di Simone Sibilio*

Pagine Esteri, 28 marzo 2023 – 

 

Quattro sorelle da Zakariya

Quattro sorelle scalano il colle

sono sole

vestite di lutto.

Quattro sorelle sospirano davanti al bosco.

Quattro sorelle

madide lettere leggono al buio.

Un treno da ‘Artuf

passava oltre la foto.

Un cavallo portava una ragazza da Zakariya

oltre la curva nitriva in pianura.

Sulla gola le nubi andavano lente.

Quattro sorelle da Zakariya,

sole

sul colle

sono vestite solo di lutto.

Questi versi tratti dalla raccolta Biografia in carbone (2003) del celebre poeta palestinese Ghassan Zaqtan sigillano l’incontro tra la memoria privata, familiare e l’esperienza collettiva di una vasta comunità espulsa dalla propria terra e perduta sui sentieri d’esilio.

Potremmo dire che è una poesia rappresentativa di una tendenza dominante nella letteratura palestinese degli ultimi anni, il ritorno sui luoghi perduti nel ’48 o nelle successive tragiche vicende della storia palestinese, attraverso la descrizione di un’esperienza reale o anche solo attraverso l’immaginazione, motore del dire poetico. Il villaggio di Zakariya menzionato dal poeta e da cui proveniva la madre, venne raso al suolo in seguito alla Nakba e sostituito dall’insediamento israeliano col nome ebraico di Zecharia, in una operazione di “sovrascrittura toponomastica” tipica delle politiche identitarie israeliane. In seguito ad Oslo, Ghassan Zaqtan ritorna su quel sito accompagnando la madre e partecipando a questa esperienza di riconnessione con i luoghi e i ricordi familiari. Quel momento intriso di senso di perdita e di tensione è immortalato in questi toccanti versi.

Zaqtan è uno di quegli intellettuali palestinesi nati negli anni ’50 che dopo un lungo peregrinare tra le numerose méte della diaspora, in seguito agli Accordi di Oslo nel 1993 ha avuto l’opportunità di rientrare in Palestina, ma come spiega in un’intervista:

«Si trattava di un ritorno limitato a una parte ristretta del luogo, regolata dalle condizioni e dalle politiche dell’occupazione, un ritorno incompleto in un luogo incompleto.

Nato nel 1954 a Beit Jala, nei Territori Occupati, e figlio di Khalīl Zaqtan, noto poeta ed educatore a cui si deve l’apertura della prima scuola nel campo profughi di Deisha, alla periferia di Betlemme, ha vissuto in esilio la maggior parte della sua giovinezza. In Giordania ha insegnato educazione fisica nei programmi educativi dell’UNRWA, poi ha vissuto prima in Siria, poi in Libano e in Tunisia come altri intellettuali palestinesi esuli al seguito dell’OLP.

In ambito giornalistico ed editoriale, è stato caporedattore della prima rivista letteraria palestinese pubblicata nei Territori Occupati, di appartenenza dell’OLP, “al-Bayadir”, poi delle riviste “al-Shu‘ara’” e “Masharif”, e infine della pagina letteraria del quotidiano di Ramallah “al-Ayyam”. Nel 1996 insieme ad altri intellettuali ha fondato la Casa della Poesia di Ramallah, dirigendo dal 2004 al 2011 il Dipartimento Cultura e pubblicazioni del Ministero della Cultura. Oggi vive a Kobar, un paesino nei pressi di Ramallah, punto di osservazione privilegiato sui colli circostanti e da cui cogliere i segni del luogo e del tempo che abbondano nella sua poesia.

È autore di quattro testi in prosa (in italiano è disponibile Ritratto del passato, a cura di L. Ladykoff, Poiesis, Bari, 2008 – 2° ristampa, 2011) e di oltre una decina di raccolte poetiche, di cui l’ultima in uscita: Vado a sentire le meraviglie di mio padre. Ha inoltre conseguito numerosi riconoscimenti arabi e internazionali, tra cui il Griffin Poetry nel 2013 per la raccolta tradotta in inglese da Fady Jouda Like a Straw Bird it follows me and Other Poems e i premi arabi Mahmoud Darwish (2016) e Anwar Salman (2019).

Le sue prime raccolte poetiche apparse tra gli anni ’80 e la fine degli anni ‘90, Primo mattino  (1980), Vecchie ragioni, (1982), Stendardi, (1984), L’eroismo delle cose, (1988), sono in parte attraversate dalle domande e istanze della poesia in voga in quegli anni, erede della stagione della letteratura d’impegno sociale e politico, volta alla sublimazione del rapporto del rapporto con la terra e il luogo. Tuttavia serbano già i semi dell’indirizzo estetico che la scrittura di Zaqtan intraprenderà, strutturata attorno a quella “poetica delle piccole cose” – in contrapposizione alle grandi narrazioni, all’eroismo della lotta, al martirio o alle inquietudini della realtà politica a lungo dominanti nella poesia palestinese del ‘900 condensata in un verso libero tenue e ponderato, pervaso da atmosfere meditative e toni tutt’altro che declamatori.

Ma è in una fase successiva segnata dall’uscita di La tentazione del monte, (1998) e, soprattutto, di Biografia in carbone (2003) che si può tracciare l’inizio di un percorso che renderà la parola poetica di Zaqtan facilmente riconoscibile nel panorama letterario arabo. Da queste due raccolte emergono con più evidenza quelli che saranno inoltre gli elementi portanti attorno a cui si orienterà la sua ricerca poetica, sempre più aperta alle suggestioni della narratività:

l’illuminazione del particolare, l’attenzione alle piccole cose, siano esse presenze materiali o simboliche del quotidiano che colmano i vuoti o registrano i moti dell’anima; l’attenzione per ciò che apparrebbe marginale o perduto, ma che la poesia recupera o ravviva, rendendolo elemento rivelatore del rapporto con il luogo e con il sé;
la scrittura del paesaggio, laddove l’avvicendarsi di modalità descrittive naturalistiche o realistiche lascia spazio all’irruzione del surreale e dell’onirico, così trasportando repentinamente il lettore da ambienti naturali, vividi, chiari, a scenari cupi, surreali o persino da incubo;
a queste due traiettorie è correlata l’articolazione della memoria che assume una pluralità di forme e declinazioni: memoria storica e dei luoghi perduti, attraverso cui poter accedere ad un passato cancellato, al contempo dolente e carico di vita, e dunque alle istanze dell’identità e del discorso politico; memoria intertestuale con cui intraprende il dialogo con i grandi poeti del passato, memoria degli assenti, le cui voci vibrano con vigore in numerosi suoi testi, componendo la partitura della dualità vita/morte.

L’esilio, il movimento nello spazio e nel tempo, il paesaggio, la memoria sono, dunque, componenti centrali nell’opera di Zaqtan, che si ritrovano nelle tre raccolte antologizzate nel volume in italiano In cammino invocano i fratelli. Versi scelti, a cura di S. Sibilio, uscito per le Edizioni Q di Roma nel 2019. Le raccolte, scelte di concerto con l’autore, sono rappresentative di un progetto organico, ovvero presentano tratti, temi, atmosfere comuni e, pin generale, sono figlie di una comune ricerca. Si tratta di Come uccello di paglia, mi segue del 2008; Nessun neo mi rivela a mia madre del 2014; In cammino invocano i fratelli del 2015, le ultima due inedite in italiano.

In particolare il topos del ricordo e quello dell’assenza vengono articolati all’interno di una poetica dell’ordinario che disvela il suo rapporto con spazi e tempi plurimi, saldato dall’incessante ricerca intertestuale. La Palestina in questo opere dimora sullo sfondo di un poema abitato da soggettività spesso escluse da quelle narrazioni e dettagli di luoghi e scenari descritti. E dunque il paesaggio territoriale e poetico a volte sembrano fondersi in un unico spazio in cui si muovono persone comuni ma anche spettri, visioni, richiami alla tradizione araba o biblica. Particolarmente intenso è quello sguardo sul movimento migratorio di popoli illuminato o solo evocato nella raccolta che dona il titolo al volume In cammino invocano i fratelli. In cammino sono i diseredati, i dispersi, gli esuli che attraversano i territori del sogno e della memoria in cerca di riconnettersi con la propria storia e con il luogo vissuto. Ed è un cammino comune a tanti popoli, dai Palestinesi a partire dalla Nakba ad altri, accolti in questo testo aperto e votato a riferire di esperienze altre di dispersione nella storia. E lungo questo cammino uno dei fratelli invocati è il grande Mahmud Darwish con cui Zaqtan intesse un profondo dialogo, in più di un testo, un dialogo che lega passato a presente in un costante gioco di rimandi e allusioni alla vita di un popolo che resiste dopo ormai 75 anni con ogni mezzo possibile alla minaccia di cancellazione:

Qui c’è un albero rigoglioso che non vediamo, eppure possiamo ancora ricordare

mandorli, fichi, due peschi, molti susini e un albicocco sotto la finestra di tua madre.

Qui è la luce, dove un poeta vide una scala nel vento

e al risvegliò ci scagliò la visione

mentre il luogo a lui destinato era ormai un’orchestra di colombe

“ volano le colombe,

si posano le colombe”.

Zaqtan è in Italia per un giro di presentazioni di In cammino invocano i fratelli. Versi scelti. Sarà a Venezia giovedì 30 per una conferenza (ore 08,45) all’Università Ca’ Foscari nella sede di Ca’ Dolfin in compagnia del docente di letteratura araba e traduttore Simone Sibilio, del docente di arabo Bishara Obeid e del poeta Gianni Montieri; e venerdì 31 marzo, ospite di Incroci di Civiltà (ore 09,00 all’Auditorium Santa Margherita); a Roma il 2 Aprile presso lo spazio artistico RomartFactory con Luisa Morgantini, Wasim Dahmash e Simone Sibilio.

 

 

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* Simone Sibilio (Phd) insegna lingua e letteratura araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Le sue principali aree di ricerca sono la poesia araba moderna e contemporanea, la questione palestinese, la traduzione letteraria. Tra le sue maggiori pubblicazioni, Nakba. La memoria letteraria della catastrofe palestinese (Edizioni Q, II, 2015); In guerra non mi cercate. Poesia araba delle rivoluzioni e oltre (in collaborazione con O. Capezio, E. Chiti e F.M. Corrao,  Le Monnier, 2018), Poesia araba moderna e contemporanea (Ipocan, Roma, 2022). Ha tradotto numerosi poeti arabi contemporanei tra cui Muhammad al-Fayturi, Talal Haidar, Moncef Ouhaibi, Ghassan Zaqtan, Najwan Darwish. È autore della silloge Una bussola per bandiera (Di Felice Edizioni, 2021).