di Nasser Qandil – Al Bina
(foto di Ahmed Akacha)
Pagine Esteri, 15 febbraio 2023 – Le forze di opposizione siriane dovranno presto affrontare domande cruciali poiché il terremoto costringerà la Turchia a porre fine al suo intervento. Il devastante terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria ha creato una nuova situazione in cui Ankara si trova a dover sfruttare le proprie risorse per anni a venire per riprendersi dalle conseguenze del disastro, sostiene il caporedattore di un quotidiano libanese. Ciò accelererà il processo che porterà alla fine del suo intervento in Siria, che a sua volta dovrà affrontare le forze anti-regime nel nord-est e nel nord-ovest siriano con pressanti domande sul loro destino all’indomani del ritiro della Turchia.
Nella scena regionale si pone ora un interrogativo importante sulla scia del disastro causato dal terremoto: quale vantaggio può ottenere la Turchia dal mantenere le sue forze in Siria. La Turchia si trova ad aver bisogno di impegnare le sue risorse per il processo di ripresa dalle conseguenze del disastro e lo deve fare migliorando i rapporti con gli altri paesi. Da qui nasce il suo attuale tentativo di normalizzare le relazioni con la Grecia, come ha rivelato lo stesso presidente Recep Tayyip Erdogan. Allo stesso modo, Erdogan ha perseguito la normalizzazione con la Siria nella fase precedente al sisma con l’intento di ridurre gli oneri causati dall’intervento (negli anni passati in Siria) che ha sperperato gran parte delle risorse turche e ha portato rovina e terrorismo in Siria. E se prima era così, immaginate com’è adesso, dopo il terremoto. E tutti sanno che una condizione necessaria per le normali relazioni turco-siriane è il ritiro di Ankara dal territorio siriano.
Non c’è osservatore del dossier turco/siriano che non sappia che, prima del terremoto, il processo iniziato con la costituzione del quadrilatero russo/turco/iraniano/siriano sarebbe sfociato in una riunione militare di sicurezza volta a discutere i meccanismi per affrontare la situazione anomala nella Siria nordoccidentale, dopo che erano state discusse condizioni simili nella Siria nordorientale. Pertanto, la preoccupazione causata dalle conseguenze del disastro non durerà a lungo prima che sorga l’urgente necessità di andare avanti. Significherà mettere sul tavolo il futuro delle enclavi siriane nord-orientali e nord-occidentali a causa della loro connessione con la decisione turca di ritirarsi dalla Siria.
Erdogan, si sa, vorrebbe condizionare il suo arretramento a un risultato in termini di sicurezza che gli permetta di dichiarare al suo popolo che la minaccia è stata sradicata. A sua volta la Siria vuole che la sua cooperazione politica e di sicurezza verso quell’obiettivo sia subordinata a un impegno turco per mettere fine l’enclave del nord-ovest (Idlib), con Mosca e Teheran che appoggiano Damasco su questo punto.
Qui sorge la domanda su cosa intendono fare i politici siriani che si definiscono i leader della cosiddetta rivoluzione (del 2011). In che modo il mantenimento della loro presa sull’enclave siriana nordoccidentale si inserisce nella loro visione futura della Siria? Hanno una tale visione? Certo è che l’idea di un’azione militare che consenta loro di espandersi e diffondersi nelle aree siriane controllate dallo Stato è fuori discussione, anche solo come fantasia. Hanno il coraggio di dichiarare la loro intenzione di stabilire uno Stato indipendente nelle aree sotto il loro controllo? Controllano veramente quelle aree? Oppure nella realtà è un conglomerato di gruppi armati di varia affiliazione che mantiene il controllo di quella regione? La maggior parte di questi gruppi vive grazie ai finanziamenti di alcuni Paesi del Golfo e di alcune organizzazioni che promuovono l’estremismo (religioso) in altri Stati del Golfo, nonché della Fratellanza musulmana. Anche loro sanno che senza la copertura turca questa enclave non ha futuro. Hanno pensato a come affronteranno il ritiro turco quando verrà il momento?
Nel nord-est della Siria, il quadro è simile. Non ci sono prospettive militari su cui i leader delle Forze democratiche siriane (SDF) possano scommettere per espandere la loro amministrazione autonoma o affermare di far parte di un movimento siriano che controlla l’intero territorio siriano. Né sono in grado di dichiarare il loro Stato in quella zona e proclamare la secessione dalla Siria. E nemmeno di utilizzare il loro controllo dell’area per negoziare termini che trascendano un singolo Stato siriano e di avanzare formule federaliste. Quindi cosa diranno quando gli sarà chiesto delle loro strategie se gli Stati siriano e turco raggiungessero un accordo con una mediazione congiunta russo/iraniana per sradicare l’enclave? La risposta è che non hanno il controllo della decisione. Pagine Esteri