di Pietro Figuera*

Pagine Esteri, 19 novembre 2021 – Pur in assenza di una corsa allo spazio paragonabile a quella del secolo scorso, sempre più attori stanno rivolgendo le proprie mire oltre l’atmosfera terrestre. Tra questi, diversi del Medio Oriente – Emirati Arabi, Turchia, Arabia Saudita – testimoniano gli scopi politici della nuova tendenza. La Russia, afflitta da problemi interni al proprio settore cosmonautico, non resta a guardare ma propone accordi di cooperazione utili a rilanciarsi e ad alzare la posta dello scontro con gli Usa.

Da molti anni si parla di un ritorno della competizione extra atmosferica, anche se non abbiamo ancora assistito – e difficilmente assisteremo, nel prossimo futuro – a qualcosa di simile a ciò che fu la corsa allo spazio della Guerra fredda. Manca un vero confronto bipolare, ma soprattutto è sparito quel clima di entusiasmo e di fiducia nella scienza che aveva accompagnato le missioni degli anni Sessanta del secolo scorso. Spesso latitano, conseguentemente, i fondi destinati dagli Stati ai programmi spaziali più ambiziosi. Tant’è vero che molti dei traguardi più attesi – tra gli altri, il ritorno sulla Luna e la prima missione umana su Marte – vengono continuamente rinviati in favore di progetti meno simbolici.

Ciò non vuol dire che la corsa allo spazio si sia arrestata. Anzi. Sono platealmente aumentati gli attori in grado di superare l’atmosfera terrestre, per lanciare in orbita satelliti, organizzare passeggiate spaziali o condurre missioni di ricerca scientifica. Senza contare gli scopi militari e d’intelligence. A rinfoltire la schiera, sia i privati (SpaceX, Planet Labs, Rocket Labs, Blue Origin, Axiom) che gli Stati, spesso appartenenti alla cerchia delle cosiddette potenze minori. Almeno quelle che intravvedono nei lanci spaziali una nuova opportunità di sviluppo tecnologico, visibilità, prestigio.

La “democratizzazione” dello spazio ha raggiunto livelli inaspettati, fino a coinvolgere sempre più Paesi del Medio Oriente e del Nordafrica. Ad oggi, oltre la metà di essi ha sviluppato programmi spaziali governativi, mentre la spesa totale nel settore per l’area è quasi raddoppiata in un solo decennio (da 755 milioni di dollari  a 1,3 miliardi)[1]. Storicamente, i primi attori regionali a rivolgere le proprie mire nel cielo sono stati Israele, l’Egitto, l’Arabia Saudita, l’Iran e pure l’Iraq di Saddam Hussein. Ma oggi un nuovo Paese sta registrando la crescita più vistosa dei propri programmi (e successi) spaziali, colmando il gap con gli altri e addirittura superandoli in certi ambiti: gli Emirati Arabi Uniti.

Abu Dhabi, guidata di fatto dall’ambizioso Mohammed bin Zayed Al Nahyan (giornalisticamente abbreviato in MBZ, al pari dell’“omologo” saudita Bin Salman/MBS) sta infatti provando con un certo successo a scalare le gerarchie regionali, imponendo la propria presenza anche a una certa distanza dai propri confini – ad esempio in quella Libia dove è stata tra i primi sponsor delle forze di Haftar. Ma la geopolitica non è fatta solo di armi e petrodollari. Ed ecco dunque che in soli sette anni dalla creazione di un’agenzia spaziale nazionale (2014), gli Emirati hanno portato il proprio primo uomo nello spazio (Hazza al-Mansouri, nel 2019) e inviato una sonda in orbita su Marte (lo scorso 9 febbraio).

Risultati eccezionali che non sarebbero mai potuti arrivare da soli, neanche a fronte dei massicci investimenti destinati al settore. Gli EAU – che tra le altre cose hanno acquistato il 37,8% di Virgin Galactic – si sono avvalsi di accordi di cooperazione con Cina, Russia, India, Giappone, Francia e Regno Unito, oltre che naturalmente con gli Usa (via Nasa)[2]. E nel 2019 hanno  formato assieme ad altri Paesi (Arabia Saudita, Giordania, Bahrein, Kuwait, Libano, Egitto, Sudan, Algeria, Marocco) un gruppo di coordinamento per lo sviluppo del settore, l’Arab Space Coordination Group[3].

Di una certa importanza è stata la cooperazione tra Abu Dhabi e Mosca, attiva almeno dal 2018 per diversi progetti: la preparazione e il volo del primo cosmonauta emiratino, gli investimenti congiunti per la ricostruzione della rampa di lancio di Baikonur (il cosmodromo, oggi in Kazakistan, che vide partire Yuri Gagarin il 12 aprile 1961), e da ultimo l’accordo per l’esplorazione pacifica dello spazio, stretto alla fine dello scorso ottobre. Benché non esente da difficoltà[4], dovute in particolare alla concorrenza della Nasa, la cooperazione bilaterale con gli Emirati è tenuta in grande considerazione dalla Russia, come testimonia anche l’interesse riservatole dai suoi media.

Da anni infatti il Cremlino sta attuando un vasto piano di rilancio della sua diplomazia spaziale, che adesso può avvalersi anche di una maggiore influenza in Medio Oriente. Con alcuni Paesi tratta per progetti avanzati: è il caso ad esempio della Turchia, con cui discute della costruzione di un cosmodromo in Anatolia – Ankara vorrebbe festeggiare il centenario della propria repubblica (2023) con l’avvio di un ciclo di missioni lunari, nientemeno. Con molti altri, anche al di fuori del Medio Oriente, si limita a stipulare accordi per la non proliferazione di sistemi d’arma nello spazio.

Non importa se in larga parte i Paesi in oggetto (tra cui la Sierra Leone, il Burundi, la Cambogia, il Guatemala, il Suriname…) hanno programmi spaziali embrionali o pressoché inesistenti, tantomeno prevedono in un ragionevole futuro di possedere o adoperare simili strumenti militari. Quel che conta, per il Cremlino, è il numero dei soggetti da coinvolgere nelle sue contrattazioni[5]. Sia per convincere i rivali statunitensi a non avventurarsi in un terreno minato, laddove manchi un diffuso consenso internazionale sulla questione (che Mosca anzi sta provando a compattare in direzione opposta). Sia più in generale per dimostrare di essere attiva e determinante, a discapito delle crescenti difficoltà interne al settore.

Non è un mistero infatti che Roscosmos, l’agenzia spaziale russa, non navighi in acque tranquille. Dopo alcuni anni di assestamento dovuti alla sua rifondazione, è finita nel 2018 nell’occhio del ciclone a seguito delle dichiarazioni di Aleksej Kudrin, presidente della Camera dei Conti della Federazione: l’ex ministro delle Finanze ne aveva denunciato le “spese irrazionali” e la corruzione, oltre a definirla come l’impresa pubblica con le maggiori perdite del Paese[6]. A conferma di ciò, lo scorso settembre l’agenzia ha annunciato che le entrate sono diminuite di 25 miliardi di rubli e l’utile netto di 1 miliardo nel 2020[7], probabilmente danneggiata anche dalle sanzioni occidentali[8].

Al di là di alcuni lanci propagandistici, la Russia deve quindi fare i conti con le carenze del settore. Il suo programma spaziale potrà proseguire con una postura “conservativa” delle tecnologie ed esperienze già esistenti[9], e non potrà con ogni probabilità realizzare il progetto di una stazione spaziale indipendente – alternativa all’ISS lanciata (ancora a parole) con intento provocatorio, dopo decenni di cooperazione in orbita con l’Occidente.

Anche questo spiega l’attivismo spaziale russo in Medio Oriente – e in generale in tutti i continenti. Mosca cerca sponde per trasmettere la sua expertise e la percezione di essere ancora determinante nel settore – sfruttando ancora la rendita dei suoi successi nella Guerra fredda. Ma soprattutto, punta su nuove convergenze per rallentare il predominio statunitense e partecipare – pur da comprimario, in certi casi – alla crescita dei programmi spaziali più promettenti, dagli Emirati alla Cina. Senza rinunciare alla propria identità e al fascino che le missioni spaziali hanno da sempre esercitato sui suoi cittadini.

 

[1] https://www.middleeasteye.net/news/uae-mars-middle-east-space-exploration-history

[2] https://arabcenterdc.org/resource/arab-space-programs-level-up/

[3] https://www.nationaldefensemagazine.org/articles/2020/2/3/middle-east-allies-look-to-expand-space-capabilities

[4] https://www.al-monitor.com/originals/2021/11/russia-mideast-space-cooperation-still-waiting-lift

[5] https://www.gazeta.ru/politics/2021/02/26_a_13492994.shtml?updated

[6] https://meduza.io/news/2018/11/25/aleksey-kudrin-nazval-roskosmos-rekordsmenom-po-finansovym-narusheniyam

[7] https://www.kommersant.ru/doc/5009234

[8] https://www.roscosmos.ru/31384/

[9] https://jamestown.org/program/roscosmos-suffers-from-russias-confrontation-with-the-us/

 

*Laureato in Relazioni Internazionali presso l’Alma Mater di Bologna e in seguito borsista di ricerca con l’Istituto di Studi Politici S.Pio V, si è specializzato in storia e politica estera russa, con particolare riferimento all’area mediorientale. Autore de “La Russia nel Mediterraneo: Ambizioni, Limiti, Opportunità”, collabora con diverse realtà, tra cui la rivista Limes, il Groupe d’études géopolitiques e il programma di Rai Storia Passato e Presente. Ha fondato e dirige Osservatorio Russia, progetto di approfondimento sulla geopolitica dello spazio post sovietico.