di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 9 agosto 2022 – “Penso che la parte più significativa dell’occupazione [israeliana] sia l’oppressione burocratica, quella con cui hai a che fare quando hai bisogno dei permessi di costruzione, quella che te lo toglie il permesso, e ciò significa che la tua casa verrà distrutta. Oppure che ti vieta di vedere la tua famiglia perché il permesso non è quello giusto. È una forma di oppressione burocratica. Non voglio dire che sia il lato peggiore dell’occupazione, ma fa parte dell’occupazione, dell’oppressione burocratica e io ho visto quanto sia ridicolo tutto questo. […] Perché neghiamo [ai palestinesi] i permessi? Perché gli stiamo rendendo così difficile ottenere medicine? Perché gli stiamo rendendo difficile procurarsi il cibo?”

Lunedì 1 agosto l’organizzazione israeliana Breaking the silence, ha pubblicato il fascicolo dal titolo Military Rule. Testimonianze di militari dell’Amministrazione Civile. Al suo interno una numerosa raccolta di esperienze di soldati israeliani impiegati nella Civil Administration, un organo militare israeliano che controlla ogni aspetto della vita civile dei palestinesi dei Territori Occupati della Cisgiordania.

Insieme al Gaza District Coordination e al Liaison Office, tutti subordinati al COGAT (l’Ente di coordinamento delle attività di governo nei Territori Palestinesi), la Civil Administration gestisce e controlla, tra le altre cose, il rilascio dei permessi di spostamento (per motivi di lavoro, salute e altro) dei palestinesi, l’import e l’export dei beni (inclusi quelli di prima necessità), l’utilizzo delle risorse naturali, i permessi di costruzione delle infrastrutture civili.

Il fascicolo richiama l’interesse sulle dinamiche interne agli uffici e ai regolamenti dell’Amministrazione Civile dei Territori, dinamiche che hanno un fortissimo impatto sulla vita quotidiana dei palestinesi e che replicano i principi di subalternità, discriminazione, umiliazione e controllo tipici delle situazioni di dominio di un popolo su un altro.

Breaking the silence si occupa di raccogliere le esperienze dei soldati israeliani che, spesso giovanissimi, si trovano a gestire e controllare ogni aspetto della vita quotidiana di un’intera popolazione. ONG istituita da veterani dell’IDF (le forze armate israeliane), per quasi 20 anni ha dato ai soldati congedati l’opportunità di raccontare le loro esperienzemantenendo l’anonimato, mostrando all’opinione pubblica israeliana un’immagine cruda della gestione quotidiana dell’occupazione. In Military Rule per la prima volta sono state raccolte le testimonianze di ex militari che hanno prestato servizio, negli ultimi dieci anni, negli uffici del COGAT.

Raccontano le umiliazioni continue subite dai palestinesi risucchiati dal vortice delle richieste dei continui e numerosi permessi, il potere assoluto e arbitrario dei soldati agli sportelli, la subalternità spesso mortificante delle forze di sicurezza palestinesi, l’autorità suprema del movimento dei coloni, il sistema generale di oppressione.

 

C’è un ragazzo che si chiama Nijam. È palestinese. La sua casa è praticamente in mezzo al nulla ma si è trovata, ad un certo punto, sul lato israeliano [della barriera di separazione], che è vicino a Giv’on (un insediamento israeliano). Questo tizio per entrare in casa deve chiamare il centro operativo [israeliano] che deve aprire il cancello per farlo entrare. Non ha alcun controllo sul cancello che apre e chiude la sua casa. Deve chiamare il centro operativo.

Cosa intendi?

La sua casa è dalla parte israeliana. La sua casa è recintata.

Ok.

Non se ne è andato da lì. È stata costruita la recinzione e quindi hanno recintato anche lui. Invece di dargli semplicemente la cittadinanza, o lasciarlo stare. Nijam Faqia, mi pare sia questo il suo nome. Quindi chiama il centro operativo ogni mattina e dice “Ciao, sono Nijam, voglio entrare a casa mia”. Il centro operativo chiama poi gli agenti di polizia di frontiera della zona che gli aprono il cancello. Pazzesco.

Quante volte?

Una, due volte al giorno.

La gestione dell’amministrazione dei distretti dei Territori Occupati e Gaza dimostra piena coerenza con la gestione militare dell’occupazione. “È impossibile comprendere l’occupazione israeliana senza mettere sotto i riflettori queste unità governativespiega Breaking the silence – e nonostante ciò ricevono pochissima attenzione pubblica, sia dentro che fuori da Israele e la loro attività raramente è stata oggetto di inchieste indipendenti”.

Coda per accedere allo sportello del DCL

Il regime dei permessi

Il DCL (District Coordination and Liaison office) è l’ente di coordinamento e collegamento distrettuale. I suoi uffici sono sparsi in tutta la Cisgiordania. Le responsabilità del DCL includono il coordinamento e il collegamento con l’Autorità Nazionale Palestinese, il rilascio di permessi per la popolazione palestinese, il controllo delle forze dell’ordine e la supervisione delle costruzioni e delle infrastrutture (acqua, elettricità, strade, ecc.) nella regione di competenza. Nella maggior parte dei casi, lo sportello al quale si rivolgono i palestinesi per presentare domande e richiedere permessi si trova all’interno delle strutture del DCL. I permessi di ingresso in Israele servono per poter lavorare, per poter vedere le proprie famiglie, per poter visitare i luoghi sacri in occasione delle festività religiose e per tanto altro.

Uno dei compiti del DCL è il rilascio delle carte magnetiche ai palestinesi. Ne hanno bisogno per passare attraverso i valichi e per richiedere un permesso di ingresso in Israele. Sono stato allo sportello per un mese e in questo mese è capitato un sacco di volte che le stampanti non funzionavano, un sacco di volte che i computer si sono fermati. Non è una cosa importante per i soldati. Ci sono 100 palestinesi seduti in una stanza, le stampanti hanno smesso di funzionare ma non c’è nervosismo. Se funziona funziona, se non funziona la gente torna domani. Una o due volte è capitato che, dopo alcuni problemi con le stampanti, i soldati hanno detto a tutti: “Chiudiamo alle quattro e mezza” non alle cinque, che è la solita ora. Cosa importa? Le persone possono tornare domani. Alcune volte le persone vengono e aspettano dalle due alle tre ore per ottenere la carta magnetica, e alla fine non la ottengono e gli viene semplicemente detto: “Torna domani alle otto e mezza”. A volte arrivi alle 100 persone, e basta, “Abbiamo raggiunto le 100”, non è importante fare molto di più. Non esiste un limite massimo, ma 100 è l’obiettivo minimo quindi se lo raggiungono pensano che hanno già fatto tutto quello che dovevano fare.

All’interno del fascicolo sono riportate alcune delle testimonianze dei residenti di Gazaraccolte da Gisha, una organizzazione israeliana senza scopo di lucro che si occupa di misurare la libertà di movimento dei palestinesi nei Territori Occupati e a Gaza. Gisha ha pubblicato le interviste all’interno di un resoconto dal titolo “Il regime dei permessi”, in cui i residenti della Striscia raccontano episodi di violenza e sopraffazione legati al rilascio delle autorizzazioni da parte dello stato occupante.

Solo pochi giorni fa una ricerca di un’altra organizzazione israeliana, Physicians for Human Rights– Israele, ha dimostrato la dipendenza quasi totale della sanità a Gaza dal regime dei permessi in Israele. Mentre Save the Children denunciava nel 2020 le morti causate dal ritardo del rilascio dei permessi di spostamento per malattie per i bambini e le bambine palestinesi.

Una testimonianza soprattutto, tra le centinaia, assume un significato macabro, che diventa particolarmente raccapricciante in questi giorni in cui si sta ancora dando sepoltura ai morti palestinesi determinati da un nuovo attacco militare israeliano (l’operazione denominata Breaking dawn) sulla Striscia di Gaza. Il tenente intervistato ammette di aver provato sollievo alla notizia di essere stato assegnato agli uffici amministrativi, perché avrebbe così evitato di partecipare a operazioni militari sul campo. Ma dopo alcuni mesi si accorge che quella violenza da cui credeva di essere fuggito in realtà lo circondava, diversa di aspetto ma profondamente affine.

Ero felice [di lavorare al COGAT], di non essere coinvolto in qualcosa che mi costringesse a combattere. Non volevo essere violento.

E la vedi diversamente oggi?

Assolutamente sì. Penso che sia diversa dalla violenza di cui siamo abituati a sentire parlare, la violenza al posto di blocco o i soldati che abusano dei palestinesi. Ma è un diverso tipo di violenza. È violenza burocratica. Usiamo molta violenza contro Gaza. Durante gli attacchi usiamo molta violenza, seminiamo distruzione e questo fa parte della stessa strategia. Ora vedo [quegli attacchi] come se servissero a “falciare il prato” ogni pochi anni, e nel frattempo gli abitanti di Gaza devono essere tenuti a guinzaglio molto corto, non dobbiamo permettere loro troppe uscite ed entrate, non è loro permesso di fare molte cose che noi diamo per scontate, come poter pescare dove vogliamo, o essere in grado di volare. È una prigione”.

Le testimonianze rilasciate a Breaking the silence dai soldati occupati a raccogliere agli sportelli le richieste dei palestinesi, rivelano che la revoca dei permessi di spostamento viene spesso utilizzata dagli organi preposti come misura di punizione collettiva. Che gli stessi soldati possono decidere in maniera soggettiva e capricciosa a chi concedere i permessi e a chi no. Che se arrestano un palestinese che vive nel tuo stesso palazzo, il permesso ti viene revocato.

Gli israeliani agli sportelli quasi mai parlano l’arabo, se non quello base appreso al corso di preparazione. E i palestinesi, anche anziani e anziane, che non conoscono l’ebraico o l’inglese sono non di rado umiliati e a volte mandati via nonostante abbiano atteso ore per essere ascoltati.

E poi lui (il soldato) gli dice (al palestinese), “va bene, vattene da qui, prendi un nuovo numero, non voglio parlarti”, nella speranza che alla fine finiscano con qualcun altro. Sì, ci sono soldati molto crudeli allo sportello. Come ho detto, è potere, ed è ciò che il potere fa a una persona. In questo caso è divertente, perché in altre situazioni non hai alcun potere. Quando arrivi in ​​un posto dove i coloni hanno bruciato il campo di qualcuno, non hai potere lì. Ma allo sportello sì.

I veterani hanno testimoniato che i permessi vengono utilizzati anche per mettere fine agli scioperi della fame, elemento di cui ha scritto lungamente il quotidiano israeliano Hareetz.

Coda all’entrata del checkpoint

Le forze di sicurezza palestinesi

Le forze di sicurezza palestinesi devono concordare ogni più piccolo movimento con il COGAT. Il loro stesso equipaggiamento, la quantità di armi che indossano viene decisa da Israele, i cui organi amministrativi devono firmarne i permessi. Non solo. Prima di un attacco ad un’abitazione palestinese, prima che i militari israeliani irrompano in una civile abitazione nei Territori Occupati, viene fatta comunicazione alle forze di sicurezza palestinesi: i poliziotti hanno pochi minuti per lasciare le strade e la zona circostante e ritirarsi nelle proprie caserme. “La realtà – in cui i poliziotti palestinesi si affrettano a nascondersi nelle loro roccaforti poco prima che i soldati israeliani irrompano nella casa di una famiglia, puntando fucili contro donne e bambini che si sono appena svegliati – è umiliante. Mortalmente umiliante è vietare alla sicurezza palestinese di difendere il proprio popolonon solo dai soldati ma anche dai civili israeliani che attaccano i palestinesi nei loro campi e frutteti, nelle lore case e quando sono fuori a pascolare le proprie mandrie. Il rispetto da parte dell’Autorità Palestinese di questo divieto è umiliante. Non si fanno vedere se non siamo noi a dirglielo… Anche se non si ha a che fare con i coloni, anche se sono senza uniformi e senza armi, anche se devono indagare solo su un incidente d’auto: devono comunque coordinarlo con Israele” (Haaretz).

Demolizione di una struttura agricola

Il potere dei coloni

Dalle testimonianze emerge che non solo alle forze di sicurezza palestinesi è vietato intervenire (o anche solo essere presenti) all’occupazione di terre palestinesi da parte dei coloni israeliani e dei movimenti politici a loro collegati. Persino ai militari israeliani è spesso vietata la presenza. E quando ci sono non hanno il permesso di alzare un dito contro i coloni. Seguendo lo stesso principio di annessione, le amministrazioni civili sono ben propense ad accettare lo spostamento di risorse naturali, come l’acqua, togliendole ai villaggi palestinesi per darle alle colonie israeliane.

Persino la scelta di quali case palestinesi demolire è guidata dalle pressioni del movimento dei coloni, seppure gli insediamenti israeliani nei Territori Palestinesi Occupati (lo ricordiamo per dovere di cronaca nonostante la storia ne abbia purtroppo decretato l’inutilità in assenza di regime punitivo) siano illegali per il diritto internazionale.

Come si decide cosa demolire? Ci sono così tante costruzioni abusive, perché demolire una casa e non un’altra?

Guarda una mappa delle demolizioni e potrai constatare che demoliscono le case vicine a un insediamento. Ci sono molti Khirbes (piccoli villaggi palestinesi) sulle colline meridionali di Hebron, ci sono così tanti villaggi illegali nell’Area C tra le colline meridionali di Hebron ma vengono demolite a Susiya o al-Tuwani. È una questione politica.

 

Raccolta e accesso ai dati riservati

Nella sua testimonianza rilasciata a Breaking the silence, una ex ufficiale addetta al COGAT scrive quanto fosse per gli israeliani importante ottenere notizie e dati sui palestinesi e quanto fosse facile accedervi:

Ci sono dei software che raccolgono diversi tipi di informazioni sui residenti palestinesi, in modo che possiamo tenere traccia dei loro movimenti. Quando digiti il ​​numero d’identità o il nome di qualcuno, hai immediatamente richiamato tutto il suo privato. Posso scansionare il viso della persona o il codice a barre che si trova sulla smartcard. Basta questo per recuperare le informazioni. I loro nomi completi, i parenti – fratelli, sorelle, mamma, papà, nonno, nonna, cugini, cugini di secondo grado, luogo di residenza, il tipo di permesso che hanno in base al settore in cui lavorano, che checkpoint possono attraversare, quali hanno attraversato, qual è stato il loro ultimo viaggio – significa l’ultima volta che hanno attraversato un posto di blocco e in che direzione stavano andando – e se gli è stato rifiutato l’ingresso, e la causa dei rifiuti che hanno ricevuto. E poi, ovviamente, tutto ciò che è legato alla loro storia. Durante il corso ci hanno anche insegnato come si può bloccare il permesso. E questo può accadere per molti motivi. Può essere bloccato dalla polizia israeliana o dallo Shin Bet. L’ingresso può essere rifiutato se si è coinvolti in attività criminali, se si è ricercati dall’Autorità Palestinese, dalla polizia israeliana. Ma anche se si hanno familiari che sono criminali o sospetti terroristi. Persino se si vive nello stesso edificio di qualcuno che è stato condannato o sospettato di essere coinvolto in attività terroristiche: questo è un altro modo in cui i palestinesi vengono puniti collettivamente dall’esercito israeliano. È completamente fuori dal loro controllo, basta solo che si trovino in una situazione in cui un membro della famiglia o un amico o qualcuno nel loro edificio sia coinvolto in attività che Israele considera terroristiche. In che modo a palestinesi innocenti è stata cambiata la vita: negandogli la libertà di movimento.

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A volte in ufficio mi annoiavo, quindi scrivevo un numero a caso nella ricerca degli ID dei palestinesi e guardavo cosa usciva fuori. Potevo vedere tutto delle loro vite: famiglie, dettagli degli spostamenti, del loro lavoro.

La pubblicazione delle testimonianze ha avuto una certa eco sulla stampa israeliana e internazionale. Il quotidiano israeliano Haaretz ha scritto che “il fattore dell’umiliazione è un altro dei mezzi utilizzati dal governo ostile di una giunta militare. Si legge dentro e tra le righe del fascicolo [di Breaking the silence], nell’arabo stentato pronunciato dai soldati agli sportelli di accoglienza per i palestinesi, il trattamento sprezzante anche nei confronti di chi è vecchio quanto i loro nonni e le loro nonne: nell’assegnare acqua ai coloni a spese di una comunità palestinese, nella revoca all’ingrosso dei permessi di movimento. L’umiliazione dell’altro è parte inseparabile della violenza burocratica – assassina dell’anima, del tempo e della speranza – che noi ebrei israeliani, essendo gli espropriatori di un popolo della sua terra, abbiamo trasformato in una forma d’arte. Usiamo il potere degli editti che abbiamo composto, le leggi, le procedure e le sentenze di onorevoli giudici per abusare continuamente delle altre persone. L’Amministrazione Civile non ha inventato il sistema, ma è la punta di diamante e la lancia di questa violenza burocratica”.

Il quotidiano inglese The Guardian ha scritto che “il sistema tentacolare del governo militare creato dall’occupazione israeliana della Cisgiordania e della Striscia di Gaza è un mondo che israeliani stanno conoscendo per la prima volta, dopo la pubblicazione di testimonianze di veterani che denunciano il regime dei permessi che governa il popolo e la terra palestinesi”.

In un comunicato stampa il COGAT ha risposto alle testimonianze raccolte da Breaking the silence affermando che non esistono dubbi sull’integrità dell’organizzazione e del suo staff e che casi di violazione delle procedure sono delle eccezioni e non riflettono le pratiche della Civil Administration. Pagine Esteri