di Pietro Figuera – 

Pagine Esteri, 8 febbraio 2022 – Il russo sarà a breve una materia d’insegnamento obbligatoria nelle università della Repubblica Centrafricana (CAR), in sostituzione dello spagnolo. Una notizia[1] passata in sordina, come prevedibile – del resto i programmi di studio dell’Africa nera non sono certo al centro del nostro dibattito pubblico. Ma che in realtà, a uno sguardo un minimo più attento, svela molto di più di una scelta didattica.

A partire dalla provenienza dell’obbligo: nientemeno che il presidente Faustin-Archange Touadéra, con un interessamento che già dovrebbe farci sospettare qualcosa di più politico. Anche perché Touadéra, a capo della CAR dal 2016, si è da tempo circondato da uomini russi: dalle sue guardie del corpo al consigliere per la Sicurezza nazionale Valerij Zakharov – un ex ufficiale del GRU, l’intelligence militare della Federazione Russa. E più in generale, la classe dirigente del Paese – tra i meno sviluppati del continente africano – ha mostrato negli ultimi anni chiari segni di affiliazione nei confronti del Cremlino.

Accostamento bizzarro, si dirà. Persino esotico, contando la distanza geografica tra la gelida Mosca e la torrida, quasi equatoriale Bangui. Ma non privo di senso geopolitico. Come, più in generale, il coinvolgimento russo in Africa. Da qualche tempo, a Mosca, fioccano gli inviti – in forma di richieste di aiuto – da parte delle leadership dell’Africa sub-sahariana, dal Mali alla Namibia. Probabile merito dell’emergente soft power russo, che all’intervento in Siria ha dato una certa risonanza – musica per le orecchie sensibili dei Paesi più in difficoltà nel controllo del proprio territorio. Il mantra è sempre lo stesso: lotta al terrorismo e stabilità – qualsiasi cosa si intenda con queste due parole, e a certe latitudini è lecito chiederselo. Più defilato, invece, un altro messaggio: venite a sostituire gli ingombranti francesi, protettori ufficiali da troppo tempo e non sempre coerenti ed efficaci nelle loro iniziative[2].

La Russia, in genere, non si fa attendere su queste cose. Tasta subito il terreno con le sue milizie private. A dirla tutta, alcune di esse – come il famigerato Gruppo Wagner fondato da Evgenij Prigozhin – fanno ormai un certo rumore, anche per l’interesse mediatico occidentale che tende persino a enfatizzarne le mosse. Ma in qualsiasi caso, il Cremlino può sempre disconoscere l’operato dei suoi uomini – in Russia le compagnie militari private (PMC) sono ufficialmente bandite e dunque ipso facto prive di legami formali con le autorità. Può prenderne le distanze o semplicemente ignorarle nella retorica ufficiale, come del resto fanno già altri Paesi che le utilizzano. Senza per questo rinunciare alle contropartite politiche o economiche stabilite coi soggetti che ne beneficiano.

Per ovvie ragioni, non è mai facile conoscerne l’esatta entità. Ma è lecito aspettarsi che tali contropartite siano ben superiori ai pur contenuti costi d’intervento. Ed è probabile, anzi sicuro, che in Africa siano legate agli approvvigionamenti di risorse e materie prime, nonché alla vendita di armi (la metà dei rifornimenti militari del continente proviene proprio da Mosca). Questo modus operandi è ben riconoscibile in Repubblica Centrafricana, Paese di cui disponiamo di informazioni più precise – nonostante l’opacità delle sue istituzioni. Qui la Russia è a caccia soprattutto di oro, diamanti e uranio. In cambio della protezione dei suoi giacimenti, soggetti alle incursioni dei ribelli già appartenenti al gruppo Séléka, Mosca ne ha preso in via sempre meno informale il controllo. Ed è pure ricompensata da Bangui attraverso un sistematico favoreggiamento dei suoi interessi.

Ma andiamo per ordine. Risale al 2017 l’inizio di un coinvolgimento sostanziale dei russi nel Paese. Nel mese di ottobre, il presidente Touadéra vola a Sochi per incontrare il ministro degli Esteri russo Lavrov. Già si parla da qualche tempo dell’appoggio di Mosca ad Haftar e il nuovo presidente centrafricano – in carica da un anno – vuole imprimere una svolta alla guerra civile che affligge il Paese da un lustro. Dalla Russia arrivano progressivamente sempre più uomini, ufficialmente “istruttori militari”. Non esistono certezze sui numeri: nel 2018 ne sono registrati 175, tre anni più tardi la cifra dovrebbe aver abbondantemente superato il migliaio[3]. Assieme agli effettivi crescono i risultati del loro coinvolgimento, che mettono al sicuro alcune delle miniere più importanti della CAR – fonte primaria per il bilancio dello Stato.

Naturalmente l’intervento russo non è disinteressato, tantomeno gratuito. Dal 2018 Bangui garantisce licenze per l’estrazione di oro e diamanti alla Lobaye Invest Sarlu, società russa che secondo le Nazioni Unite e gli stessi media russi avrebbe legami con il Gruppo Wagner. Ma si va oltre. Nel 2019 il governo centrafricano cancella la licenza di una compagnia canadese per l’importante miniera d’oro di Ndassima – strappata all’ormai pluriennale controllo dei ribelli grazie proprio all’intervento della PMC di Prigozhin – e affidarla a una compagnia malese collegata a interessi russi. Non abbiamo, e forse non avremo mai, l’elenco degli asset concessi in via diretta o indiretta a Mosca, ma evidentemente non bastano a ripagare gli sforzi profusi da Wagner e soci nella stabilizzazione della CAR. I russi vogliono anche batter cassa. Secondo alcune fonti, il Gruppo Wagner avrebbe chiesto a Touadera 127 miliardi di franchi CFA (equivalenti a oltre 200 milioni di dollari) per i servizi offerti. Cifra che difficilmente Bangui vorrà o potrà pagare.

In parallelo all’influenza russa crescono, comprensibilmente, anche le preoccupazioni internazionali. Non tanto per gli abusi di cui è stata accusata la Wagner – compresa la morte di diversi civili – che certo esistono, ma non costituiscono purtroppo un’eccezione nel warfare regionale. Bensì per le conseguenze della penetrazione russa, che rischia di compromettere la tradizionale influenza francese supportata da Washington. Certe mosse di Bangui, come la delega ai militari russi della riscossione dei dazi doganali, e persino delle ispezioni alla frontiera, hanno sollevato forti quanto prevedibili critiche, al punto da spingere Touadéra al dietrofront.

Il rischio, per gli occidentali, è che Mosca usi la Repubblica Centrafricana come piattaforma privilegiata per la “conquista” del continente. Privilegiata sia per l’innegabile posizione strategica, al centro dell’Africa e adiacente a tre Paesi chiave per la Russia (e non solo), il Sudan, il Camerun e la Repubblica Democratica del Congo[4]. Sia per la ricchezza di risorse che costituiscono, come abbiamo visto, un ritorno economico immediato al di là di ogni (dubbia) solvibilità dei governi locali.

Ma c’è anche un altro fattore in gioco. Citando Foreign Policy, “la Wagner non è esattamente ciò che si dovrebbe inviare per stabilizzare una situazione”[5]. I metodi poco ortodossi della compagnia militare privata di Prigozhin, in effetti, qualche dubbio lo lasciano – anche a chi non ha alcun interesse nel dipingere i russi come i cattivi della situazione. Fuori da ogni retorica sulla stabilizzazione, la condotta dei mercenari russi difficilmente potrà aiutare Bangui a mantenere un ordine duraturo nelle sue province, a prescindere dalle indubbie vittorie tattiche ottenute sui ribelli antigovernativi. Non è chiaro se Touadéra o qualcuno del suo entourage siano consapevoli dei rischi, forse no dato che fino ad ora non sono pervenute misure per contrastare la crescente influenza delle milizie russe.

Ma probabilmente il Cremlino è più cosciente dei rapporti di forza. E nella peggiore delle ipotesi, avalla il gioco per trarne profitto più a lungo possibile. Un buco nero al centro dell’Africa può convenire al maggior esportatore di armi nel continente[6], già cercato per la sua esperienza militare e dunque interessato a prolungare oltremodo la durata dei suoi interventi. Un certo grado di instabilità latente non nuoce, dunque, agli interessi dei russi. Anzi, rende questi ultimi necessari, dandogli una posizione di preminenza nello sfruttamento delle risorse rispetto alla Cina – che dispone di molti più finanziamenti ma può vantare molta meno esperienza sul campo.

La Russia gode di una certa popolarità tra i centrafricani, stanchi da quasi un decennio di guerra civile. E probabilmente ci vorrà molto tempo prima che il trend si inverta. Ma a far cambiare idea a Touadéra – o a chi gli succederà dopo la fine del suo secondo mandato – sulle alleanze internazionali da perseguire non sarà certo l’umore dei suoi cittadini. Più facile che la leadership centrafricana si interroghi sull’opportunità di restare vicina a Mosca in conseguenza delle pressioni euroamericane. Che minacciano di tagliare gli aiuti – oltre la metà dei 496 milioni di dollari di bilancio proviene proprio da donatori occidentali[7] – se Bangui non si sforzerà di arginare le ingerenze russe.

Stabilità economica versus sicurezza militare. Un dilemma che si profila arduo.

 

[1] https://www.themoscowtimes.com/2021/11/29/russian-language-added-to-central-african-republic-university-curriculum-a75686

[2] https://ria.ru/20181018/1530965597.html

[3] https://www.voanews.com/a/africa_russia-bolsters-presence-central-african-republic-600-more-military-instructors/6207761.html

[4] https://rusi.org/explore-our-research/publications/commentary/russias-strategy-central-african-republic

[5] https://foreignpolicy.com/2021/08/21/in-central-africa-russia-won-the-war-but-its-losing-the-peace/

[6] Peraltro, la Russia è attiva nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu nel cercare di ammorbidire l’embargo di armi nei confronti di Bangui: https://rusi.org/explore-our-research/publications/commentary/russias-strategy-central-african-republic

[7] https://www.crisisgroup.org/africa/central-africa/central-african-republic/russias-influence-central-african-republic