di Michelangelo Cocco*

(questo articolo è stato pubblicato in origine da “Rassegna Cina” del Centro studi sulla Cina contemporanea)

Pagine Esteri, 16 giugno 2023 – Lo Shangri-La Dialogue che si è svolto a Singapore dal 2 al 4 giugno scorso è stato preceduto e accompagnato da due quasi collisioni tra aerei e navi cinesi e statunitensi, rispettivamente nei cieli sul Mar cinese meridionale (il 26 maggio) e nello Stretto di Taiwan (il 3 giugno). Si è trattato di vere e proprie manovre “di avvertimento”, con le quali l’Esercito popolare di liberazione (Epl) ha sottolineato il monito lanciato il 4 giugno dal nuovo ministro della difesa di Pechino dal palco della ventesima conferenza sulla sicurezza organizzata dallo International Institute for Strategic Studies (Iiss).

Li Shangfu, il figlio di un importante veterano dell’armata rossa che il presidente cinese ha voluto a capo dell’Epl, ha pronunciato un discorso (il cui testo è consultabile a questo link) destinato a passare alla storia, dal momento che Xi Jinping ha mandato il suo generale (sotto sanzioni Usa dal 2018 per l’acquisto di armi dalla Russia) a proclamare davanti a centinaia tra ministri ed esperti di difesa che la Cina non tollera più “interferenze” in quelle due zone strategiche del Pacifico occidentale. I pattugliamenti degli Stati Uniti e dei loro alleati per garantire la “libertà di navigazione” in acque internazionali nel Mcm e intorno a Taiwan sono, ha dichiarato Li, «provocazioni per esercitare un’egemonia di navigazione» e come tali vanno contrastati.

Il ministro della difesa ha di fatto dettato le condizioni di Pechino per riprendere il dialogo con Washington che, a livello di comandi militari, è pericolosamente interrotto dal 2 agosto scorso, quando l’allora terza carica degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, fu ricevuta a Taiwan dalla presidente Tsai Ing-wen. Pechino pretende un allentamento della pressione degli Stati Uniti e dei loro alleati su Taiwan e nel Mar cinese meridionale: lo ha confermato l’ex ambasciatore a Washington Cui Tiankai, presente anch’egli a Singapore. La leadership cinese vuole inoltre che – in segno di rispetto per la sua nuova carica di ministro della difesa – l’amministrazione Biden rimuova le sanzioni nei confronti di Li.

Il ministro della difesa cinese, Li Shangfu

Nel mirino di Li Shangfu sono finite le partnership di difesa Quad (Usa, Australia, India e Giappone) e Aukus (Australia, Regno Unito e Usa), incentrate sul Pacifico occidentale, definite un «tentativo di favorire lo sviluppo di alleanze militari simili alla Nato, sequestrando i paesi della regione ed esagerando conflitti e scontri, che non faranno altro che far precipitare l’Asia-Pacifico in un vortice di controversie e conflitti». A queste Li ha contrapposto la Global security initiative lanciata da Xi, incentrata sullo sviluppo economico piuttosto che sulla comune adesione all’ordine internazionale liberale.

Se, da un lato, la Cina mostra i muscoli, dall’altro il contrasto esplicito alle sue rivendicazioni di sovranità su Taiwan e nel Mar cinese meridionale (affermato anche dal recente vertice del G7 di Hiroshima), così come l’utilizzo politico e il risalto mediatico dato in Occidente all’incidente del pallone spia dell’inizio dell’anno, o le stesse sanzioni contro Li sono motivo di imbarazzo per la leadership di Pechino, perché cozzano con la narrazione del “grandioso risveglio della nazione cinese” promossa da Xi come principale collante tra la società e il partito unico.

Come che sia, i rapporti tra Pechino e Washington sono ai minimi dal 1979, da quando Cina e Stati Uniti stabilirono ufficialmente relazioni diplomatiche. E l’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean) – in equilibrio tra commercio con la Cina e legami di sicurezza con gli Stati Uniti – a Singapore si è dichiarata “molto preoccupata”. A nome del gruppo di dieci paesi il ministro della difesa della città-stato, Ng Eng Hen, ha avvertito che «devono esistere canali di comunicazione, sia formali che informali, in modo che quando si verificano questi incidenti non pianificati, tali canali possano essere utilizzati per ridurre l’escalation ed evitare conflitti, altrimenti potrebbe essere troppo tardi per avviarli o attivarli nei momenti di crisi». Le controparti cinesi avranno certamente parlato di questo (oltre che di Ucraina) incontrando il direttore della Cia, William Burns, che il mese scorso si è recato in segreto in Cina.

Mentre Li parlava allo Shangri-La Dialogue, a Pechino sono sbarcati il sottosegretario di stato per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico, Daniel Kritenbrink, e la nuova direttrice  gli affari della Cina e di Taiwan del Consiglio per la sicurezza nazionale, Sarah Beran, per discutere «questioni chiave della relazione bilaterale». Le posizioni tra Pechino e Washington restano distanti, tanto che mercoledì 7 giugno Kurt Campbell, il responsabile della Casa Bianca per la sicurezza nazionale con delega sull’Asia-Pacifico, ha dichiarato che «siamo ancora relativamente all’inizio del processo di questo ciclo di impegno in termini di dialogo e diplomazia tra [gli Stati Uniti] e la Cina, ed è incerto quale traiettoria prenderà, ma posso assicurarvi… condurremo la nostra diplomazia con la Cina nella più stretta consultazione possibile con alleati e partner». Pagine Esteri

*Giornalista professionista, China analyst, scrivo per il quotidiano Domani. Ho pubblicato “Xi, Xi, Xi – Il XX Congresso del Partito comunista e la Cina nel mondo post-pandemia (Carocci, 2022), e “Una Cina perfetta – La Nuova era del Pcc tra ideologia e controllo sociale (Carocci, 2020). Habitué della Repubblica popolare dal 2007, ho vissuto a Pechino nel 2011-2012, corrispondente per il quotidiano il manifesto nello scoppiettante e nebbioso crepuscolo della tecnocrazia di Hu Jintao & Co. Sono rientrato in Cina nel gennaio 2018, anno I della Nuova era di Xi Jinping, quella in cui il Partito-Stato regalerà a tutti “una vita migliore” e costruirà “un grande paese socialista moderno”. Racconto storie, raccolgo dati e cito fatti evitando di proiettare le mie ansie e le mie (in)certezze su un popolo straordinario che se ne farebbe un baffo.