di Michele Giorgio*
(foto di Ibrahim Husseini/The New Arab)
Pagine Esteri, 5 settembre 2023 – In una domenica di inizio agosto, calda e umida, una folla si è radunata in piazza Habima a Tel Aviv per una manifestazione organizzata per ragioni ben diverse da quelle legate alla protesta contro la riforma giudiziaria che ha reso simbolico questo luogo. In maggioranza c’erano palestinesi d’Israele ma anche ebrei. Ragazzi e adulti, uomini e tante donne, non poche della quali velate. Portavano cartelli in arabo ed ebraico con slogan come «Paghiamo le tasse, non il pizzo». Poi è partita la «Marcia dei Morti», con decine di giovani accanto a bare bianche. È stata la protesta più rilevante organizzata dalla società civile araba contro l’inazione del governo Netanyahu nei confronti della criminalità che miete vittime ormai ogni giorno nelle città e nei villaggi arabi in Israele. «Voglio che la polizia faccia rispettare la legge per tutti – ha aggiunto Naja Nasrallah, un’attivista – voglio che smantelli le organizzazioni criminali nella comunità araba. Non vogliamo essere cittadini di seconda classe».
Ben pochi i leader politici ebrei che hanno partecipato. Si è intravista la presidente del partito laburista Merav Michael e gli ex parlamentari Michael Melchior, Yair Golan e Mossi Ras. «È una vergogna il disinteresse delle autorità. Lo Stato deve sradicare questi fenomeni, non può restare a guardare», spiegava Daniel Spitz, 72 anni, ai giornalisti.
Non la pensano allo stesso modo il governo Netanyahu e i comandi delle forze di polizia e di intelligence. Da quella afosa domenica sera non è cambiato nulla se non il numero dei morti ammazzati, 160 in otto mesi, per mano della criminalità o in vendette tra famiglie. Appena pochi giorni fa c’è stato un massacro nella cittadina a maggioranza drusa di Abu San, alle porte di San Giovanni d’Acri: quattro persone sono state uccise a colpi di arma da fuoco, tra cui Ghazi Saab un politico locale. «Lo Stato e le forze dell’ordine non possono chiudere un occhio davanti al dilagante terrore criminale. È responsabilità esclusiva del governo e delle forze dell’ordine», ha protestato il leader spirituale dei drusi Sheikh Mubarak Tari.
Il capo dell’opposizione, il centrista Yair Lapid, ha attribuito la responsabilità al ministro Ben Gir e al governo di estrema destra. «Queste uccisioni, la criminalità nei centri arabi, però non sono un fenomeno di questi mesi. C’erano anche quando governava Lapid e quando erano al potere altri primi ministri» commenta Fares, un insegnante di Haifa. «Gli ebrei – prosegue – ci chiedono perché non partecipiamo alle manifestazioni per la democrazia ma la democrazia in questo paese è ebraica, quindi per loro. Siamo cittadini di seconda classe, da noi la polizia dello Stato ebraico non manda i suoi agenti a combattere i criminali».
Sino ad oggi è stata minima la partecipazione di cittadini arabi ai raduni contro la riforma della giustizia con centinaia di migliaia di persone che paralizzano il centro di Tel Aviv e di altre città. «Per i cittadini arabi – ci spiega l’analista Nadim Nashef, presidente dell’associazione Amli – lo scontro sulla giustizia è una lotta per l’egemonia tra ebrei laici, spesso ashkenaziti, che si rifanno all’Israele dei primi 40 anni e gli altri con varie origini che oggi sono al governo. I palestinesi d’Israele vogliono la democrazia ma non quella ebraica. Chiedono che Israele non sia più lo Stato degli ebrei ma lo Stato di tutti i suoi cittadini. Non si appassionano allo scontro in atto, perché punta a conservare o a scardinare lo status quo che a loro comunque non va bene». Pagine Esteri
*Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto