di Jeff Wright – Mondoweiss*
Pagine Esteri, 9 settembre 2022 – Il sito archeologico della Città di David, gestito dall’organizzazione israeliana dei coloni, la fondazione Elad, si affaccia sul quartiere palestinese di Silwan, a Gerusalemme Est.
Nel suo rapporto biennale di 18 pagine pubblicato la scorsa settimana, Emek Shaveh documenta i piani degli enti governativi israeliani e delle organizzazioni di coloni che, a suo dire, sono “progettati per cambiare il carattere demografico e storico di Gerusalemme Est”. Il rapporto descrive anche “uno sforzo diffuso [in Cisgiordania] per reprimere l’edilizia palestinese, l’attività agricola e lo sviluppo dei siti del patrimonio archeologico”.
I coloni e gli enti governativi sequestrano i terreni o ne assumono il controllo, secondo il rapporto, “con il pretesto della ricerca archeologica o dello sviluppo dei siti storici per il pubblico beneficio”.
Emek Shaveh è un’organizzazione non governativa israeliana che lavora “per difendere i diritti del patrimonio culturale e per proteggere i siti antichi come beni pubblici che appartengono ai membri di tutte le comunità, fedi e popoli”. Sul suo sito web, l’ONG sostiene che “le rovine del passato sono diventate uno strumento politico nel conflitto israelo-palestinese… [lavoriamo] per sfidare coloro che usano i siti archeologici per espropriare le comunità diseredate”.
Il suo rapporto sui recenti sviluppi a Gerusalemme si concentra sul lavoro della Fondazione Elad, uno dei gruppi di coloni più grandi e influenti di Israele. Secondo un articolo di Haaretz, Elad “opera a Gerusalemme Est con due obiettivi principali: insediare ebrei nel quartiere di Silwan, in gran parte arabo, e gestire siti turistici e di scavo”.
Il fiore all’occhiello di Elad è il Parco Archeologico City of David, che la fondazione gestisce per conto dell’Autorità Israeliana per la Natura e i Parchi. Il cuore del parco si trova nel quartiere palestinese di Silwan, a Gerusalemme Est.
I progetti relativi al parco includono un ponte sospeso, un caffè e un luogo per eventi chiamato Una casa nella Valle, e una proposta di funivia che inizierà nella parte occidentale di Gerusalemme, passerà sopra i quartieri palestinesi mentre attraversa Gerusalemme Est, e terminerà nel centro culturale di sette piani a tema biblico proposto dalla Città di David, che sarà costruito su un terreno dove un tempo si riunivano le famiglie palestinesi.
Emek Shaveh descrive nei dettagli come molti di questi progetti – tra cui case per i coloni, negozi per chi vuol fare spese – si stiano espandendo oltre il Parco Archeologico della Città di David, nella Valle di Hinnom a sud e nella Valle di Kidron a est.
Mentre Elad suggerisce che si tratta semplicemente di sforzi per espandere le opportunità turistiche della città, Emek Shaveh descrive come essi servano a fini politici e ideologici più nefasti: controllare lo sviluppo dell’area e celebrare la storia ebraica della zona, ignorando la narrazione multistrato delle culture e dei popoli che, nel corso dei millenni, hanno occupato Gerusalemme e i suoi dintorni.
Collusioni tra i coloni e il governo
Secondo il rapporto, “la moltiplicazione delle iniziative turistiche guidata dai coloni non sarebbe stata possibile senza la piena collaborazione degli organi governativi competenti, come l’Autorità per la Natura e i Parchi (INPA), il Comune di Gerusalemme e l’Autorità per lo Sviluppo di Gerusalemme (JDA)”.
“Insieme”, sostiene Emek Shaveh, “le loro azioni sfruttano i valori della natura e della conservazione del patrimonio per alterare l’identità multiculturale del nucleo storico di Gerusalemme”. A maggio, il governo israeliano ha annunciato la decisione di finanziare il proseguimento del lavoro con una sovvenzione di quasi 5 milioni di dollari per, come si legge nella sovvenzione, “migliorare lo status di Gerusalemme come città internazionale di fede, patrimonio, cultura e turismo”.
Emek Shaveh insiste sul fatto che, invece, si tratta di “una decisione politica per continuare a finanziare l’insediamento archeologico-turistico della Fondazione Elad, asservendo l’Autorità Israeliana per le Antichità alle sue esigenze ideologiche private… progettate per cambiare il carattere demografico e storico di Gerusalemme Est in generale, e del Bacino Storico in particolare”. “Utilizzando gli ordini di giardinaggio del Comune di Gerusalemme e la legge discriminatoria israeliana sulle Proprietà degli Assenti, Elad ha cospirato con l’Autorità israeliana per la Natura e i Parchi per avviare diversi nuovi progetti nella Valle di Hinnom che, per millenni, è stata la necropoli della città. La scorsa estate, l’organizzazione dei coloni ha creato un altro sito turistico, il Centro per l’Agricoltura Antica.
Qualcosa più che un’altra attrazione culturale
“La fattoria”, spiega il rapporto di Emek Shaveh, “è diventata un sito strategico per la Fondazione Elad nei suoi sforzi di raggiungere il pubblico laico israeliano tradizionale. Grazie alla sua vicinanza a Gerusalemme Ovest e alle istituzioni culturali tradizionali…”, continua il rapporto, “Elad è ben posizionata per attrarre folle relativamente non politiche che percepirebbero la fattoria come un altro luogo culturale nella zona”.
Negli ultimi mesi, riferisce Emek Shaveh, la Fondazione Elad ha ospitato gruppi di studenti delle scuole superiori, gruppi pre-militari e gruppi di volontari per lavorare sui terreni, alcuni dei quali, secondo i palestinesi, erano di proprietà privata e ora sono sotto l’egida del Custode Generale o della Municipalità di Gerusalemme.
Gli studenti a cui viene offerta l’opportunità di partecipare a un programma di “coinvolgimento sociale” ospitato dalla fattoria sono spesso “inconsapevoli delle implicazioni politiche ed etiche delle loro azioni”, secondo il rapporto. Elad non spiega ai genitori o agli insegnanti che si tratta di un progetto politico gestito dalla stessa Fondazione Elad.
Di conseguenza, i visitatori dei siti di Elad – israeliani e internazionali – saranno probabilmente informati sulla vita e sulle pratiche associate al periodo del Primo e del Secondo Tempio, senza essere esposti al ricco patrimonio culturale di altre civiltà, per non parlare dei palestinesi le cui famiglie risiedono nell’area da secoli.
In una conversazione su Zoom, la coordinatrice delle attività internazionali di Emek Shaveh, Talya Ezrahi, ha descritto una tendenza preoccupante. Ha affermato il valore della conservazione del patrimonio ebraico e poi ha detto: “Mentre l’importanza di proteggere i siti ebraici e di condividere la storia ebraica si sta radicando in questa parte del mondo, il pubblico tradizionale spesso non è consapevole del fatto che i progetti si stanno spostando oltre la Linea Verde, che questi siti sono destinati ad escludere le storie palestinesi e le testimonianze di altri popoli e fedi che hanno vissuto in questa terra.”
I resti archeologici nell’area coprono un arco di 7.000 anni: la città è stata abitata da Cananei, Giudei, Assiri, Babilonesi, Persiani, Greci, Romani e Bizantini, compreso un millennio di dominio musulmano. “I coloni”, ha spiegato Ezrahi, “stanno prendendo l’affascinante e stratificata storia di Gerusalemme e la riducono a una narrazione esclusivamente ebraica”.
Il Monte degli Ulivi è di nuovo all’ordine del giorno
A febbraio, Mondoweiss ha riferito dei piani di Elad e dell’Autorità Israeliana per la Natura e i Parchi – descritta da Emek Shaveh come “I due che camminano insieme” – per prendere circa 7 ettari di terreno sul Monte degli Ulivi. All’epoca, era stato riferito che il piano era stato accantonato in risposta ad una lettera molto dura al Ministro israeliano per la Protezione dell’Ambiente, scritta dai leader delle chiese storiche di Gerusalemme.
I piani per l’estensione dei confini del parco sono stati ripresentati al comitato di pianificazione locale e saranno ascoltati a dicembre. Una mappa della superficie proposta include vaste parti del Monte degli Ulivi e parti delle valli di Hinnon e di Kidron.
Nella loro lettera, il Patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Theophilos III, il Custode della Chiesa Cattolica di Terra Santa Francesco Patton e il Patriarca armeno di Gerusalemme Nourhan Manougian hanno descritto il Monte degli Ulivi come “uno dei siti più sacri per la cristianità”.
La lettera continuava: “Negli ultimi anni, non possiamo fare a meno di sentire che diverse entità stanno cercando di minimizzare, per non dire eliminare, qualsiasi caratteristica non ebraica della Città Santa….”. “Sembra che [il piano]”, hanno scritto i religiosi, “sia stato proposto e sia orchestrato, avanzato e promosso da entità il cui unico scopo sembra che sia quello di confiscare e nazionalizzare uno dei luoghi più sacri per la cristianità e di alterarne la natura.”
Anche se raramente commentato in pubblico, gli osservatori esterni delle leggi, delle politiche e delle pratiche di apartheid di Israele hanno riconosciuto che i Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme non nominano gli organismi governativi israeliani e le organizzazioni di coloni – e si astengono dall’usare i termini apartheid e pulizia etnica – per paura di rappresaglie da parte delle autorità israeliane, tra cui molestie e/o divieti nei confronti dei loro fedeli che cercano di praticare il culto nei luoghi santi di Gerusalemme, confisca delle proprietà della chiesa, imposizione di tasse attualmente esentate attraverso quelli che vengono descritti come accordi di status quo, e aumento degli attacchi fisici al loro clero da parte di estremisti.
Annessione di fatto
Il rapporto biennale di Emek Shaveh si chiude con una valutazione critica di ciò che descrive come “una campagna crescente da parte delle ONG dei coloni per estendere il controllo israeliano sui siti in Cisgiordania, mentre puntano il dito verso la distruzione e il furto di antichità su larga scala da parte dei palestinesi”.
Emek Shaveh ha contato circa 6000 siti di antichità in Cisgiordania, scrivendo che “in quasi tutti i villaggi e le città ci sono resti archeologici di dimensioni variabili, da una pozza per l’acqua a un tumulo a più strati”.
“Ne consegue”, riconosce il rapporto, “che c’è sempre una tensione tra la necessità di sviluppo e la salvaguardia del patrimonio”. Tuttavia, diversi siti sono descritti in dettaglio, illustrando la preoccupazione di Emek Shaveh che quando l’Autorità Israeliana per le Antichità sponsorizza dei progetti “significa che sono stati fatti dei passi verso un’annessione de facto nel regno dell’archeologia“. Pagine Esteri
*traduzione a cura di Assopace Palestina