di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 14 dicembre 2021 (foto di Ray Smith) – I palestinesi hanno scritto negli ultimi giorni un’altra pagina amara della loro storia recente, mentre il premier israeliano Naftali Bennett portava a termine con successo la sua «visita storica» negli Emirati, un ulteriore salto in avanti dell’alleanza arabo-israeliana nel Golfo. «Abbiamo avuto conversazioni approfondite, significative e sincere…Esco da questo incontro con grande ottimismo», ha detto Bennett al termine di un colloquio di oltre quattro ore con il principe ereditario degli Emirati Mohammed bin Zayed. In casa palestinese in quelle stesse ore si piangevano nuovi morti. Alcuni in un campo profughi, Burj el Shamali, in Libano del sud, frutto dello scontro mai risolto tra il movimento islamico Hamas e il partito Fatah del presidente dell’Anp e dell’Olp Abu Mazen. Un altro palestinese, Jamil Kayyal, è stato ucciso nella notte tra domenica e lunedì in Cisgiordania da colpi d’arma da fuoco alla testa sparati da soldati israeliani durante un’incursione a Ras Al Ain, un quartiere di Nablus. Khayyal, dice il portavoce militare israeliano, era armato e avrebbe sparato. Da parte palestinese non ci sono conferme. Nel pomeriggio, durante i funerali di Kayyal, sono scoppiati nuovi scontri, con feriti, tra giovani palestinesi e reparti dell’esercito israeliano. Venerdì scorso i militari israeliani avevano ferito mortalmente Jamil Ayyash, 31 anni, durante una nuova protesta nel villaggio di Beita contro la colonia israeliana di Evyatar.
Non è semplice la ricostruzione dell’accaduto domenica a Burj al Shamali. Non è chiaro per quale motivo uno o più uomini armati hanno aperto il fuoco su un corteo funebre. Migliaia di persone stavano partecipando ai funerali di Hamza Shaheen, un militante del movimento islamico Hamas, morto venerdì notte in un’esplosione. Hamas ha attribuito la causa della violenta deflagrazione a un cortocircuito elettrico, che ha incendiato un magazzino con bombole d’ossigeno per pazienti Covid. Per altri il magazzino era un deposito di armi. Comunque sia, domenica mentre la folla sfilava dietro il feretro, sono partite raffiche di armi automatiche che hanno ucciso quattro persone, tre delle quali militanti o simpatizzanti di Hamas. Per il movimento islamico a sparare sono stati uomini del partito rivale Fatah che, si legge in un comunicato, «hanno aperto il fuoco deliberatamente e con l’intento di uccidere i partecipanti al corteo funebre». Fatah nega con decisione. Il suo segretario generale a Tiro ha condannato la sparatoria ed escluso che il suo movimento sia responsabile dell’accaduto. E allora chi ha aperto il fuoco e perché.
Le ipotesi non mancano. Per alcune fonti a sparare sarebbero stati realmente uomini di Fatah, poco dopo una rissa con militanti di Hamas. O forse in reazione allo strapotere ostentato dal movimento islamico che ormai controlla i campi profughi palestinesi nel sud del Libano, a cominciare da Burj al Shamali. Hamas in Libano ha una maggiore libertà di movimento ed azione rispetto alla Cisgiordania occupata da Israele e non deve nascondere i suoi miliziani e le sue armi. E come sta gradualmente avvenendo nei Territori occupati, anche nel paese dei cedri aspira a diventare la forza più popolare tra i profughi palestinesi. Gira infine l’ipotesi del complotto. Qualcuno parla degli uomini che hanno aperto il fuoco a Burj al Shamali come di mercenari incaricati di alimentare il dissidio tra Hamas e Fatah e di accrescere l’astio dei libanesi contro la presenza dei palestinesi dando forza a chi preme per operazioni militari nei campi profughi.
La scorsa settimana è sembrato che lo status dei palestinesi in Libano stesse finalmente per subire una rivoluzione. Il ministro del lavoro, Mustafa Bayram, del movimento sciita Amal, aveva annunciato di voler rimuovere le restrizioni imposte ai palestinesi, per dare loro la possibilità di esercitare professioni e di contribuire al tessuto dell’economia del Paese. Sul ministro si è abbattuto un diluvio di proteste. Il più ardente oppositore del progetto è Gebran Bassil, cognato del presidente Michel Aoun e suo possibile successore. «Si tratta di una naturalizzazione sotto mentite spoglie dei palestinesi…non permetteremo il furto di posti di lavoro ai libanesi» ha protestato. Pagine Esteri
Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2021 dal quotidiano Il Manifesto