di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 18 ottobre 2021 – Sul fronte della lotta del popolo saharawi per il raggiungimento dell’autodeterminazione si sono registrate nelle ultime settimane delle importanti novità.
La più recente riguarda la nomina, da parte delle Nazioni Unite, del diplomatico italo-svedese Staffan De Mistura come inviato speciale di Antonio Guterres per la risoluzione del contenzioso tra il Sahara Occidentale (considerato dall’Onu “territorio in via di decolonizzazione”) e il Marocco. Il conflitto è iniziato a metà degli anni ’70 del secolo scorso, quando l’ex colonia spagnola è stata occupata da Rabat subito dopo il ritiro delle truppe di Madrid. Da decenni ormai il Marocco occupa e sfrutta circa l’80% del territorio saharawi; finora tutte le proposte di soluzione negoziata sono state vane ed anzi recentemente sono ripresi gli scontri armati tra la guerriglia del Fronte Polisario (la maggiore delle organizzazioni della resistenza) e l’esercito di Rabat, mettendo fine ad un cessate il fuoco che durava dal 1991. Teoricamente l’Onu ha decretato che la questione sia risolta attraverso un referendum per l’autodeterminazione della popolazione saharawi, ma il Marocco si è sempre opposto ed anzi lavora alacremente per annettere definitivamente i territori occupati in cambio di una qualche forma di autonomia. Lo scorso anno, inoltre, il governo marocchino ha ricevuto il sostegno da parte di Donald Trump, che in cambio della normalizzazione delle relazioni tra Rabat e Israele aveva riconosciuto la sovranità degli occupanti sui territori saharawi, nell’ambito dei cosiddetti “Accordi di Abramo”.

Da due anni ormai l’incarico di inviato speciale per il Sahara Occidentale era vacante a causa dei veti incrociati delle due parti che avevano bocciato di volta in volta i vari candidati. Questa volta a De Mistura è arrivato l’ok sia del Marocco sia del Fronte Polisario. In un comunicato il Polisario ha affermato di essere «impaziente di dialogare con il nuovo inviato su come intende compiere la sua missione al fine di consentire al popolo del Sahara Occidentale di esercitare il proprio legittimo e inalienabile diritto alla libertà, all’autodeterminazione e all’indipendenza».

Bruxelles sostiene la colonizzazione

Pochi giorni prima della nomina di De Mistura, i saharawi hanno festeggiato l’annullamento, da parte del Tribunale Generale dell’Unione Europea, di alcune clausole inserite in due accordi di cooperazione economica tra Bruxelles e Rabat. La sentenza, emessa il 29 settembre, si basa sul fatto che i due accordi sono stati «conclusi in violazione della decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue) del 2016 e senza il consenso del popolo del Sahara occidentale». Secondi i giudici della corte basata in Lussemburgo, i due accordi non sono validi perché sono stati firmati dalle due parti senza consultare i legittimi rappresentanti della popolazione dei territori occupati coinvolti nelle attività economiche al centro dei memorandum, e senza rispettare le risoluzioni dell’Onu sul Sahara Occidentale.

Nell’aprile del 2019 il Fronte Polisario aveva presentato un ricorso contro una decisione del Consiglio Ue che modificava alcune parti dell’Accordo di Associazione con il Marocco. Da una parte Ue e Marocco avevano modificato i Protocolli dell’Accordo di Associazione Euromediterraneo sull’importazione in Europa di prodotti agricoli originari del Marocco, includendo anche quelli provenienti dai territori occupati. Dall’altra vi era stata un’estensione dell’Accordo sulla Pesca tra UE e Marocco che includeva le acque territoriali saharawi. E questo nonostante la Corte lussemburghese avesse già dichiarato nel dicembre del 2016 che gli accordi tra i due contraenti non potessero includere il Sahara Occidentale, trattandosi di un territorio “non autonomo”. Ma sia la Commissione Europea sia i singoli governi continentali hanno ritenuto gli accordi validi in quanto a loro avviso le popolazioni locali erano state consultate (si trattava in realtà delle autorità locali imposte dalla potenza occupante e di alcune piccole realtà collaborazioniste). Ma il Tribunale Generale dell’UE non ha convalidato questa lettura di comodo; se l’UE, come annunciato, decidesse di ricorrere in appello, comunque, gli accordi continuerebbero a rimanere in vigore finché la corte lussemburghese non emetterà una sentenza definitiva.

Si tratta comunque di «una grande vittoria che scaturisce da un precedente giuridico importante a favore delle istanze del popolo saharawi nel suo percorso verso l’autodeterminazione», ha commentato Oubi Bouchraya, il rappresentante del Fronte Polisario in Europa.

Gli interessi europei

Da parte loro il capo della diplomazia europea Josep Borrell e il Ministro degli Esteri marocchino Nasser Bourita hanno annunciato l’adozione di tutte «le misure necessarie a garantire la continuazione e la stabilità delle relazioni commerciali». Il timore ora è che Bruxelles e Rabat mettano in scena delle nuove consultazioni fittizie della popolazione locale per poter giustificare la firma di nuovi accordi. La posta in gioco è infatti alta: il 73% circa delle esportazioni marocchine totali sono dirette verso l’Unione Europea. E una parte importante dei prodotti esportati proviene, illegalmente, dai territori occupati, come ad esempio i fosfati (circa 2,4 milioni di tonnellate annui estratti principalmente nel giacimento di Bucraa) impiegati nella fabbricazione di fertilizzanti e detergenti, o la sabbia del deserto impiegata per i ripascimenti delle spiagge di tutto il continente.

La sentenza del Tribunale Generale dell’UE colpisce in particolare gli interessi economici e gli investimenti della Francia e soprattutto della Spagna, paese che mantiene con Rabat intense relazioni economiche e commerciali anche se ufficialmente sostiene le rivendicazioni saharawi. Dei 128 grandi pescherecci autorizzati ad operare nelle acque del Sahara Occidentale – dalle quali proviene il 91% del pescato esportato dal Marocco nell’UE – ben 92 sono spagnoli.
In cambio dell’accesso alle acque “marocchine”, l’UE paga a Rabat ogni anno 52 milioni di euro, 12 dei quali versati dagli armatori delle imbarcazioni europee coinvolte, e permette l’esportazione in Europa dei prodotti agricoli “marocchini” a tariffe agevolate. Tra questi spiccano i pomodori: stando ad un rapporto realizzato dall’Ong basca “Mundubat” e dall’organizzazione agricola spagnola COAG, dal 7 al 14% dei pomodori marocchini che inondano i mercati europei sono in realtà prodotti a Dakhla, nel Sahara Occidentale occupato, da dove vengono trasportati via terra ad Agadir, dove vengono mescolati con pomodori locali ed etichettati come “made in Morocco”.

Colonizzazione e greenwashing

Gli attivisti saharawi e numerose associazioni internazionali per i diritti umani hanno più volte denunciato che il regime di Mohammed VI utilizza questi settori economici per richiamare masse di lavoratori marocchini nei territori occupati, discriminando la popolazione locale e tentando di modificare gli equilibri demografici della regione. Gli accordi tra Ue e Marocco, inoltre, favoriscono la realizzazione, sulle coste del Sahara Occidentale, di insediamenti coloniali finalizzati alla pesca industriale. Tali insediamenti, inglobati nel Piano Halieutis, rappresentano un ostacolo oggettivo ad una possibile soluzione politica del conflitto e al ristabilimento della legalità internazionale.

Per legittimare l’occupazione dei territori saharawi e convincere i paesi e le imprese europee a sostenerlo, il governo marocchino negli ultimi anni sta giocando anche la carta del “greenwashing” attraverso una strategia basata sulla realizzazione di impianti produttori di energia rinnovabile nelle zone occupate. In particolare è la corsa all’energia eolica e solare a fornire a Rabat il pretesto per rafforzare l’assimilazione dei territori occupati e giustificare la sua presenza militare.
A questo proposito nei mesi scorsi l’ong “Western Sahara Resource Watch” ha pubblicato un interessante report sui progetti del governo marocchino in questo campo, denunciando il ruolo svolto da aziende come l’italiana “Enel Green Energy” o la spagnola “Siemens Gamesa Renewable Energy”. Altre imprese internazionali coinvolte nella colonizzazione energetica del Sahara ex spagnolo sono l’ACWA Power (Arabia Saudita) o la ENGIE (Francia). L’ong accusa apertamente le multinazionali coinvolte di contribuire a «rendere politicamente più verde l’occupazione».

A settembre anche la statunitense General Electric ha firmato un nuovo accordo per ampliare la capacità produttiva della centrale eolica di Aftissat, nella zona occupata, che attualmente produce già 200 megawatt. Nel Sahara Occidentale attualmente sono in funzione altre due centrali eoliche, quella di Cimar e quella di El Oued. Tutte e tre producono circa 255 megawatt sui circa 1430 totali del Marocco, pari al 18%. Nel 2030, afferma l’ong, il 47% circa dell’energia eolica generata dal Marocco proverrà da centrali realizzate nella regione saharawi; nel settore fotovoltaico questa percentuale arriverà al 33%. Anche nella regione di Dakhla si è pianificata la realizzazione di due centrali che insieme dovrebbero produrre 940 megawatt.

L’Enel, documenta la “Western Sahara Resource Watch”, è proprietaria della maggior parte dei progetti sull’energia eolica adottati dal Marocco ed opera in partnership con “Nareva”, una compagnia energetica di proprietà della SNI, la holding di Mohammed VI. L’impresa italiana è coinvolta direttamente nella realizzazione di cinque centrali a energia solare, due delle quali previste nei territori occupati del Sahara, a Tiskrad e a Boujdour. Le centrali gestite da Enel, Siemens e Nareva – un appalto da ben 1,2 miliardi di euro – venderanno l’energia alla ONEE (l’Ente Nazionale per l’Elettricità e l’Acqua Potabile) per un periodo di 20 anni.
Nessuna di queste imprese, denuncia la “Western Sahara Resource Watch”, ha consultato la popolazione o negoziato con il Fronte Polisario, con la scusa che si tratta di progetti che porteranno comunque vantaggi economici alla regione e che sarebbe impossibile trovare interlocutori locali che non siano le autorità occupanti, le amministrazioni collaborazioniste o gruppi imprenditoriali.
Per convincere la comunità internazionale delle sue buone intenzioni sul piano ambientale, il governo marocchino ha inserito alcune delle centrali a energia rinnovabile realizzate nei territori occupati in un piano per la riconversione ecologica dell’economia presentato alla “Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico” (UNFCCC), che sarà uno dei progetti chiave discussi nel corso del vertice sul clima che si svolgerà a Glasgow nel mese di novembre. Una vetrina globale per le imprese e il greenwashing, accusano associazioni, ong e gruppi di esperti, e un’occasione da parte degli stati che violano i diritti umani per incentivare gli investimenti stranieri nel proprio territorio.
Per questo la “Western Sahara Resource Watch” chiede all’UNFCCC si tener conto che il Marocco sta legando il piano per la decarbonizzazione all’incremento della colonizzazione illegale del Sahara Occidentale.

*Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nordafrica. Scrive tra le altre cose di Spagna e Catalogna.

Link:

ACCORDO DI ABRAMO. Ramificazioni fino all’Atlantico, il caso del Sahara Occidentale

https://www.elsaltodiario.com/sahara-occidental/mar-indomable-pesca-plan-halieutis

https://www.publico.es/sociedad/sahara-occidental-agricultores-espanoles-acusan-rey-marruecos-competencia-desleal-tomates-cultivados-sahara-ilegalmente.html

https://wsrw.org/en/news/report-morocco-uses-green-energy-to-embellish-its-occupation