di Eliana Riva

Pagine Esteri, 14 febbraio 2024. Centinaia di persone provano a uscire dall’ospedale Nasser assediato, circondato dai cecchini, privato dell’elettricità, dei rifornimenti medici, del cibo e dell’acqua. Il più grande ospedale del sud di Gaza, a Khan Yunis, diventato rifugio per centinaia di palestinesi sfollati, sta per essere invaso dai militari israeliani che nelle ultime settimane hanno attaccato in diversi modi la struttura pur di costringere medici, pazienti e famiglie in fuga ad abbandonarla per andare chissà dove.

Sono stati lanciati volantini, poi si sono posizionati i cecchini che per giorni hanno sparato, senza far differenza tra donne, uomini e bambini, a chi cercava di entrare nell’ospedale o di uscirne. Sono numerosi i video diffusi dai giornalisti e dalle persone che si rifugiano nel Nasser o nelle scuole proprio di fronte, che mostrano le persone colpite e lasciate a terra. Una madre con suo figlio, lei morta e il bambino gravemente ferito, un ragazzino di cui non sono riusciti per ore a recuperare il cadavere, a causa dei fucili di precisione sistemati dai soldati sui tetti delle case sgomberate nei dintorni. Mentre il corpo era ancora sull’asfalto, proprio all’ingresso della struttura sanitaria, un piccolo drone è stato mandato dai soldati per ordinare a tutti con un messaggio vocale di andare via. I cecchini, denunciano i medici, hanno iniziato a colpire attraverso le finestre dell’ospedale le persone che si trovano al suo interno. Almeno due bambini sono stati così feriti, e un infermiere, mentre si trovava in sala operatoria.

Un video mostra un ferito che si trascina all’interno dell’ospedale, con il sangue che si rovescia copioso da una gamba. Un medico prova a strisciare sul pavimento per tirarlo lontano dalla porta. Un giornalista ha ripreso una dottoressa che coraggiosamente si sfila il cappotto per correre con più agilità, cercando di evitare i cecchini e attraversare la strada per portare soccorso a un uomo ferito dai militari.

Decine di persone sono state uccise e molte altre ferite. L’esercito ha ordinato all’amministrazione dell’ospedale di mandar via gli sfollati e trattenere pazienti e personale sanitario.

Il Ministero della Sanità denuncia che la situazione al Nasser di Khan Yunis è “sempre più catastrofica”, mentre l’esercito di occupazione ha ordinato di allontanare le centinaia di sfollati e di trattenere i pazienti, circa 450 persone, e il personale sanitario, 300 tra medici, paramedici e infermieri. Il Ministero della Sanità ha denunciato che i militari hanno sparato sulla folla che cercava di lasciare la struttura, causando diverse vittime.

Le macchine escavatrici dell’esercito hanno spostato e depositato terra e detriti tutto intorno, bloccando l’entrata nord. I palestinesi che erano rifugiati nell’0spedale stanno uscendo in fila, passando tra le colonne di mezzi, sotto il controllo dei militari armati e delle telecamere di riconoscimento facciale montate nel checkpoint allestito all’esterno. Questo significherà, dicono le persone che ci sono già passate in altri luoghi di Gaza ormai distrutti, centinaia di arresti, o “rapimenti”, come li chiamano i palestinesi, non avendo modo di sapere dove vengono portati i propri parenti fermati dall’esercito, né quali siano le accuse, senza garanzie sul trattamento che li attende. Quasi tutti gli arrestati che sono stati poi rilasciati hanno raccontato di aver subito torture, di essere rimasti legati, senza vestiti, di essere stati brutalmente picchiati. Un uomo che, fermato e liberato dall’esercito è riuscito a ricongiungersi con la sua famiglia, ha spiegato che anche alle donne è riservato il trattamento peggiore: lasciate nude insieme agli uomini, ritornano dagli interrogatori spesso con i capelli tagliati e rasati.

Alcuni sfollati dell’ospedale Nasser sono arrivati a Rafah, dove l’esercito israeliano intende compiere una massiccia operazione militare.

Gli sfollati costretti a lasciare il Nasser sono stati fermati e trattenuti. Tra loro famiglie e numerosi bambini. Alcune persone hanno provato a ritornare nella struttura a causa degli spari e della situazione estremamente pericolosa trovata all’esterno. Altri sfollati sono già arrivati o si stanno dirigendo verso Rafah, secondo le indicazioni dell’esercito israeliano. L’ultima città di Gaza, schiacciata al confine con l’Egitto, con una popolazione pre-guerra di 280.000 abitanti, accoglie già circa 1,4 milioni di persone, per la maggior parte profughi costretti dai militari a spostarsi verso sud. Le persone, che vivono nelle tende o affollano le abitazioni ancora in piedi, sono terrorizzate dall’imminente attacco annunciato dal governo israeliano. Qualcuno ha provato a fuggire, disposto a cercare rifugio tra le rovine delle proprie abitazioni al centro e al nord della Striscia. Ma l’esercito intende fare qualsiasi cosa per evitare il ritorno dei profughi. Anzi, continua a mandare a Rafah anche i nuovi sfollati, in attesa che venga chiuso e approvato un “piano di evacuazione” per la popolazione civile che è la popolazione quasi dell’intera Striscia di Gaza. L’esercito ha presentato varie proposte al gabinetto di guerra: campi profughi lungo la costa, forse. O nelle zone già devastate dai bombardamenti e dalle demolizioni controllate. Una nuova trattativa con l’Egitto, magari. Non è chiaro neanche con quali forze immagina (e se lo immagina) Israele fornire assistenza a quasi 2 milioni di persone, soprattutto intendendo dichiaratamente liberarsi dell’UNRWA e dell’Onu in generale. Ma forse anche della Difesa civile e della Mezzaluna Rossa Palestinese. Con i coloni che sempre più numerosi si affollano ai valichi per impedire ai camion degli aiuti di entrare nella Striscia.

Intanto si è fatta sera e al Nasser sono rimasti solo pochi medici e i pazienti che non possono camminare sulle loro gambe o rinunciare all’ossigeno che rimane. I dottori sono pronti a tutto. E noi non sappiamo più se ci sarà qualcuno che potrà continuare a raccontarci cosa sta succedendo in quel buco nero fuori dal mondo e dalla legge che è diventato l’ospedale Nasser di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza.