di Michele Giorgio
(questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto )
(nella foto di Michele Giorgio la piazza della Mangiatoia a Betlemme senza l’albero e gli addobbi di Natale)
Pagine Esteri, 24 dicembre 2023 – Dal 7 ottobre Betlemme è una città prigioniera, anche in questi giorni di Natale. Per entrarvi si è costretti a passare, e non è facile, il posto di blocco dell’esercito israeliano nei pressi del villaggio di Khader, a sud di Betlemme. Si resta in coda per un bel po’, anche un’ora all’uscita. Non c’è altro modo di arrivare in auto nella città. Tutti gli altri posti di blocco sono sigillati dal giorno dell’attacco di Hamas nel sud di Israele. Per ragioni di sicurezza, afferma Israele. Per i palestinesi invece è una punizione collettiva che stanno subendo città e villaggi della Cisgiordania. Da Khader si va verso il campo profughi di Dheisheh, quindi si passa per il sobborgo di Doha, poi all’incrocio grande di Beit Jala finalmente si svolta verso Betlemme. Giunti in città si capisce subito quanto forte sia il dolore dei palestinesi per i 20mila morti di Gaza e per l’offensiva israeliana che dura da quasi 80 giorni. E che i paesi occidentali, o gran parte di essi, lasciano continuare sebbene a pagare il conto più alto in vite umane, distruzioni e sofferenze siano i civili, a cominciare da donne e bambini.
Di solito a dicembre la piazza della Mangiatoia, davanti alla Chiesa della Natività, ospita un enorme albero di Natale, gli addobbi decorano e arricchiscono negozi, locali, hotel e ristoranti. E un nutrito programma di concerti, cortei e spettacoli natalizi anticipano e seguono l’ingresso a Betlemme del Patriarca latino (cattolico) che a mezzanotte notte officia la tradizionale messa di Natale. Riti e celebrazioni che si ripetono giorni dopo per il Natale degli Ortodossi. Manca poche ore al Natale e le strade e i cortili di Betlemme sono in gran parte vuoti. Le Chiese di tutta la Palestina hanno annunciato la cancellazione delle festività in un’espressione di unità con Gaza, limitando le attività di questo periodo alle preghiere. «Quest’anno non ci sono festeggiamenti, ma solo riti religiosi ed è giusto così, perché come si fa a gioire del Natale mentre dentro di noi crescono tristezza e amarezza per l’uccisione di tanti innocenti a Gaza, di così tanti bambini», ci spiega Nabil Giacaman, proprietario di un noto negozio di souvenir nella piazza della Mangiatoia e membro di una delle famiglie cristiane più importanti di Betlemme. Davanti al suo negozio, nella piazza, passano poche persone, in buona parte poliziotti dell’Autorità Nazionale. Di fronte, sull’edificio del Centro turistico, sventolano una decina di bandiere palestinesi in fila, accanto a un poster enorme che chiede la fine della guerra. «Possibile che nel mondo non ci sia qualcuno che dica a Israele di finirla, di fermare il suo attacco, di interrompere la distruzione di Gaza?» domanda Giacaman. «Per questo» aggiunge «non abbiamo fatto l’albero a casa. Sono un cattolico e adoro il Natale con i suoi riti e le sue tradizioni, ma non c’è gioia, siamo a lutto quest’anno». La chiusura israeliana per Betlemme significa la fine di qualsiasi forma di turismo. «Nessuno può arrivare qui» ci dice ancora il commerciante «non mi riferisco ai turisti stranieri che, spaventati dalla guerra, non vengono in Terra santa. Parlo dei palestinesi di Gerusalemme e di quelli in Israele che non possono raggiungere Betlemme, non possono entrare in città. Betlemme è un carcere dove sono stati vietati persino i colloqui con i detenuti». I riflessi della guerra a Gaza sull’economia cittadina – Betlemme riceve fino a 1,5 milioni di turisti all’anno – si prevedono enormi e andranno ad aggiungersi a quelli causati dalle passate restrizioni sanitarie e di viaggio legate alla pandemia. Il ministero del turismo calcola le perdite nel 2023 in Cisgiordania intorno ai 200 milioni di dollari, di cui almeno il 60% a Betlemme.
Hanna Hanania, il sindaco, è impegnato a spiegare i motivi dell’annullamento delle celebrazioni natalizie e, più di tutto, la gravità della condizione di tutti i palestinesi a cominciare, naturalmente, da quelli a Gaza sotto attacco. È molto occupato ma trova qualche minuto per rispondere alle domande del manifesto. «Il nostro popolo sta vivendo giorni molti difficili, a Gaza è in corso un genocidio, una pulizia etnica, e la municipalità ha deciso di cancellare ogni attività che non sia legata ai riti religiosi del Natale» ci dice. «Non osiamo paragonare in alcun modo le sofferenze dell’economia di Betlemme con le devastazioni che subisce Gaza» aggiunge «allo stesso è evidente che la guerra e la chiusura (israeliana) stanno avendo un impatto durissimo sui commerci, sul lavoro, su tutte attività della nostra città. Israele deve fermarsi perché a Gaza è un massacro e perché la guerra sta devastando in modi diversi tutta la Palestina».
L’atmosfera cupa e triste di questi giorni ricorda quella che regnò a Betlemme per mesi durante l’operazione Muraglia di Difesa, nella primavera del 2002, quando Israele, nel pieno della seconda Intifada palestinese, rioccupò le principali città della Cisgiordania che aveva evacuato sette anni prima nel quadro degli Accordi di Oslo. L’assedio della Chiesa della Natività, circondata dai carri armati, è un ricordo indelebile per gli abitanti. «Avevo venti anni allora e ricordo bene quel clima tanto simile a questo. La differenza è che oggi non ci sono i carri armati sulle strade, ma chi ci garantisce che non tornino presto o tardi. Israele fa ciò che vuole e potrebbe trasformare la Cisgiordania in una distesa di macerie come Gaza. E il mondo sta zitto», afferma il proprietario di un caffè che preferisce non darci il suo nome: «Abbiamo paura di tutto, di parlare, di scrivere, di dire la nostra opinione. Ci arrestano per qualsiasi cosa». Dopo il 7 ottobre, nel distretto di Betlemme sono stati eseguiti dozzine di arresti. L’esercito israeliano concentra i suoi raid notturni nel campo profughi di Dheisheh, un tempo roccaforte della sinistra palestinese che considera una «base per il terrorismo». Ma sono presi di mira tutti i campi profughi della zona. Ad Aida, ai piedi della città, riferiscono di incursioni senza sosta. Tra gli arrestati figura anche un noto attivista, Munther Amira.
Nabil Giacaman prima di salutarci ci lascia il suo messaggio di Natale. «Il mondo deve capire che i palestinesi sono un popolo uguale agli altri, con gli stessi diritti e doveri e che vuole essere libero. I palestinesi non rinunceranno mai a poter decidere della propria vita e del proprio destino». Pagine Esteri