di Patrizia Zanelli*
Pagine Esteri, 16 novembre 2022 – Alcuni testi particolarmente originali sul piano artistico non diventano veri e propri best seller internazionali, ma hanno un impatto straordinario sullo sviluppo della cultura mondiale. Un caso famoso in tal senso è The Sound and the Fury,[1] (L’urlo e il furore) pubblicato nel 1929 dallo scrittore statunitense William Faulkner (1897-1962), vincitore del Nobel per la Letteratura 1949. La celebrità di questo romanzo modernista, ambientato nei primi tre decenni del ‘900 in una cittadina del Sud degli Stati Uniti, si deve anche al successo dell’omonimo adattamento cinematografico, uscito nel 1959. Lo stesso testo di Faulkner comincerà a influenzare la produzione culturale araba negli anni ’60 grazie all’avanguardismo di due intellettuali palestinesi: il letterato e pittore Giabra Ibrahim Giabra (Betlemme, 1919-Baghdad, 1994), e lo scrittore, critico letterario, giornalista e attivista marxista Ghassan Kanafani (Acri, 1936-Beirut, 1972). Entrambi erano stati costretti a lasciare la Palestina nell’ambito della Nakba (Catastrofe), l’evento traumatico vissuto dal loro popolo per via delle operazioni militari avvenute nei mesi precedenti la fondazione d’Israele, il 14 maggio 1948, e nel corso della prima guerra arabo-israeliana.
Nel 1961, Giabra tradusse The Sound and the Fury, e la sua traduzione araba influì molto sull’arte narrativa di Kanafani che aveva iniziato nel 1957 a pubblicare racconti incentrati sul binomio esilio-morte, mentre insegnava lettere in Kuwait. Nel gennaio del 1963, lo stesso scrittore palestinese pubblicò il suo primo romanzo, “Uomini sotto il sole”,[2] proprio nella città in cui dopo nove anni avrebbe perso la vita per avere portato avanti le sue idee politiche. L’8 luglio 2022 è stato infatti commemorato il cinquantesimo anniversario della morte di Kanafani, assassinato a Beirut in un attentato di solito attribuito al Mossad israeliano; con l’esplosione della sua auto, se ne andò insieme a lui la nipote sedicenne Lamìs. Il 6 luglio di sessant’anni fa, invece, Faulkner morì per motivi di salute.
L’originalità di The Sound and the Fury sta nella molteplicità dei punti di vista abbinata alla frammentazione del racconto, un abbinamento che costituisce l’espediente tecnico fondamentale ideato dallo scrittore statunitense per creare questo romanzo. Nell’opera, l’autore presenta la situazione dei tre fratelli Compson e il modo in cui ognuno di loro considera la sorella Caddy che, per via della sua promiscuità sessuale, ha rovinato la reputazione della famiglia aristocratica ormai in decadenza a cui appartengono. Il testo è suddiviso in quattro sezioni; in ciascuna delle prime tre, uno dei protagonisti racconta la storia dal proprio angolo visuale; la narrazione è di tipo autobiografico, e il campo visivo è limitato, riflettendo la percezione soggettiva della realtà. Nella quarta sezione, invece, la linea narrativa è sviluppata da un narratore onnisciente, voce esterna che narra gli eventi, come se vedesse tutto dall’alto, conosce il passato, il presente, il futuro, la psicologia e i pensieri dei personaggi, e ogni altro elemento del racconto. Il romanzo ha una struttura temporale complessa, caratterizzata da analessi – o flashback – e da prolessi. L’autore usa inoltre la tecnica del flusso di coscienza perfino nella prima sezione del testo in cui la storia è raccontata dal fratello Compson più giovane che è affetto da una disabilità intellettiva. Non è facile la lettura di The Sound and the Fury, definito talvolta come “il romanzo dei romanzieri” in quanto inesauribile fonte d’ispirazione artistica. Inizialmente, la complessità tecnica del testo portò certi commentatori a trascurare il messaggio politico che Faulkner veicola nell’opera stessa, che di fatto è una denuncia contro la mentalità conservatrice e razzista predominante nel Sud degli Stati Uniti.
Kanafani riprese il modello faulkneriano e lo rielaborò a modo suo, ossia lo trasformò, per creare “Uomini sotto il sole”, in cui descrive le sofferenze di tre palestinesi che fuggono dai campi profughi e attraversano il deserto per emigrare in Kuwait nella speranza di costruire una vita più dignitosa per sé e le loro famiglie, ma non hanno documenti di viaggio e proprio quando stanno per giungere a destinazione, incontrano la morte. Muoiono per ipertermia e asfissia dentro la cisterna vuota in cui un camionista e passeur improvvisato, loro compatriota, li aveva convinti a nascondersi, mentre lui sbrigava le procedure per passare la frontiera irachena. Questo quarto personaggio è un palestinese che aveva perso la virilità combattendo come partigiano (fidā’ī) della resistenza nel ’48. Non potendo più costruirsi una famiglia, pensa solo a guadagnare soldi per vivere meglio dopo quella ferita a cui avrebbe preferito la morte. Sente inoltre di essersi sacrificato inutilmente, visto che con la sconfitta militare aveva perduto anche la patria. Alla fine del racconto, getta i cadaveri dei tre migranti in una discarica, e come per scaricare le proprie responsabilità su di loro, si domanda perché, mentre erano ancora vivi, non avessero bussato alle pareti della cisterna, per chiedere aiuto. Sembra che l’autore abbia scelto questo finale sconcertante per indurre il lettore a interrogarsi sul significato dell’intera opera e a cercare da sé la risposta; il narratore in effetti narra la storia, esponendo i fatti senza commentarli o esprimere giudizi.
Indubbiamente “Uomini sotto il sole” è una rappresentazione della diaspora palestinese; tuttavia sotto certi aspetti il testo è interpretabile in modi diversi, poiché è improntato al simbolismo. In questo breve romanzo, ambientato nel 1958, Kanafani descrive varie conseguenze della Nakba, il trauma post-coloniale subito dal suo popolo. Ognuno dei personaggi principali rappresenta una generazione diversa e una situazione personale particolare. L’autore denuncia sia la corruzione dei regimi arabi, simboleggiati dai funzionari degli uffici che controllano la frontiera iracheno-kuwaitiana, sia la mancanza di solidarietà tra i palestinesi stessi, che cercano di migliorare le proprie condizioni individualmente, invece di unirsi in una lotta politica comune. “Uomini sotto il sole” è un’opera intramontabile perché propone un tema di portata universale e purtroppo sempre attuale; fa riflettere sugli effetti terribili di una guerra, sulla vita difficile dei profughi, nonché sulle migrazioni in genere, sulle ragioni che inducono le persone a emigrare anche a costo di affrontare un viaggio pericoloso.
Kanafani decise di frammentare il racconto, ma fece altre scelte importanti che rendono il romanzo diverso dal modello faulkneriano. Il testo è suddiviso in sette capitoli; ciascuno dei primi tre è dedicato a uno dei migranti; in quelli successivi vengono esposti i fatti che portano alla loro morte. La struttura temporale del romanzo è caratterizzata dalle analessi che ricostruiscono il passato dei quattro personaggi principali. In un segmento narrativo del quarto capitolo, è descritto il momento in cui il camionista aveva perso la possibilità di costruirsi una famiglia; la ferita personale riflette il trauma subito dal popolo palestinese con la perdita di una parte della propria patria. L’intera storia è narrata in terza persona da un narratore esterno; la voce narrante è unica, ma i punti di vista sono multipli. Questa molteplicità è realizzata tramite quella che Genette definisce come la focalizzazione interna variabile; di volta in volta uno dei quattro personaggi principali diventa focale; le immagini descritte nell’enunciato sono quelle percepite dai suoi occhi e, leggendo il segmento narrativo in questione, si ha l’impressione che sia lui a parlare. Dunque, è come se raccontasse la storia in prima persona dal proprio angolo visuale ristretto. Alla fine il racconto sembra un mosaico composto dalle diverse percezioni che i protagonisti hanno della stessa realtà. Kanafani abbina la voce esterna alla focalizzazione interna con maestria in “Uomini sotto il sole”, in cui usa di rado la tecnica del monologo interiore, talvolta il pensiero diretto legato e numerose sequenze dialogiche. Lo stile fluido e lineare della narrazione attenua la complessità di questo capolavoro il cui adattamento, “Gli ingannati”, realizzato dal regista egiziano Tewfik Saleh (Tawfīq Ṣāliḥ, 1926-2013) e uscito nel 1972, è tuttora considerato tra i 100 migliori film del cinema arabo.
Kanafani attinse maggiormente a The Sound and the Fury per creare “Tutto ciò che vi resta”[3], del 1966, ma compose questo suo secondo romanzo, rinunciando alla frammentazione del racconto. Nell’opera, l’autore descrive la situazione di una famiglia palestinese di Giaffa, i cui membri erano stati costretti a lasciare la città nel ’48, dopo che il padre era morto combattendo nella resistenza contro i miliziani sionisti poco prima della fondazione d’Israele. Nel tumulto della Nakba si erano dispersi andando a vivere in campi profughi diversi. Un figlio e una figlia vivono a Gaza; pensano che la madre sia in Giordania e forse è l’unica a sapere dove sia stato sepolto loro padre morto eroicamente. Il romanzo è incentrato sulla crisi identitaria associata alla diaspora palestinese.
I protagonisti sono il sedicenne Hamid, sua sorella Maryam rimasta incinta di Zakaria, prima che quest’uomo spregevole la sposasse; il Deserto che l’adolescente, turbato dal senso misto di odio e vergogna dovuto a questo fatto disonorevole per la famiglia, ha deciso di attraversare nella speranza di trovare la madre in Giordania; e l’Orologio il cui ticchettio risuona nella mente della giovane donna preoccupata per il fratello in viaggio, maltrattata dal marito e angosciata per essersi rovinata la reputazione per via della relazione extraconiugale che aveva avuto con lui.
Cinque linee narrative si incontrano e scontrano senza un filo logico apparente nel racconto, caratterizzato dalle analessi e dalla tecnica del flusso di coscienza. Si scopre man mano che Zakaria aveva tradito sia la prima moglie – da cui aveva già avuto tre figli – sia la causa nazionale, poiché aveva rivelato al nemico il nome del capo di un gruppo di fedayin che aveva combattuto nella guerra di Suez del ’56. L’uomo era stato quindi giustiziato dalle autorità israeliane. Hamid lo conosceva, perché era un amico di famiglia, e temeva di fare la sua stessa fine. La crisi identitaria dell’adolescente non dipende soltanto dagli atti disonorevoli compiuti dalla sorella e dal cognato, ma anche dalla sua stessa incapacità di affrontare il nemico e diventare un eroe come il padre. Cerca il conforto della madre, che anche Maryam vorrebbe. Il fratello ama ancora la sorella, nonostante tutto, perché gli resta soltanto lei. Lui però si è allontanato da lei, che quindi ama il marito, benché sia spregevole, perché ormai le resta solo lui. La dispersione dei membri di una famiglia rappresenta la diaspora palestinese e una crisi identitaria collettiva dovuta allo sradicamento dalla patria, dalla comunità originaria, e da qui la paura della solitudine, di perdersi nel luogo d’esilio per l’assenza di legami affettivi stabili.
Nel romanzo è inoltre raffigurata la relazione tra Spazio e Tempo nella Storia, in senso sia narratologico che storiografico e sociologico. Grazie all’introspezione, ai ricordi di famiglia e specialmente del padre morto eroicamente per la liberazione nazionale, Hamid e Maryam trovano letteralmente la forza e il coraggio per liberarsi dei problemi del passato e pensare al futuro; la soluzione sta nel ribellarsi contro la realtà opprimente del presente. Rispetto al modello faulkneriano, “Tutto ciò che vi resta” è contraddistinto dal simbolismo e dalla confusione delle linee narrative, riconoscibili solo grazie al cambiamento del tipo di carattere usato di volta in volta da Kanafani. La lettura del testo non è facile; e una parte della critica accusò l’autore di avere privilegiato lo sperimentalismo artistico all’impegno di esprimere le rivendicazioni politiche del suo popolo in un modo accessibile al pubblico generale. D’altro canto, “Tutto ciò che vi resta” è una vera gemma letteraria, forse l’opera in cui Kanafani, che si dedicava anche alla pittura, diede maggior sfogo alla propria creatività unendo cultura scritta e visuale tramite l’adozione di tecniche simili a quelle cinematografiche. Nel testo di appena 80 pagine, l’autore veicola comunque un messaggio politico importante soprattutto per le nuove generazioni, un invito a ribellarsi per cambiare la situazione e raggiungere la libertà. Pagine Esteri
*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Ha scritto L’arabo colloquiale egiziano (Cafoscarina, 2016); ed è coautrice con Paolo Branca e Barbara De Poli di Il sorriso della mezzaluna: satira, ironia e umorismo nella cultura araba (Carocci, 2011). Ha tradotto diverse opere letterarie, tra cui il romanzo Memorie di una gallina (Istituto per l’Oriente “C.A. Nallino”, 2021) dello scrittore palestinese Isḥāq Mūsà al-Ḥusaynī.
NOTE
[1] William Faulkner, L’urlo e il furore, tr. Augusto Dauphiné, Mondadori, 1947; tr. Vincenzo Mantovani, Mondadori, 1980; Einaudi, 1997.
[2] Ghassan Kanafani, Uomini sotto il sole, tr. Isabella Camera d’Afflitto, Rispostes, 1984; Edizioni Lavoro, 2016.
[3] Ghassan Kanafani, Tutto ciò che vi resta, tr. Emanuela Capobianco, Cicorivolta, 2017.