di Geraldina Colotti –
Pagine Esteri, 24 febbraio 2024. Hanno suscitato l’ira di Netanyahu le dichiarazioni del presidente brasiliano, Lula da Silva, in merito al massacro di Gaza, pronunciate durante un vertice dell’Unione africana nella capitale dell’Etiopia, Addis Abeba: “È la guerra di un esercito professionale contro donne e bambini”, ha detto Lula. E ha definito “un genocidio simile a quello compiuto da Hitler con l’olocausto” la mattanza di circa 30.000 palestinesi, almeno un terzo dei quali bambini: che continua al ritmo di cento al giorno con la complicità degli Usa il cui veto ha impedito per la terza volta l’approvazione di un cessate il fuoco, presentato dall’Algeria al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Lula ha anche protestato per la sospensione dei finanziamenti all’Agenzia per i rifugiati (Unrwa) per la presunta implicazione di alcuni funzionari nell’azione del 7 ottobre: “Quando vedo il mondo ricco annunciare che smetterà di inviare aiuti umanitari ai palestinesi, mi chiedo quanta coscienza politica abbia questa gente – ha detto –, e quanto grande può essere il loro sentimento di solidarietà se non riescono a vedere che nella Striscia di Gaza non c’è una guerra, ma un genocidio”, ha aggiunto. Il Brasile – ha affermato – “condanna Hamas, ma non può evitare di condannare quel che Israele sta facendo nella Striscia di Gaza, perché ha superato la linea rossa”.
Lula ha risposto così alle domande dei giornalisti, che gli chiedevano un commento alle ultime dichiarazioni di Netanyahu, che ha annunciato un attacco armato su Rafah per il 10 marzo se Hamas non libererà tutti i coloni che ancora detiene. Il problema è che “all’Onu – ha detto il presidente brasiliano – mancano paesi pacifisti, mentre abbondano quelli belligeranti”.
Lula guida, invece, l’arco dei paesi latinoamericani che, con accenti più forti in caso dei membri dell’Alba orientati al socialismo (Cuba, Venezuela, Nicaragua, Bolivia) o più contenuti come il Cile, propongono una diplomazia di pace con giustizia sociale per la soluzione dei conflitti.
L’Alleanza Boliviariana per i Popoli della Nostra America-Trattato di Commercio dei Popoli (Alba-Tcp), ora diretta dal venezuelano Jorge Arreaza, ha infatti emesso un comunicato di solidarietà al presidente brasiliano, attaccato da Israele (che lo ha ritenuto “persona non grata”), per “aver denunciato il genocidio nella Striscia di Gaza e per aver chiesto un cessate il fuoco”.
Il presidente del Brasile – dice il comunicato – “è un leader del suo paese e della Nostra America, fedele difensore dei diritti umani, dei principi e dei propositi della Carta delle Nazioni unite, del Diritto internazionale e del rispetto all’autodeterminazione dei popoli”. L’Alleanza – prosegue il comunicato – “ha da tempo avvisato del pericolo che rappresenta la situazione in Palestina per la pace e la stabilità regionale, per cui, fedele ai suoi principi, chiede una soluzione giusta e definitiva al conflitto israelo-palestinese mediante il dialogo, basata in una soluzione di due Stati che permetta alla Palestina l’esercizio del diritto alla libera determinazione come Stato indipendente e sovrano con Gerusalemme Est come sua capitale, basato sui confini precedenti il 1967”.
Al contempo, l’Alba “rinnova il suo appello alla comunità internazionale affinché imponga un immediato cessate il fuoco a Gaza, affinché si fermi il massacro e si stabiliscano le responsabilità dei crimini di lesa umanità”.
I paesi membri dell’Alleanza avevano tenuto un atteggiamento analogo il 29 dicembre del 2023, quando il Sudafrica aveva presentato una denuncia contro Israele per il “genocidio” a Gaza alla Corte internazionale di giustizia (Cig), il tribunale delle Nazioni Unite incaricato di risolvere le controversie tra gli Stati. Brasile e Sudafrica (insieme a Russia, India e Cina, a cui quest’anno si sono aggiunge Egitto, Etiopia e Emirati arabi uniti) fanno parte dei Brics, un’alleanza che include diverse fra le maggiori economie emergenti, che premono per la definizione di un mondo multicentrico e multipolare e si pongono in alternativa al G7.
A fine gennaio, la Cig ha pronunciato una importante sentenza di condanna, mettendo per la prima volta sul banco degli accusati il regime israeliano, ma senza arrivare a una richiesta esplicita di cessate il fuoco. E già il 12 gennaio, il Cile del moderato Boric, che ospita la maggiore comunità palestinese al di fuori del mondo arabo (quasi 500.000 persone), e nel quale dal 7 ottobre si sono ripetute le proteste contro il genocidio, si era rivolto alla Corte Penale internazionale (Cpi) per chiedere un’indagine sui crimini commessi da Israele nella Striscia di Gaza. Stesso atteggiamento hanno tenuto il Messico, la Colombia, la Bolivia e i paesi membri dell’Alba.
La Colombia del progressista Gustavo Petro ha a sua volta espresso solidarietà a Lula, e ha levato nuovamente la voce a favore del popolo palestinese, insieme al Cile, durante le audizioni che la Corte internazionale di giustizia sta svolgendo questa settimana, su richiesta dell’Assemblea generale Onu, per conoscere l’opinione della comunità internazionale sul conflitto in Medioriente. “Esprimo la più completa solidarietà a Lula, presidente del Brasile. A Gaza è in corso un genocidio che uccide vigliaccamente migliaia di bambini, donne e anziani. Lula ha detto solo la verità, e la verità si difende, altrimenti la barbarie ci annichilerà – ha dichiarato Petro – Israele deve fermare questa guerra ingiustificata e permettere che la pace prevalga nella regione”.
Ben diverso l’atteggiamento della destra latinoamericana, a cominciare da quella Argentina, dove governa il “pazzo con la motosega”, Javier Milei, che ostenta la sua alleanza privilegiata con Netanyahu e con la parte più estremista della comunità ebraica argentina, composta da circa 250.000 persone. A gennaio del 2023, per il suo primo viaggio all’estero del suo terzo mandato, Lula ha scelto l’Argentina, dove si svolse il vertice della Celac, la comunità degli Stati latinoamericani e caraibici che è stata dichiarata zona di pace nel 2014.
Un anno dopo, però, la vittoria di Milei ha lasciato in chiaro che, come già preannunciato dalla timida presidenza di Alberto Fernández, il ruolo di Lula sulla scena internazionale sarebbe stato ben più contrastato che durante i suoi precedenti mandati, all’epoca del “nuovo rinascimento latinoamericano”. Allora, secondo un’inchiesta di Latinobarometro, del 2011, il Brasile era percepito come il paese con maggior capacità di direzione della regione latinoamericana, e non solo per esserne la principale economia.
Ora, dopo l’ondata “trumpista” che portò al governo Bolsonaro in Brasile e al potenziamento dell’estrema destra nella regione, il Brasile che governa Lula è molto diverso e lascia pochi spazi di agibilità per i grandi progetti di cambiamento. Il prossimo ottobre si celebreranno le municipali e il Pt, il partito di Lula, conta sul suo prestigio internazionale anche per il governo dei territori. La politica estera, i diversi indirizzi regionali, e i rapporti con Usa e Ue (vedi l’accordo tra Unione europea e Mercosur), influenzano la politica interna. Dopo le dichiarazioni di Lula su Israele, Bolsonaro vorrebbe promuovere un impeachment contro il presidente che, a suo dire, avrebbe messo in pericolo la sicurezza del paese.
Ma, intanto, al Brasile tocca la presidenza pro-tempore del G20, che riunisce le 19 principali economie del mondo e l’Unione europea, e che rappresenta l’85% del Pil mondiale, i due terzi della popolazione e il 75% del commercio globale. Il summit di Rio de Janeiro vede quest’anno per la prima volta la partecipazione dell’Unione africana, a cui aderiscono 55 Stati. Per Lula, gli assi principali sono la lotta alla fame e alla povertà, la transizione energetica nei suoi vari aspetti, e alcune grandi riforme degli organismi internazionali, proposte dai paesi del Sud per compensare l’asimmetria crescente con il Nord dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi: quella dell’Onu, dell’Fmi e del Wto.
Mercoledì scorso, è arrivato a Rio il capo della diplomazia statunitense, Antony Blinken, che si è riunito con Lula a seguito di un incontro dei ministri degli Esteri del G-20, durante il quale ha anche conversato con il suo omologo russo, Sergej Lavrov. A proposito della Palestina, della crisi diplomatica fra Brasile e Israele e dei conflitti che persistono a livello mondiale, Lula ha riproposto la “ricetta Brasile”.
Per risolvere i contenziosi fra paesi – ha detto – ci vuole più dialogo e fiducia, e meno uso della forza militare, dell’intimidazione, delle sanzioni e dello spionaggio. “Lo diciamo per esperienza e non per idealismo”, ha affermato il ministro degli Esteri brasiliano, Mauro Vieira, facendo notare che il G20 è probabilmente l’unico vertice nel quale “paesi con visioni opposte si siedono allo stesso tavolo e instaurano un dialogo produttivo”, diversamente dagli scontri che avvengono in altre istituzioni internazionali come il Consiglio di sicurezza dell’Onu.