di Alessandra Mincone –
Pagine Esteri, 1 novembre 2021 – Hanno tra i 5 e i 15 anni e fanno della loro sofferenza quotidiana una fonte di guadagno altrui. Spesso in Occidente li si prova a ignorare ai tavolini dei bar, fuori le chiese, ai supermercati, ai semafori, sembrano voler solo infastidire, implorando le persone per strada di avere pietà dando loro un soldo. I bambini provenienti dal Sahel ne hanno bisogno per non ricevere la punizione corporale, quella che sceglie ogni giorno il maestro coranico con la facilità con cui si prende una decisione lanciando una monetina.
“Talibé” nella lingua wolof, parlata in Senegal, indica un bambino o una bambina che studia nelle “Daaras”, le scuole coraniche. Non tutti i “marabouts”, i maestri coranici, sfruttano i talibé a raccattare per le strade qualche franco. Ma spesso, infliggono delle pene in caso di errori durante lo studio mnemonico del Corano, ritenendole delle “correzioni” per l’allievo. Invece, per oltre cento mila talibés vi è l’obbligo di mendicare, per scampare alla brutalità dei marabouts, coloro i quali rendono i bambini veri e propri schiavi dell’elemosina.
Alcune testimonianze anonime riportate da Human Right Watch nel 2019 forniscono anche un listino prezzi denunciato da 63 bambini interrogati. Si parte da 100 franchi, vale a dire 15 centesimi al giorno, che i talibés devono pagare al maestro per non incorrere in severe penitenze. Violenze bestiali sul volto, bastonate sulla schiena e allo stomaco, aggressioni con fruste “costruite di fili, cavi elettrici, corde spesse e cinghie dei motori delle macchine”; abusi di tipo sessuale, torture psicologiche, divieto di mangiare e negazione dell’acqua da bere e per lavarsi; sevizie, mutilazioni e circoncisioni per i bambini maschi, che rappresentano il 90% dei talibés residenti nelle scuole, quasi sempre abbandonati dalle loro famiglie.
Alcuni bambini hanno descritto il metodo di aggressione “prendre par quatre”, dove i talibé anziani, ragazzi che vanno dai 17 anni e usati come assistenti dai maestri coranici, accerchiano i piccoli talibés trattenendone gli arti, affinché prendano le botte ovunque senza nemmeno potersi muovere. Un ragazzo di 15 anni, riuscito a scappare nel 2017, ha raccontato a HRW di esser stato costretto a restare inginocchiato su pietre e pezzi di mattone con il volto di fronte al muro e le ginocchia sanguinanti: “appena il maestro lasciava la daara ci alzavamo, ma se tornava dovevamo riposizionarci subito in ginocchio senza farci vedere altrimenti sarebbero stati guai“. I bambini scoperti nel tentativo di fuggire dalla daara vengono imprigionati, e portano catene alle mani e ai piedi per mesi interi, perdendo la concezione del tempo in cui restano legati senza nemmeno avere un pasto.
Spesso evitare questa ferocia richiede più denaro: dai 300 franchi, ai 550 franchi nel giorno del venerdì santo per i musulmani, fino a 1250 franchi, quindi dai 0,45 centesimi arrivando a 1,90 euro. I marabouts pretendono che i talibés racimolino anche riso, zucchero e caffè.
E’ la debole regolamentazione delle Daaras, di preciso quelle gestite come residenze stabili, che permette alla gran parte dei marabouts di lasciare i bambini in condizioni di degrado, senza fornire loro dei servizi di igiene adeguati e senza garantire alcuna assistenza sanitaria. Il regolamento di esistenza delle scuole coraniche e lo status legale delle daaras, redatto nel 2013 e approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri in Senegal solo nel 2018, è ancora in attesa di essere votato dall’Assemblea Nazionale. Quello che il governo senegalese considera un lavoro di difesa dei diritti dei bambini con il programma di riduzione dei mendicanti, ha prodotto, nel 2017, 1500 bambini talibés tolti alla strada a fronte di 1000 bambini ritornati nelle scuole coraniche e perseguitati; e appena 300 bambini ritornati alle famiglie nel 2018.
Il piano generale, promosso anche con la Piattaforma di promozione e protezione dei diritti umani, dovrebbe prevedere un programma di modernizzazione delle daaras volto allo sviluppo dell’educazione dei minori e al supporto sanitario in linea con gli standard di salute dignitosi. Dal 2016 il Presidente del Senegal Macky Sall parla di “rimuovere definitivamente i bambini dalle strade”. Ma dopo esser stato rieletto al secondo mandato nel 2019, non pare abbia tenuto fede al conclamato processo di modernizzazione delle scuole coraniche. La giurisdizione senegalese non riesce a garantire la sicurezza e la tutela dei talibés che denunciano gli abusi, e il rischio in cui incorrono le vittime è quello di essere ritrovati dai propri maestri e costretti a far dimora nella stessa daara, tornarando a essere torturati ancor peggio. Neanche gli avvenimenti riportati dalla stampa locale, e che avevano suscitato un pubblico scandalo per il ritrovamento di minori deceduti, ha invertito la rotta delle inchieste che vedeva indagati i marabouts, le cui sentenze non hanno mai condotto i responsabili ai reati di riduzione in schiavitù e tortura in violazione dei diritti umani.
I bambini coinvolti nella schiavitù dell’elemosina, vestiti di stracci sporchi, senza scarpe, battono il marciapiede per giorni interi e senza mangiare granché. Solo nel biennio 2017-2018 sono state registrate le morti di 16 bambini talibés, tutti in chiaro stato di malnutrizione e negligenza assistenziale. L’immagine straziante di queste storie è raccontata in una lista di episodi riportata da Human Right Watch nel documento intitolato “C’è una enorme sofferenza”: 7 bambini uccisi dalle percosse dei maestri coranici e dei loro assistenti; 4 bambini morti, rimasti intrappolati durante degli incendi nelle daaras in assenza dei maestri coranici; 5 bambini deceduti dopo dei gravi incidenti stradali mentre tornavano nelle daaras dopo aver elemosinato spiccioli tutto il giorno.
E all’appello si aggiungono i minori lasciati in condizioni igeniche pericolose, come i 4 bambini che contrassero la malaria nel distretto di Saint-Louis, nel novembre del 2018. La carenza di un soccorso tempestivo ne provocò la morte di due, di nove e dodici anni. Nei giorni successivi le associazioni umanitarie vennero a conoscenza, con alcuni video, dello stato di fatiscenza degli edifici dove erano accampati, senza un tetto stabile, con mura sgretolate e pavimenti ricoperti dalle macerie, in una condizione di sporcizia che attraeva mosche, zanzare e insetti a farvi dimora, facendo esplodere malattie contagiose. Nella stessa daara, grazie all’aiuto di alcuni operatori sanitari, un’inchiesta portò alla scoperta di 35 bambini circoncisi, di cui uno deceduto in ospedale a causa di un’infezione da tetano, dopo anni di sofferenze e senza mai aver ricevuto medicinali.
Le leggi che dovrebbero mettere in cella i persecutori dei crimini contro i diritti umani dei bambini talibés, palesano una inefficienza del sistema di giustizia penale e un potere delle associazioni religiose. Da 2017 al 2019, su 18 processi conclusi contro i maestri coranici, vi sono state 3 sentenze di due anni di incarcerazione di non più di due anni per “assalti violenti che hanno indotto a morte involontaria” di minori ; 6 processi i cui capi di imputazione vanno dai reati di molestie sessuali, pedofolia e stupro, e gli incriminati hanno ricevuto dai 6 mesi ai 10 anni di prigione. Per il reato di induzione all’elemosina vengono sentenziate forme di recupero come i lavori forzati, previsti a vita dalla legge, ma nei fatti è ricorrente l’assoluzione e/o o una pena pecuniaria di 200.000 franchi.
Tanti sono i casi dove le pene carcerarie e i lavori forzati vengono decisi dalla Corte di giustizia solo laddove si riesce a dimostrare che il reato di violenza è associato a “un abuso di autorità sulla persona”, un parametro tra l’altro troppo spesso assente e che lascia indurre a sentenze funzionali per reati minori.
Human right watch ritrova le esperienze di sofferenza campionando 22 scuole coraniche, 15 delle quali considerate “daaras tradizionali”, dunque volte alla pratica dell’ induzione all’elemosina per strada, nelle regioni senegalesi di Dakar, Saint-Louis, Diourbel e Louga.
Nel 2014, solo nella regione di Dakar, l’Unità di anti-traffico nazionale del Senegal contava 1.006 scuole coraniche dove vi studiavano per certo 54.837 talibés, di cui oltre la metà, di preciso 30.160 bambini, erano costretti a mendicare. Nel 2018, la ONG “Iniziativa solidale globale” registrava una riduzione di circa 2000 talibés sfruttati a Dakar, ma lo stesso rapporto indicava invece un aumento di talibés sfruttati a Touba, la seconda città più popolata del Senegal, che si trova nella regione di Diourbel. Su 1.524 daaras “ufficiali” che ospitavano 127.822 bambini, 1.014 di queste scuole coraniche costringevano il 66% dei propri talibé al procacciamento di spiccioli. Nel gennaio del 2019, un collaboratore degli uffici di registrazione delle daaras metteva in dubbio i numeri delle scuole registrate, stimando che ve ne esistono migliaia abusive, improvvisate in edificio semi-distrutti e pericolosi. All’epoca, la Federazione nazionale delle scuole coraniche, dichiarava più di 16mila daaras ufficiali.
L’origine dei bambini non sempre è senegalese. Il Senegal è, piuttosto, anche il punto di approdo e di sviluppo economico per i trafficanti di esseri umani, che grazie al fenomeno clandestino delle migrazioni di bambini, costringono le piccolissime vittime provenienti dalla Guinea-Bissau, dal Gambia, dal Mali, dalla Mauritania e Nigeria a mendicare nelle regioni senegalesi. In realtà lo sfruttamento dei bambini talibés coinvolge tutti gli Stati membri del Sahel: Burkina Faso, Ciad, Libia, Mali, Niger, Sudan. In quest’ultima nazione le scuole religiose destinate ai bambini poveri sono chiamate “Khalwas” e se ne contano più di 30 mila.
Ciononostante, riconoscere la violazione dei diritti umani contro i talibés si prospetta essere una strada più lunga dei chilometri che questi bambini tracciano. Perché anche se, per esempio in Italia, una sentenza della Corte di Appello di Potenza datata 6 marzo 2020 decretava il diritto di asilo politico ai minori che riescono a dare prova della loro condizione di schiavitù per mendicare in Africa, vi sono ancora enormi sofferenze psicologiche che non tutti riuscirebbero a documentare di fronte a una Commissione territoriale e all’apparato istituzionale che filtra i diritti dei richiedenti asilo. Ancora una volta, è dimostrato che fare pietà non paga un soldo. Pagine Esteri