco e nero, i toni fortemente contrastati, una lampada si accende e si spegne. Sembra avere qualcosa che non va, forse è danneggiata, lei tenta di aggiustarla ma lui finge di non capire, le dice che la luce è normale, che vede cose che non esistono, che è lei ad aver bisogno di aiuto. Ma l’intermittenza esiste ed è reale, così come reale è la mano che ne controlla gli impulsi.
Soggetto e sceneggiatura di Claudio Lombardi, Paolo Mazzarella e Rita Raucci. Regia di Gaetano Ippolito, direzione attori dello stesso Mazzarella; interpreti, Rita Raucci e Peppe Romano. Fotografia di Damiano Errico, trucco di Antonella Errico, musiche originali di Mauro Falardo. Presa diretta e suoni sono stati curati da Fabio Sorrentino, le riprese e il montaggio da Luigi Nappa, la direzione creativa da Claudio Lombardi, il design grafico da Angelo Tartaglione. Del coordinamento delle traduzioni dei sottotitoli si è occupata Magi Petrillo, dei rapporti con le istituzioni Ernesto Cassandra, dell’ufficio stampa Daniela Volpecina. L’opera, già in fase di realizzazione, ha ricevuto il patrocinio morale della Presidenza del consiglio regionale della Campania, dell’Osservatorio del fenomeno della violenza sulle donne della Regione Campania, della Consulta per la condizione della donna della Regione Campania, della Commissione per l’uguaglianza dei diritti e le pari opportunità fra uomo e donna della Regione Calabria, della Provincia di Caserta e dei Comuni di Caserta e di Capodrise.