della redazione

Pagine Esteri, 20 settembre 2023Gibuti sul Mar Rosso è un piccolo Stato  africano che ospita ben otto basi militari straniere. È geograficamente vicino allo stretto di Bab-el-Mandeb, sulla strategica corsia di navigazione del Golfo di Aden. E le guerre Yemen e in Somalia ha accresciuto la sua importanza. Gibuti ospita basi appartenenti a Germania, Spagna, Italia, Francia, Stati Uniti, Regno Unito, Cina e Arabia saudita, situate a brevissima distanza l’una dall’altra. Anche Russia e India hanno un forte interesse nel creare basi militari lì. Inoltre, la lotta contro i jihadisti di Al-Shabab in Somalia, le operazioni antipirateria nel Golfo di Aden e i traffici marittimi cominciano ad attirare persino il Giappone.

Gibuti aveva perso la sua rilevanza geostrategica con la fine della Guerra Fredda. Poi gli attacchi dell’11 settembre e la successiva “guerra globale al terrore”, insieme all’escalation delle questioni di sicurezza marittima nel Golfo di Aden e sulla costa occidentale dell’Oceano Indiano, hanno rilanciato la competizione geostrategica dando al piccolo Stato una nuova importanza con risvolti economici significativi.

Tuttavia, ci sono rischi non secondari per Gibuti legati all’aumento di basi di terra e marittime. In primo luogo, ospitare postazioni militari di diverse nazioni può rappresentare una minaccia per la capacità del paese di prendere decisioni indipendenti. Gli interessi talvolta contrastanti degli attori internazionali possono influenzare i suoi processi decisionali. Il caso dei moli di Doraleh spiega bene come l’indipendenza decisionale del paese sia stata messa a dura prova quando gli Stati Uniti hanno protestato riguardo al trasferimento alla Cina dei diritti operativi del porto. Anche se le autorità di Gibuti hanno negato la cessione di Doraleh alla Cina, le rassicurazioni verbali non sono state sufficienti a dissipare i dubbi di Washington. Il generale Thomas D. Waldhauser ha avvertito che “se i cinesi prenderanno il controllo di quel porto, ci potrebbero essere conseguenze significative”. In risposta, il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, ha replicato: “Speriamo che la parte statunitense possa vedere in modo obiettivo ed equo lo sviluppo della Cina e la cooperazione tra Cina e Africa”. Anche se Gibuti ha promesso di rispettare gli interessi strategici degli Stati Uniti, l’Amministrazione Usa vede con grande sfavore la possibilità che lo Stato africano diventi un importante snodo commerciale nel Corno d’Africa grazie al crescente coinvolgimento di Pechino nei progetti di sviluppo di Gibuti.

La vicenda dimostra che, in un modo o nell’altro, i programmi futuri di questa nazione portuale sono fortemente condizionati dagli interessi degli attori globali.

Il secondo rischio potenziale è la perdita di legittimità del governo di Gibuti a livello nazionale e internazionale. Quando il paese non è apparso in grado di ripagare il suo crescente debito estero – salito dal 50% del suo Pil nel 2016 al 104% nel 2018, con la maggior parte dei prestiti provenienti da Pechino – la crisi di legittimità è apparsa molto concreta. In questo contesto, nella migliore delle ipotesi la crescente dipendenza di Gibuti dai prestiti cinesi potrebbe fornire al gigante asiatico un’importante leva di intervento negli affari del paese. Nella peggiore l’indebitamento crescente potrebbe trasformare Gibuti in un satellite cinese nel Corno d’Africa. E le reazioni Usa in questo caso sarebbero imprevedibili.

La competizione per le basi a Gibuti inoltre è una delle ragioni dell’instabilità nella regione e la presenza militare straniera oltre a riempire le tasche di figure locali alimenta le rivalità nel Golfo di Aden e nell’Oceano Indiano occidentale con rischi evidenti. Va anche sottolineato che i paesi del Corno d’Africa sono spesso soggiogati da regimi autoritari e gli attori globali non poche volte diventano i principali sostenitori e finanziatori di tali governi. Finché gli interessi delle potenze regionali e internazionali sono protetti, l’autoritarismo è tollerato nel Corno d’Africa e i diritti umani e politici delle popolazioni passano in secondo piano. Pagine Esteri