di Michele Giorgio
(questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto)
Pagine Esteri, 29 dicembre 2023 – Un bagno di sangue. Non si può descrivere in altro modo ciò che è avvenuto domenica scorsa tra gli abitanti del campo profughi palestinese di Al Maghazi, nella zona centrale di Gaza. Decine di morti da bombe, in prevalenza donne e bambini. Qualcuno ha parlato di oltre cento vittime considerando i tanti rimasti sotto le macerie. Una strage avvenuta mentre parte del mondo cristiano celebrava la vigilia del Natale. Morti per un «errore» hanno ammesso le Forze armate israeliane. Con candore un ufficiale ha spiegato ieri all’emittente pubblica Kan che l’aviazione ha sganciato «ordigni impropri». Il tipo di bombe, ha aggiunto, «non corrispondeva alla natura dell’attacco, cosa che ha causato ingenti danni collaterali che avrebbero potuto essere evitati». I «danni collaterali» sono i civili palestinesi.
Poi, come sempre, la responsabilità delle morti di queste persone innocenti è stata attribuita ad Hamas. Il movimento islamico si «nasconde tra la gente», ha detto il portavoce, gli aerei hanno preso di mira «diversi agenti di Hamas», prima dell’attacco «sono state adottate misure per ridurre al minimo il danno ai non combattenti» ma sono stati colpiti «altri edifici» accanto agli obiettivi. Infine «le Idf (le forze armate israeliane, ndr) si rammaricano del danno subito da coloro che non erano coinvolti». In poche parole, sono state sganciate bombe di eccezionale potenza su una zona densamente popolata di Maghazi, esattamente come aveva spiegato Ashraf Al Kidra, il portavoce del ministero della sanità a Gaza che Israele considera una struttura fantoccio nelle mani di Hamas che riferirebbe numeri «non credibili». Numeri che l’Onu invece considera realistici. Incluso l’ultimo bilancio diffuso ieri di vittime palestinesi dal 7 ottobre: 21.320 morti e 55mila feriti. Almeno 210 palestinesi sono stati uccisi dai bombardamenti tra mercoledì e giovedì, gran parte dei quali in attacchi violenti su Beit Lahiya e, ieri pomeriggio, su alcuni edifici di Rafah.
Veniva descritta come una fake news anche l’indiscrezione circolata nei giorni scorsi che dava lo stadio Yarmouk di Gaza trasformato dall’esercito israeliano in un campo di detenzione. Poi sono usciti i video di decine di palestinesi mezzi nudi, bendati, in ginocchio sul terreno di gioco, ripresi in apparenza proprio da militari israeliani e finiti sui social. Immagini che ricordano quelle dello Stadio nazionale di Santiago del Cile dove nel 1973 migliaia di prigionieri politici furono imprigionati e torturati dai militari golpisti agli ordini del generale Augusto Pinochet. Ora la Federazione calcio palestinese vuole che il Cio, la Fifa e la Confederazione calcio asiatica prendano una posizione chiara contro l’uso che Israele fa dell’impianto sportivo di Gaza in violazione, ha scritto in un comunicato, della Carta olimpica e delle convenzioni internazionali.
Da ieri i carri armati israeliani avanzano verso al Bureij nel centro di Gaza, dopo giorni di bombardamenti incessanti che hanno costretto decine di migliaia di famiglie palestinesi già sfollate a fuggire di nuovo. Un giornalista ha pubblicato la foto di mezzi corazzanti fermi accanto a una moschea nel centro di Bureij. Più a sud, le forze israeliane hanno colpito l’area intorno all’ospedale Al Amal nel cuore di Khan Younis, affollato di famiglie rimaste senza casa: 10 palestinesi sono stati uccisi e altri 12 feriti riporta la Mezzaluna rossa. Decine di migliaia di persone sono in fuga dai distretti di Nusseirat, Bureij e Maghazi e si dirigono a sud o a Deir al-Balah dando vita a campi di tende improvvisati.
Proseguono i combattimenti casa per casa. Hamas, l’obiettivo dichiarato dell’invasione israeliana di Gaza, subisce forti perdite ma realizza ancora agguati mortali. Altri tre soldati israeliani sono stati uccisi, portando il bilancio dell’offensiva di terra a 169. La scorsa settimana l’esercito israeliano ha riconosciuto le perdite più pesanti in pochi giorni dall’inizio della guerra. Intanto non si sa più nulla degli oltre 100 israeliani e cittadini stranieri sequestrati durante l’attacco di Hamas del 7 ottobre e portati a Gaza. Judy Weinstein Haggai, uno degli ostaggi, ieri è stata dichiarata morta come suo marito, Gadi (Gad) Haggai. I loro corpi sono a Gaza.
Il gabinetto di guerra presieduto dal premier Netanyahu ieri sera doveva riunirsi per discutere, per la prima volta, la posizione di Israele riguardo al futuro di Gaza dopo la guerra. Una riunione contestata dal ministro della Sicurezza e leader dell’estrema destra Itamar Ben-Gvir secondo il quale il gabinetto non dovrebbe discutere di questioni politiche ma solo di come condurre le operazioni militari. Sullo sfondo ci sono le voci autorevoli di alcuni ufficiali della riserva che criticano i resoconti molto favorevoli della situazione a Gaza offerti all’opinione pubblica dal governo e dal portavoce dell’esercito, Daniel Hagari. Resoconti che secondo gli ex generali Yitzhak Brik e Aharon Zeevi Farkash danno un’immagine fortemente alterata della realtà sul terreno. Su Haaretz Brik ha descritto come false le dichiarazioni ufficiali «sulle migliaia di morti nelle file di Hamas» che a suo dire ha subito perdite molto inferiori a quelle riferite dal portavoce dell’esercito. Secondo l’ex generale la vittoria data per certa nei prossimi mesi, invece è lontana e la distruzione dei tunnel di Hamas richiederà anni e molte perdite in vite umane. Da parte sua, Aharon Zeevi Farkash, un ex capo dell’intelligence militare, parlando alla radio pubblica, ha sottolineato che l’obiettivo di eliminare Hamas da Gaza proclamato dal governo è «irrealistico» e che, pertanto, occorre «puntare a obiettivi più a portata di mano».
In Cisgiordania ieri altri due palestinesi sono stati uccisi, a Betunia e Betlemme dall’esercito. Un altro, ferito dieci giorni fa a Nablus, è spirato in ospedale. Il numero dei palestinesi uccisi in Cisgiordania da soldati e coloni israeliani dal 7 ottobre è salito a 315 e a 523 quello dall’inizio dell’anno. Pagine Esteri