di Antonio Mazzeo
Pagine Esteri, 4 luglio 2022 – A fine estate l’Italia sarà a capo dell’operazione militare europea nello Stretto di Hormuz a “difesa” degli interessi delle transnazionali dell’energia e per il “contenimento” della presenza iraniana. Ad annunciare la provocatoria missione nel conflittuale corridoio marittimo tra il Golfo Persico e il Golfo di Oman è il ministero della Difesa, a conclusione della visita in Pakistan del Capo di Stato Maggiore, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. “Tra gli argomenti trattati durante gli incontri con i vertici delle forze armate pakistane – si legge nella nota emessa il 24 giugno – il Capo di Stato Maggiore italiano ha sottolineato l’accresciuto impegno del nostro Paese nell’area con l’assunzione del Comando della Missione NATO in Iraq e con la prossima assunzione del Comando della missione di coalizione Europea EMASOH”. (1).
Acronimo di European Maritime Awareness in the Strait of Hormuz, EMASOH è la “missione di sorveglianza marittima” promossa nel gennaio 2020 – in modo autonomo – dai governi di Danimarca, Belgio, Francia, Germania, Grecia, Paesi Bassi, Portogallo e Italia, dopo una serie di attacchi contro le unità utilizzate per il trasporto di gas e petrolio negli stretti di Hormuz e Bab el-Mandeb (tra il Mar Rosso e il Golfo di Aden) e ai terminali petroliferi di Abqaiq e Khurais in Arabia Saudita. Principali responsabili delle incursioni a petroliere e navi metaniere, secondo Stati Uniti, Unione europea e petroregimi arabi, i pasdaran, i guardiani della rivoluzione islamica dell’Iran.
“La crescente insicurezza e instabilità nel Golfo e nello Stretto di Hormuz a partire del 2019 con numerosi incidenti marittimi e non, è il risultato delle crescenti tensioni regionali e ha influenzato negativamente la libertà di navigazione e la sicurezza delle unità europee ed extraeuropee nell’area”, riportano i paesi membri di EMASOH. (2) Nonostante l’apertura di nuove rotte commerciali e l’espansione del mercato globale, dallo Stretto di Hormuz continua a transitare il 21% delle risorse petrolifere (circa 21 milioni di barili al giorno). Attraverso questo tratto di mare lungo 150 Km. e largo 33, l’Arabia Saudita fa passare 6,4 milioni di barili di petrolio al giorno, l’Iraq 3,4, gli Emirati Arabi Uniti 2,7, il Kuwait 2, mentre il Qatar, il più grande produttore mondiale di gas naturale liquefatto (LNG), quasi tutto il suo gas destinato all’esportazione. (3) Da qui l’esigenza di alcuni dei principali clienti europei di concorrere alla rimilitarizzazione della regione anche in concorrenza con gli stessi Stati Uniti d’America e i partner del Golfo.
Quartier generale di EMASOH è la base navale francese di Camp de la Paix ad Abu Dhabi (la Francia di Macron è il paese che più ha spinto per il lancio della missione aeronavale). La componente militare (Operation Agénor, nome di matrice classica, sinonimo di molto virile, coraggioso, condottiero dei prodi) include sette unità da guerra e un pattugliatore aereo delle forze armate degli stati promotori più la Norvegia. “Nei primi due anni di vita, EMASOH-Agénor ha visto operare complessivamente tredici fregate e dodici differenti velivoli di pattugliamento e riconoscimento marittimo”, riporta la nota emessa dal Comando il 25 febbraio 2022. “In totale gli assetti aerei hanno condotto più di 1.000 ore di volo mentre le imbarcazioni hanno navigato per 750 giorni, attraversando lo Stretto di Hormuz oltre 170 volte. Tuttavia la sicurezza nel Golfo e nello Stretto rimane volatile. Nonostante il rafforzamento della collaborazione con il Consiglio di Cooperazione del Golfo (paesi membri Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi, Kuwait, Oman e Qatar, Nda), persistono le tensioni regionali pre-esistenti e il rischio di escalation e di potenziali nuovi incidenti. (…) Riconoscendo l’effetto preventivo duraturo della presenza di EMASOH, cercheremo adesso di migliorarne l’efficienza sviluppando sinergie con differenti iniziative europee nell’Oceano indiano nord-occidentale”. (4) Una missione destinata dunque a rafforzare la propria componente militare e il raggio operativo geo-strategico e che sarà a guida italiana molto presumibilmente dal semestre 2022 fino al febbraio 2023.
La nuova avventura militare nelle acque del Golfo non prenderà il via di certo con i migliori auspici. Voluta dall’allora governo Conte bis (Pd-LeU-M5S) sull’onda del rinnovato asse diplomatico-economico-militare tra Roma e Parigi, la partecipazione italiana ad EMASOH è stata inaspettatamente bloccata per tutto il corso del primo anno di attività. Il 30 maggio 2020, prima dell’approvazione del decreto di finanziamento delle operazioni all’estero delle forze armate italiane, il governo decideva l’annullamento della partecipazione di un’unità della Marina ad EMASOH, così come era stato previsto a gennaio. L’allora premier Giuseppe Conte e il (riconfermato) ministro della difesa Lorenzo Guerini non vollero spiegare la ragione della decisione; Analisi Difesa puntò il dito contro una supposta “pressione” esercitata dal Ministero degli Affari Esteri (allora come adesso, responsabile del dicastero l’on. Luigi Di Maio), “non nuovo a entrare a gamba tesa nel campo delle missioni militari all’estero, finanziate da un decreto annuale che stanzia anche i fondi per la cooperazione e sviluppo della Farnesina”. (5)
Dopo la falsa partenza, indigesta per ampi settori politici e delle forze armate, il via alla partecipazione italiana a EMASOH fu annunciato dal ministro Guerini in un’audizione nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, nel marzo 2021. (6) Il successivo 5 agosto, con l’approvazione in Parlamento del documento di proroga delle missioni internazionali, veniva predisposta una copertura finanziaria di 9.032.736 euro (di cui 2 milioni esigibili nell’anno 2022) per l’operazione navale nello Stretto di Hormuz. “La missione prevede l’impiego di un dispositivo aeronavale nazionale per attività di presenza, sorveglianza e sicurezza nella regione che comprende il Golfo dell’Oman e l’intero Golfo Persico, un’area storicamente caratterizzata da interessi vitali per l’economia nazionale e dei paesi europei”, scrive lo Stato Maggiore della Difesa. “Essa è finalizzata a tutelare il naviglio mercantile nazionale, supportare il naviglio mercantile non nazionale, rafforzare la cooperazione con le altre iniziative nell’area e contribuire alla maritime situational awareness dello spazio aeromarittimo al fine di garantire la libertà di navigazione e il libero flusso del commercio globale”. “L’Italia – enfatizza la Difesa – alla luce del ruolo strategico di quest’area per gli interessi nazionali, intende dispiegare un sistema di sicurezza, mantenendo una posizione neutrale nei confronti degli Stati regionali, nel rispetto del diritto internazionale, al fine di contribuire alla stabilità dell’area”. (7) Il decreto fissa un tetto massimo nell’impiego del dispositivo militare: 193 unità di personale, una unità navale, due mezzi aerei e un non meglio specificato supporto ISR Intelligence, Surveillance and Reconnaissance, successivamente identificato dalla stampa estera specializzata in un drone MQ-9 Reaper dell’Aeronautica militare, precedentemente schierato in Kuwait per la “sorveglianza” dello scacchiere iracheno. (8)
Oltre al velivolo senza pilota, la presenza militare italiana nelle acque del Golfo è stata limitata al dispiegamento dal 1° ottobre al 15 dicembre 2021 della fregata missilistica “Federico Martinengo”, assegnata nei mesi precedenti all’Operazione Atalanta dell’Unione europea contro la pirateria a largo delle coste somale e nel Mar Rosso, nell’ambito della European Union Naval Force for Somalia (EU-NavFor Somalia). Nel corso della sua partecipazione a EMASOH, la fregata ha effettuato soste tecniche nei porti di Mascate (Oman), Doha (Qatar) e Manama (Bahrein), sapientemente utilizzate dalle autorità nazionali per propagandare il Sistema Italia (armi e tecnologie belliche) e rafforzare le relazioni diplomatico-militari con i paesi ospiti. Ciò è comunque bastato per irritare Teheran. “La Repubblica Islamica dell’Iran ha protestato contro la presenza di forze straniere nella regione, in particolar modo europee, che non può che creare le condizioni per esacerbare le tensioni già esistenti”, riportava il 14 ottobre 2021 l’agenzia di stampa iraniana Fars. “E’ stato altresì sottolineato che la sicurezza della zona del Golfo dovrebbe essere assicurata soltanto dai Paesi vicini”. (9)
Il regime iraniano aveva già espresso disappunto e risentimento per la decisione del Comando centrale delle forze armate USA di dar vita, nel luglio 2019, alla “missione internazionale di sicurezza marittima” – sempre nello Stretto di Hormuz e nelle acque del Golfo Persico – denominata IMSC – International Maritime Security Construct. “IMSC è nata in risposta alla crescita delle minacce alla libertà di navigazione e al libero flusso del commercio per le legittime marinerie nelle acque internazionali della regione mediorientale”, spiega il Dipartimento della difesa USA. “La task force multinazionale Sentinel, braccio operativo di IMSC, è stata istituita il 7 novembre 2019 con lo scopo di scoraggiare le attività maligne sponsorizzate dallo stato in tutta l’area operativa in modo da ridare sicurezza all’industria navale commerciale”. A IMSC-Sentinel oltre agli Stati Uniti contribuiscono Albania, Bahrain, Estonia, Lituania, Romania, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Regno Unito, mentre hanno espresso l’intenzione di offrire una forma di cooperazione Corea del Sud, Qatar e Kuwait. Il 6 agosto 2019, nella sessione di chiusura della Knesset, l’allora ministro degli esteri di Israele, Israel Katz, aveva espresso la volontà di fornire intelligence alla missione a guida USA. Alle dichiarazioni di Tel Aviv è seguita una dura presa di posizione dell’ammiraglio Alireza Tangsiri, comandante delle Guardie del Corpo Rivoluzionarie Islamiche dell’Iran. “Ogni illegittima presenza di Israele nel Golfo Persico potrebbe sfociare in un confronto militare nella regione e la responsabilità per quanto accadrà sarà di Stati Uniti e Regno Unito”. (10)
Inutile dire come le politiche delle cannoniere promosse in prima istanza da Washington e Parigi (con scarsa coordinazione tra le parti, nonostante le identiche finalità anti-Iran), congiuntamente al dirompente attivismo di Israele nel “controllo” delle rotte petrolifere e del gas dell’intero Medio Oriente, abbiano esacerbato gli animi contribuendo ad aggravare le tensioni, specie tra Teheran e Tel Aviv. “L’attacco mortale ai danni di una petroliera a largo delle coste dell’Oman alla fine del luglio 2021 rappresenta un ulteriore sviluppo sia del rischio generale per la navigazione nel Golfo, dello Stretto di Hormuz e del mare Arabico, sia per la ribollente guerra ombra che viene condotta da Iran e Israele”, scrivono gli analisti militari Hugo Decis e Charlotte Le Breton dell’International Institute for Strategic Studies (IISS) di Londra. “L’attacco è stato condotto con un velivolo senza pilota apparentemente decollato dall’Iran, che ha colpito la nave cisterna MV Mercer Street, gestita da una società israeliana. Questo evento segna un’indubbia escalation. L’Iran ha minacciato ripetutamente di chiudere lo Stretto di Hormuz in passato. Finora non è riuscito a portare a termine queste minacce parzialmente per preservare i propri interessi economici, ma ha anche continuato ad accumulare strumenti ed assetti finalizzati a questo obiettivo. Ciò indica che permane il rischio di escalation”. (11)
All’aggravamento della crisi nell’area ha concorso inevitabilmente la decisione assunta a Bruxelles dal Consiglio dell’Unione Europea, lo scorso mese di febbraio, che ha esteso all’Oceano Indiano nord-occidentale il cosiddetto Coordinated Maritime Presence Concept con cui sono stati predisposti misure ed interventi a difesa degli interessi strategici europei e della navigazione nel Golfo di Guinea (documento varato nell’agosto 2019). In particolare il Consiglio Ue ha suggerito di rafforzare il coordinamento e la cooperazione con la missione EMASOH e di “considerare un’Area Marittima di Interesse l’Oceano Indiano nord-occidentale, una regione che si estende dallo Stretto di Hormuz al Tropico meridionale e dal nord del Mar Rosso fino al centro dell’Oceano Indiano”. (12)
La decisione di Bruxelles non potrà non avere conseguenze a breve termine anche di ordine militare. “La Coordinated Maritime Presence consentirà all’Unione europea di condividere intelligence e coordinamento operativo nella regione del Golfo, stabilendo effettivamente legami tra EMASOH e l’Operazione Atalanta che combatte la pirateria a largo della Somalia”, scrivono i ricercatori Cinzia Bianco dell’European Council on Foreign Relations di Berlino e Matteo Moretti dell’Istituto di Affari Internazionali di Roma. “Convertire lo Stretto di Hormuz e il Mar Rosso in un’area integrata rafforza la capacità di dare sicurezza a entrambi (…) L’abbraccio Ue di EMASOH è l’ultima luce verde a una nuova generazione di missioni flessibili create ad hoc e che possono essere dislocate in aree sensibili per gli interessi dell’Unione europea, compensando il lungo processo decisionale della Politica Comune su Difesa e Sicurezza della Ue. Questa principale categoria di missioni, che include l’Operazione Takuba nel Sahel e l’European Naval Engagement nell’Indo-Pacifico, diverrà ancora più comune e rafforzerà le capacità di proiezione europea. EMASOH dovrà rafforzare la sua presenza navale e gli assetti per la sorveglianza aerea se vuole essere credibile in mezzo a una forte competizione multipolare nella regione”.
Ancora più militari, navi e aerei da guerra Ue nel Golfo, dunque. Specie adesso che è partita una dissennata corsa per “differenziare” i mercati di approvvigionamento delle risorse energetiche, così da ridurre la dipendenza dalla Russia e aumentare l’import dagli impresentabili regimi super-armati della Penisola arabica. In pole position tra i paesi in gara per più gas e più petrolio dalla regione del Golfo c’è ovviamente l’Italia di Mario Draghi, Lorenzo Guerini e Luigi Di Maio, per nome e per conto dell’holding a capitale statale ENI. A metà febbraio, prima dell’aggressione russa contro l’Ucraina, il governo ha sottoscritto un accordo strategico con il Qatar per accrescere le forniture di GNL. L’emirato fornisce già il 10% circa del gas naturale importato dall’Italia; inoltre la Qatar Petroleum, l’azienda petrolifera statale, possiede il 23% della joint venture che controlla il Terminale GNL Adriatico, l’impianto di rigassificazione posto a circa 15 km al largo di Porto Levante, Rovigo (le altre quote sono per il 70% della statunitense ExxonMobil e per il 7% di Snam SpA, società di infrastrutture energetiche controllata in parte dalla Cassa Depositi e Prestiti). (14)
Tutti “buoni” motivi per indossare baionetta ed elmetto e proiettarsi nello Stretto di Hormuz e nel Golfo Persico a difendere quello che Guerini e Stato maggiore definiscono ormai il Mediterraneo Mare Nostrum super-allargato. Ci inimichiamo di sicuro ancora di più l’Iran ma se si chiude una porta si apre un portone, anzi tanti portoni per fare nuovi e più lucrosi affari di gas e petrolio con emiri e sceicchi…
Note e Link
(1) https://www.difesa.it/SMD_/CaSMD/Eventi/Pagine/Capo_SMD_Ammiraglio_Cavo_Dragone_in_Pakistan.aspx
(2) https://fmn.dk/en/topics/operations/igangvarende-operationer/hormuz/
(3) https://www.ilpost.it/2019/08/04/stretto-hormuz-importante-iran-crisi/
(4) https://www.hellenicshippingnews.com/emasoh-two-years-of-de-escalation-in-the-strait-of-hormuz
(8) https://www.air-cosmos.com/article/golfe-persique-un-reaper-italien-pour-agenor-25530
(10) https://www.globalsecurity.org/military/ops/sentinel.htm
(11) https://www.iiss.org/blogs/military-balance/2021/09/a-new-phase-in-the-gulf-shipping-threat
(12) https://www.consilium.europa.eu/media/54437/st06255-en22.pdf
(13) https://www.mei.edu/publications/europes-role-gulf-maritime-security