AGGIORNAMENTO

L’esercito israeliano sostiene di aver arrestato il palestinese che ieri, firmandosi “Battaglione Al Ayyash”, ha tentato di lanciare due razzi artigianali verso un insediamento coloniale. Secondo fonti giornalistiche non sarebbe affiliato ad alcuna organizzazione politica.

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della redazione

Pagine Esteri, 27 giugno 2023 – In Israele si levano con più forza le voci – soprattutto dall’estrema destra – che invocano una operazione militare su larga scala nel nord della Cisgiordania dopo che un gruppo palestinese ha provato ieri a lanciare due razzi artigianali verso una colonia israeliana. In sostanza in casa israeliana, spiegano i media locali, si teme che la Cisgiordania, occupata militarmente dallo Stato ebraico da più di 56 anni, si trasformi “in una nuova Gaza”. Il riferimento è alla lotta armata che le organizzazioni militari palestinesi avviarono nella Striscia di Gaza, con l’inizio della seconda Intifada nel 2000, contro l’esercito e i coloni israeliani. A detta di molti, quelle azioni armate costrinsero l’allora premier israeliano Ariel Sharon a pianificare e quindi, nel 2005, ad ordinare il “ridispiegamento”, ossia il ritiro da quel territorio palestinese.

I razzi di ieri – visibili in filmati postati su Telegram dal cosiddetto “Battaglione Al-Ayyash” – ricordano da vicino i “Qassam 1”, l’embrione di razzi e missili più evoluti che il movimento islamico Hamas e altre organizzazioni armate hanno sviluppato nel corso degli anni e che sono sparati verso i centri abitati israeliani quando (ma non solo) lo Stato ebraico lancia le sue offensive militari contro Gaza. Secondo indiscrezioni, Hamas in particolare sarebbe stato in grado di trasferire in Cisgiordania le conoscenze sulla costruzione dei razzi maturate a Gaza negli ultimi venti anni.

Il “Battaglione Al Ayyash”, dal nome di un comandante militare di Hamas ucciso da Israele nel 1995, ha diffuso un filmato simile a quello di ieri alla fine di maggio. L’esercito israeliano in quella occasione ritrovò una piccola rampa di lancio nel villaggio di Nazlet Zeid, a ovest di Jenin e vicino alla colonia di Shaked.

 

Secondo alcuni siti d’informazione ebraici, l’esercito israeliano sarebbe sul punto di effettuare un’ampia operazione a Jenin, roccaforte assieme a Nablus della militanza armata palestinese. L’obiettivo, spiegano, è quello di rioccupare la città palestinese, “eliminare radicalmente” le organizzazioni armate e ritirarsi nel giro di 48 ore. La destra estrema religiosa che governa Israele spinge per lanciare subito l’operazione ed evitare che la lotta armata palestinese metta in discussione la presenza e la vita quotidiana di chi vive degli insediamenti coloniali costruiti dopo il 1967 nei Territori palestinesi occupati in violazione del diritto internazionale e delle risoluzioni dell’Onu.

Ai vertici delle Forze armate persistono i dubbi. L’operazione militare corre il rischio serio di prolungarsi oltre le 48 ore pianificate di fronte alle capacità che i gruppi armati palestinesi hanno acquisito di recente e al costo in vite umane che ci sarà anche per i reparti israeliani. Senza dimenticare la possibilità che l’invasione di Jenin inneschi insurrezioni palestinesi nel resto della Cisgiordania.

Tra i palestinesi, come confermano sondaggi recenti, resta alto il sostegno alla lotta armata considerata dalla maggioranza della popolazione come l’unica possibilità di mettere fine all’occupazione militare israeliana dopo il fallimento di ogni trattativa ed opzione politica. Pagine Esteri