di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 28 agosto 2023. Lapidi distrutte, tombe coperte di catrame e date alle fiamme: in Iran chi chiede giustizia viene perseguitato in vita e dopo la morte. Ci si prepara all’anniversario delle manifestazioni che lo scorso anno hanno sconvolto la Repubblica islamica, con un’eco che ha attraversato i confini nazionali, trovando sostegno e solidarietà in molte parti del mondo.
Dopo l’arresto e l’uccisione, sotto custodia, della giovane Mahsa Amini, portata via dagli agenti della “polizia morale” perché non indossava adeguatamente il velo, in migliaia sono scesi per le strade della capitale Teheran e di almeno altre 160 città iraniane. Le donne hanno protestato sui social togliendosi il velo o tagliandosi i capelli. Jin, Jîyan, Azadî!, il motto “Donna, vita, libertà”, è stato intonato dalle donne che chiedevano la fine dell’oppressione e la liberazione dalle leggi discriminatorie che non consentono una vita dignitosa.
Ma non solo. Le proteste cominciate per la morte di Mahsa Amini si sono trasformate in dimostrazioni rabbiose di insofferenza e ostilità nei confronti dei vertici di governo, per le riforme mancate, per la povertà diffusa, per la situazione economica. A centinaia sono stati uccisi, circa 20.000 gli arresti.
Manifestanti, donne e uomini, ragazzi e ragazze perlopiù, sono stati fermati, torturati, uccisi durante le proteste o impiccati, in pubblica piazza, perché le loro morti fossero da esempio. Attivisti sono stati arrestati solo per aver espresso il proprio sostegno alle proteste via social. In molti casi, in prigione, sono stati sottoposti a pesanti torture per estorcere la confessione della propria colpa. Confessioni poi utilizzate per condannarli alla pena di morte. Nel 2022 le impiccagioni sono state 582, nel 2021 erano state 333. Nei primi quattro mesi del 2022 ne erano state 260. Ma i processi farsa e le uccisioni non hanno fermato le rivolte.
#Iran: “Civil and democratic space continued to be restricted,” @UNHumanRights deputy chief @NadaNashif told the Human Rights Council.
More on the @UN Secretary-General’s report on the situation of human rights in the Islamic Republic of Iran ➡️https://t.co/0ZPQHOzW1H#HRC53 pic.twitter.com/mI3gvy6ri1
— United Nations Human Rights Council (@UN_HRC) June 21, 2023
Nei mesi successivi le famiglie dei manifestanti e delle manifestanti uccisi sono stati perseguitati, molti di loro, a migliaia, arrestati. Sparizioni forzate, processi farsa, fustigazioni e mutilazioni sono pratiche ancora oggi molto utilizzate.
Tra pochi giorni si celebrerà l’anniversario della morte di Mahsa Amini, avvenuto il 16 settembre 2022. In questo anno le famiglie delle vittime della repressione hanno spesso visitato la sua tomba, simbolo di unità e di forza per tanti. I familiari della ragazza uccisa hanno più volte denunciato i raid vandalici che distruggono le lapidi dei manifestanti e degli attivisti ammazzati durante le proteste. Di tutta risposta il governo ha fatto sapere che intende spostare la tomba di Mahsa Amini, con l’obiettivo dichiarato di limitarne le visite.
A questo scopo sono state brutalmente attaccate e cacciate le famiglie che commemoravano i propri cari morti durante le proteste. Gli stessi familiari hanno denunciato che le lapidi sono ripetutamente distrutte e le tombe, cosparse di catrame, vengono date alle fiamme. Alcune tombe sono state danneggiate durante la notte ma spesso i raid sono avvenuti di giorno, alla presenza dei familiari, che non hanno ricevuto alcun sostegno dalle autorità iraniane, le quali anzi, denunciano, hanno spesso minacciato ulteriori ripercussioni.
“Le autorità della Repubblica islamica mi hanno ucciso un figlio innocente, hanno imprigionato mio fratello e i suoi familiari e poi mi hanno convocata per il ‘reato’ di aver chiesto giustizia per mio figlio. I cittadini iraniani non hanno alcun diritto di protestare e ogni tentativo di chiedere libertà viene soppresso con estrema violenza”. Così ha scritto su twitter la madre di Artin Rahmani, un ragazzo di 16 anni ucciso dalla polizia.
Amnesty International denuncia l’accanimento giudiziario nei confronti delle famiglie delle vittime, i cui membri vengono arrestati arbitrariamente e spesso torturati. La sorveglianza illegale è utilizzata per intimidirli. Il diritto alla salute dei detenuti non è rispettato e in carcere non si assicurano le cure necessarie alla sopravvivenza dei malati.
Le intimidazioni e le violenze sono aumentate in vista dell’anniversario delle proteste. Le autorità temono una nuova escalation che tentano di reprimere in maniera preventiva stringendo la morsa dei controlli sui familiari delle vittime e compiendo decine e decine di nuovi arresti tra attivisti e attiviste.