di Alessandra Mincone 

(foto di Polanksy kolbe)

Pagine Esteri, 15 febbraio 2024 – Il 7 febbraio, il ministro degli Esteri della Turchia Hakan Fidan si è recato a Tripoli per incontrare il premier libico Abdul Hamid Dbeibeh e alte cariche del Consiglio Presidenziale, allo scopo di migliorare le relazioni con l’area orientale della Libia e favorire il processo di stabilità e unità della nazione. Il ministro ha colto occasione per far visita al Centro di Comando delle Forze Armate Turche nell’aeroporto di Mitiga, dove risiede anche la milizia di deterrenza Rada conosciuta come unità della polizia islamista e per aver ricevuto addestramenti militari dall’esercito di Erdogan. A pochi giorni dalla visita dell’esponente turco, il comandante della Rada, Abdul Rauf Kara, ha annunciato il ritiro delle truppe sia dall’aeroporto internazionale sia dal porto di Tripoli, nel rispetto della regolamentazione del governo in materia di sicurezza varata a gennaio 2024. Il quotidiano Libya Review ha descritto l’annuncio della milizia “un significativo incremento dell’influenza della Turchia in Libia”.

Fidan ha anche dichiarato che in un futuro non molto distante la Turchia riaprirà la sede del Consolato turco a Bengasi, città della Libia orientale sotto il controllo dell’esercito nazionale libanese di Haftar. Alcune agenzie di stampa libanesi hanno riferito della visita di Recep Tayyip Erdogan ieri al Cairo e subito dopo ad Abu Dhabi, nell’ottica di una normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Turchia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti a partire dalle divergenze legate proprio alla questione libica. L’agenzia di stampa turca Daily Sabah, ha previsto che “la riconciliazione con Bengasi per ripristinare le relazioni con la Tripoli occidentale, la rottura dello stallo politico nel Paese, la spinta verso elezioni volte a raggiungere l’unità così come la cooperazione e il dialogo tra ex avversari diventati partner, saranno elementi fondamentali per plasmare le future politiche della Turchia in Libia”.

Dall’accordo di Tripoli dell’agosto 2020, con cui la Turchia garantiva il sostegno economico e militare nella guerra civile all’allora Governo al-Serraj, si è assistito a un processo di trasformazione militare turco che ha visto repentinamente sostituiti l’aeroporto e il porto marittimo di Tripoli in favore di snodi strategici ammodernati. La base militare al-Watiya, sottratta nel 2020 all’esercito di Haftar e attuale roccaforte turca su suolo libico, è diventata la destinazione dei cargo C-130 e A400M con cui l’Aeronautica della Turchia rifornisce di armi il governo e dove potrebbero essere dispiegati anche F-16 turchi. Mentre la base navale di Kohms, oltre ad essere un centro di addestramento per attività subacquee, ospita unità navali da combattimento come una fregata Classe G.

Al di là dei proclami, le politiche di Ankara continuano a riprodursi con le stesse forme di soggiogamento militare sul territorio e sono mosse dagli stessi interessi rincorsi già nella Libia di Gheddafi, tra cui il posizionamento bellico strategico, lo sfruttamento delle risorse energetiche e la gestione dei flussi migratori verso l’UE.

Il 27 Gennaio l’Osservatorio per i diritti umani in Siria ha evidenziato il malcontento generale esploso tra i mercenari siriani destinati a partire per Tripoli per effettuare “un cambio della guardia”. In conseguenza al “processo di pace” del 2021 auspicato da Turchia e Russia, ai mercenari pagati da Erdogan è stata imposta una riduzione del salario di circa duecento dollari al mese. Anche il cambio turno, che sarebbe stato promesso ai soldati stranieri con una frequenza trimestrale, non è stato rispettato e ciò ha contribuito a esacerbare maggiore frustrazione in tanti soldati che sono stati costretti a restare in Libia oltre un anno, fino a che nel 2023 le stesse fonti siriane hanno denunciato la fuga di tremila mercenari siriani dalle basi militari turco-libiche, in cerca di un lavoro o di nuove rotte migratorie. I dati ufficiali parlano di altri quattromila mercenari siriani sul territorio della Libia occidentale, convinti a fidelizzarsi nelle operazioni militari sia attraverso una matrice religiosa sia per le condizioni di estrema fragilità economica vissute nella Siria del Nord. La riduzione dei costi dovuti alla fuga di quasi la metà dei mercenari ha consentito il ripristino degli stipendi contrattati con la Turchia, che oscillano tra i duemila e duemila e cinquecento dollari al mese.

Nelle ultime settimane il Governo di Ankara è tornato a sfruttare la disperazione dei mercenari organizzando la spedizione di un nuovo lotto di soldati siriani diretti non più nell’area occidentale libica, ma nell’entroterra del Niger. La prima operazione, a detta di una fonte interna alla milizia turca Sultan Murad, sarebbe avvenuta il 23 dicembre 2023. Il Sohr è riuscito a intervistare anche un comandante della fazione, che avrebbe fornito molti dati sulle condizioni contrattuali dei mercenari siriani inviati in Niger, come la durata semestrale e lo stipendio di mille e cinquecento dollari al mese. Inoltre “secondo il contratto ogni mercenario che subisce ferite durante le battaglie riceverà una somma di denaro che può raggiungere i 35.000 dollari, a seconda del grado di invalidità causato dalla ferita, mentre le famiglie dei mercenari uccisi prenderanno 60.000 dollari”.

Tale investimento da parte di Erdogan in territorio nigerino non è casuale, visto il crescente legame militare tra l’esercito di Haftar e l’esercito nigerino. La coalizione tra la Cirenaica e il Niger è stata approvata dalla Russia che ha sempre sostenuto l’esercito nazionale libico con il dispiegamento sul territorio dei mercenari Wagner, in cambio di un occhio militare sul mediterraneo; e che sta sviluppando nuove alleanze economiche e militari per consolidare un’influenza in tutto il nord africa, soprattutto alla luce del ritiro dall’Ecowas di Niger, Mali e Burkina Faso. La giunta militare del Niger, alla fine dell’anno 2023 ha revocato una legge contro l’immigrazione clandestina risalente al 2015: sembrerebbe che una delle sfide che ha richiamato subito l’interesse di Erdogan e Putin riguarderebbe proprio il controllo e la gestione dei flussi migratori, potenzialmente un’arma politica puntata alle porte dell’Europa.

Mentre la Turchia e la Russia continuano ad utilizzare soldati alla loro mercé, il primo ministro algerino, Nadhir Arbawi, è intervenuto al vertice di Brazzaville per conto del Presidente Abdelmadjid Tebboune, chiedendo il ritiro dei mercenari dalla Libia. Ha dichiarato che “le parti esterne interessate alla questione libica dovrebbero rispettare la sovranità della Libia, l’integrità territoriale e l’indipendenza delle sue decisioni” e che “la soluzione finale alla crisi potrà avvenire solo attraverso un percorso elettorale, che sancisca il principio della sovranità nazionale”. Le denunce algerine potrebbero far sospettare di un lento processo di allontanamento politico da Ankara e Mosca, che farebbe seguito soprattutto all’annullamento dell’Accordo di Algeri con il Mali, altro paese dove le mire espansionistiche turche e russe stanno via via accrescendo. Le complesse posizioni dell’Algeria, potrebbero risultare non congrue alla stabilità dell’intera area nordafricana da qualsiasi prospettiva le si guardi. Pagine Esteri