di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 10 dicembre 2021 – Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un aumento vertiginoso del prezzo del gas naturale, che ha fatto esplodere il costo dell’energia elettrica e quindi di molte merci e prodotti agricoli e alimentari. Il boom del prezzo del gas ha contagiato anche i mercati del petrolio (+27%) e del carbone (+50%). A novembre l’amministratore delegato di Saudi Aramco, la più grande compagnia petrolifera del pianeta, ha dichiarato che la capacità di adeguare l’offerta mondiale di petrolio alla crescita della domanda si sta riducendo più in fretta del previsto, costringendo a intaccare le scorte. Alcuni paesi, in particolare Cina e Giappone, in difficoltà per la penuria di gas, hanno cominciato a produrre elettricità bruciando petrolio; altri hanno addirittura ricominciato a utilizzare il carbone, mentre in Europa la lobby nuclearista approfitta della crisi per tornare alla carica.
Anche se molti media e alcuni governi europei hanno addebitato quanto accaduto a quello che è stato definito l’irresponsabile comportamento della dirigenza di Mosca, dietro l’aumento del prezzo del gas in alcune aree del mondo ci sono diversi fattori, alcuni dei quali congiunturali e altri di natura strutturale, oltre a motivi di carattere geopolitico.

Il boom dei consumi
Ad aumentare le tensioni ha contribuito il boom dei consumi energetici e della domanda di materie prime, determinato dalla ripresa economica mondiale seguita alla crisi causata dal Covid, con i lockdown e il conseguente rallentamento della produzione industriale e della mobilità. L’offerta non è stata finora in grado di far fronte all’impennata dei consumi di gas (e di materie prime) generando così un “energy crunch”. L’aumento dei prezzi è dovuto principalmente alla fame di energia dell’Asia. Da gennaio ad agosto la Cina, il paese che ha sofferto di meno la crisi economica causata dal Covid19, ha importato il 22% di gas in più rispetto al 2020, sia per aumentare le riserve sia per soddisfare la crescita della produzione e dei consumi. Ciononostante, alcune regioni della Repubblica Popolare hanno dovuto razionare l’elettricità e fermare le fabbriche per un certo periodo.
Al contrario, le importazioni di GNL nell’Unione Europea e nel Regno Unito sono diminuite del 17%. A soffrire sono soprattutto le aree del mondo che non sono autosufficienti e devono importare i combustibili fossili. I prezzi sono cresciuti moltissimo in Europa ed in Asia, mentre si sono mantenuti relativamente stabili negli Stati Uniti e negli altri paesi produttori come Russia, Iran, Qatar, Norvegia e Algeria.

Il ruolo della speculazione
Approfittando della situazione, le grandi compagnie energetiche hanno ulteriormente gonfiato i prezzi.
Ad incidere sulla crescita dei prezzi è anche un fattore che sta diventando strutturale, cioè la progressiva finanziarizzazione del mercato del gas con l’aumento dell’utilizzo dei cosiddetti futures e dei CFD (Contract for difference), strumenti finanziari derivati il cui uso non comporta lo scambio fisico ma prevede il pagamento in contanti della variazione di valore della materia prima alla scadenza del contratto. In questo tipo di scambi un deposito limitato messo in garanzia consente di sottoscrivere contratti per un valore multiplo. Le operazioni speculative in derivati influenzano sempre più i mercati causando un aumento dei prezzi della materia prima trattata. La strategia dei potenti gruppi finanziari è quella di far lievitare i prezzi per rivendere i futures a un prezzo più alto. Nel 2020, nonostante l’economia mondiale fosse in gran parte ferma, il numero dei futures ha raggiunto il livello record di 46 miliardi, il 35% in più rispetto al 2019. In particolare, a speculare sul prezzo del gas europeo sono stati cinque Fondi basati negli Stati Uniti.

Il braccio di ferro con Mosca
Sull’aumento del prezzo del gas incidono fattori di tipo geopolitico, conseguenti ai conflitti tra diverse potenze e blocchi. Di questi conflitti sembra fare le spese soprattutto l’Unione Europea, che è assai lontana dall’autosufficienza energetica e che al tempo stesso subisce lo scontro tra Washington e Mosca.
L’obiettivo strategico dell’UE è emanciparsi dalla dipendenza energetica ma la realtà è completamente diversa: la confederazione dipende, per gli approvvigionamenti di gas, soprattutto dalla Russia e in secondo luogo dall’Algeria.
Il 40% circa del gas consumato nell’UE proviene infatti da Mosca, e la Russia utilizza ovviamente questo primato come strumento di pressione per convincere Bruxelles a mutare politica nei suoi confronti. Mosca vuole che l’UE rinunci alle sanzioni emanate nel 2014 dopo l’annessione della Crimea e a rallentare l’entrata in funzione del gasdotto Nord Stream 2, che dovrebbe portare in Germania 110 miliardi di metri cubi di gas russo ogni anno, transitando nel Mar Baltico e bypassando così Ucraina e Polonia, rivali di Mosca. Il Nord Stream 2 duplicherebbe le forniture all’Europa, ma le regole dell’Ue di
unbundling prevedono una netta separazione tra la proprietà della produzione e quella della distribuzione, mentre Gazprom possiede entrambe le filiere. Per questo il 16 novembre l’agenzia federale tedesca Bundesnetzagentur, che controlla la rete di distribuzione degli idrocarburi nel paese, ha sospeso l’iter di approvazione del nuovo gasdotto.

Inoltre l’UE ha ridotto gli accordi a lungo termine con la compagnia energetica russa e ricorre spesso ad acquisti di piccole partite di gas, pagate in giornata sui “mercati spot”. Ciò non solo provoca un ulteriore e consistente aumento dei prezzi – gli accordi a lungo termine per grandi quantità di gas sono assai più vantaggiosi per i compratori – ma indispettisce Mosca, timorosa che la volontà europea di non volersi impegnare a lungo termine sia la conseguenza delle pressioni statunitensi, le stesse che tentano di boicottare l’entrata in funzione del Nord Stream 2.
Impegnata a rifornire i più strategici clienti asiatici e a rimpinguare le proprie riserve, all’inizio dell’estate la Russia ha ridotto i rifornimenti all’Europa, contribuendo al rialzo dei prezzi e suscitando il timore che l’inverno costringa i governi a razionare i consumi e a rallentare l’economia proprio quando questa ha iniziato a riprendersi dopo il tracollo provocato dalla pandemia.
Secondo i dati forniti dalla Gazprom, nei mesi scorsi le esportazioni di gas dirette in Europa attraverso la Bielorussia sono crollate fino al 70%; anche se Mosca ha assicurato che manterrà gli impegni a lungo termine e a novembre ha aumentato i flussi, la precedente chiusura dei rubinetti ha causato scompiglio.


Washington accusa Mosca di uso politico delle fonti energetiche ma continua a premere affinché Bruxelles aumenti l’acquisto di gas statunitense, che è molto più caro (e quindi quanto più le quotazioni aumentano più diventa concorrenziale) e oltretutto viene estratto da scisti bituminosi con una tecnica di fratturazione che provoca gravi danni ambientali. Nel 2018 una dichiarazione congiunta di Trump e del presidente della Commissione Europea Juncker ha impegnato l’UE a «importare più gas naturale liquefatto (Lng) dagli Stati Uniti per diversificare il suo approvvigionamento energetico».
Ursula von der Leyen ha più volte accusato Mosca di ricattare l’UE ed ha elogiato la decisione della Norvegia di aumentare i flussi di gas, il che però non è sufficiente a mettere in sicurezza l’Europa, già alle prese con la chiusura di uno dei maggiori giacimenti europei, quello di Groningen nei Paesi Bassi.


La Moldavia nella morsa di Gazprom
A fare le spese della tensione tra Russia e UE/USA è stata negli ultimi mesi soprattutto la Moldavia. L’ex repubblica sovietica si sta spostando sempre più verso Bruxelles, come dimostra la vittoria alle ultime elezioni politiche del partito europeista “Azione e Solidarietà” a danno dei partiti filorussi, sconfitti anche nel 2020 da Maia Sandu, ex dirigente della Banca Mondiale, eletta presidente della Repubblica.
Secondo alcune fonti, Gazprom avrebbe proposto a Chisinau di rinnovare il vecchio contratto allo stesso vantaggioso prezzo precedente, in cambio però di un suo allontanamento del paese dall’UE, con cui la Moldavia ha siglato un trattato di associazione nel 2016. Avendo ottenuto un rifiuto, la compagnia energetica russa ha quasi triplicato il prezzo del gas – da 260 a 683 euro ogni mille metri cubi – e ha preteso il pagamento di un credito di 700 milioni risalente agli anni ’90. Nell’impossibilità di pagare, Chisinau ha chiesto aiuto a Bruxelles, che ha contribuito con 60 milioni, ed ha acquistato un milione di metri cubi di gas dalla Polonia e altri 500 mila dall’Ucraina. Ma i nuovi contratti non sono sufficienti e il 20 ottobre il governo moldavo ha dichiarato lo stato d’emergenza. Con una soluzione di compromesso, il 29 ottobre Gazprom e Moldovagaz hanno firmato un nuovo contratto quinquennale che fissa il prezzo a 400 euro per mille metri cubi, a condizione però che Chisinau pagasse entro il 22 novembre le forniture ricevute nelle ultime 8 settimane. La Moldavia ha versato l’importo il 26 novembre, grazie all’approvazione d’urgenza di un apposito decreto da parte del Parlamento moldavo. Dal prossimo maggio però Chisinau dovrà versare tutti gli altri arretrati, e non è detto quindi che la crisi con Gazprom non esploderà di nuovo.

Il Turkstream
All’interno della “guerra dei gasdotti”, nel 2014 l’amministrazione Obama e l’UE hanno bloccato il South Stream, un gasdotto in via di realizzazione che avrebbe portato il gas russo in Italia attraverso il Mar Nero e i Balcani. La Russia ha rimediato in parte realizzando il Turkstream che porta il suo gas sulla porzione europea della Turchia e poi in Serbia e in Croazia. Inoltre, il 29 settembre Gazprom e la compagnia Mvm Energy hanno firmato due contratti a lungo termine per la fornitura all’Ungheria di gas russo per 15 anni. Una sconfitta pesante per gli Usa, considerando che Croazia e Ungheria fanno parte della Nato. Dell’entrata in funzione del Turkstream, l’8 gennaio 2020, doveva avvantaggiarsi soprattutto la Turchia ma non è stato così, a causa dell’aumento dei prezzi in concomitanza con la scadenza di alcuni grossi contratti. A causa del grande caldo e della siccità, molte centrali idroelettriche si sono fermate e il paese ha dovuto bruciare gas per sopperire alla mancanza di energia.

La crisi tra Algeria e Marocco
L’ultima crisi del gas in ordine cronologico è quella tra Algeria e Marocco, due paesi protagonisti di un duro conflitto.
Il primo novembre Algeri ha cessato le forniture di gas a Rabat, prima garantite dal gasdotto Maghreb-Europa (MEG), una condotta lunga 1400 km che ogni anno trasportava 10 miliardi di metri cubi dall’Algeria alla penisola iberica passando per il Marocco. In attesa che l’Algeria ripristini il flusso verso la Spagna attraverso il gasdotto Medgaz (che transita direttamente nel Mediterraneo), attualmente il gas arriva sulle coste iberiche a bordo di navi cisterna, causando un rallentamento delle forniture e un aumento dei prezzi.

L’assenza del controllo pubblico e la povertà energetica
Alcuni governi europei hanno approvato, o stanno per farlo, misure volte a contrastare gli effetti negativi sull’economia e sulla società del boom dei prezzi del gas e dell’elettricità. Si va dalla diminuzione delle imposte alla messa a disposizione di una parte delle riserve strategiche di idrocarburi fino ad un contributo ai consumatori meno abbienti.
Spesso, però, queste misure si sono rivelate parziali e comunque hanno evitato di intaccare, quantomeno in maniera consistente, gli enormi profitti delle multinazionali dell’energia.
Le conseguenze sulle fasce più deboli della popolazione europea si stanno già facendo sentire. Nel 2020 almeno tre milioni di cittadini europei non hanno potuto permettersi il “lusso” di scaldare le proprie abitazioni e molti di più non hanno potuto farlo in maniera sufficiente e costante. Ora, il forte aumento dei prezzi dell’elettricità e del gas (solo in Italia le bollette per cittadini e imprese sono cresciute di parecchi miliardi di euro) sta avendo drammatiche ripercussioni sull’aumento della povertà energetica, termine che definisce l’impossibilità da parte delle persone di procurarsi una sufficiente offerta di beni e servizi energetici diretti al riscaldamento, all’illuminazione, alla cottura degli alimenti e al raffreddamento.
Nel 2020, secondo Eurostat, il paese dove più alto è stato il tasso di povertà energetica è la Bulgaria, con il 27,5% del campione preso in esame. Seguivano la Lituania (23,1%), Cipro (20,9%), il Portogallo (17,5%), la Grecia (16,7%), l’Italia (11%) e la Spagna (10,9%). Mediamente, nel 2020, circa l’8% della popolazione dell’Unione Europea soffriva una condizione di povertà energetica, e secondo tutti gli indicatori la situazione è nel frattempo notevolmente peggiorata.

Paradossalmente, un fattore che potrebbe contribuire a ridurre i consumi energetici e quindi a calmierare i prezzi potrebbe essere l’imposizione di nuovi lockdown imposti dall’andamento della pandemia. Le soluzioni adottate finora dagli esecutivi non produrranno effetti duraturi. Solo una definanziarizzazione dei mercati degli idrocarburi, uno stretto controllo e una limitazione dei profitti delle multinazionali e consistenti investimenti pubblici per lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili e alternative potranno generare effetti a lungo termine sui prezzi e a beneficio dell’ambiente.

Sino a quando il monopolio della gestione del settore verrà lasciato ai grandi gruppi privati e non affidato a imprese pubbliche capaci di amministrarlo in maniera più razionale e giusta, difficilmente la situazione cambierà. E a soffrire saranno sempre più i settori economicamente più deboli della società e i paesi non autosufficienti. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive tra le altre cose di Spagna e movimenti di liberazione nazionale.

 

FONTI E LINK DI APPROFONDIMENTO

https://www.editorialedomani.it/economia/dati/arresto-nord-stream-2-sale-prezzo-del-gas-germania-russia-udr8qkl5

https://ilmanifesto.it/esplodono-i-prezzi-nella-battaglia-del-gas/

https://ilcaffegeopolitico.net/934857/moldavia-e-finita-la-crisi-del-gas

https://www.nytimes.com/2021/10/29/climate/europe-energy-crisis-cop.html

https://www.limesonline.com/le-possibilita-e-i-limiti-degli-usa-come-superpotenza-energetica/108369

https://energy-poverty.ec.europa.eu/index_en