di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 15 marzo 2024 – Ormai anche a Washington si ammette pubblicamente che le possibilità che l’Ucraina “vinca” la guerra contro la Russia sono ridotte al lumicino.
Lungi dall’aumentare l’isolamento internazionale di Mosca e dall’indebolire la Russia, come previsto e sperato da Washington, le dure sanzioni imposte alla Federazione hanno forzato l’economia del gigante eurasiatico a riconvertirsi velocemente, potenziando il suo apparato militare-industriale e la sua capacità di produrre armi e munizioni.
Inoltre, venuti meno i mercati occidentali, Mosca ha dovuto volente o nolente riorientare una parte importante delle sue relazioni commerciali verso i paesi dell’Asia e incrementare le relazioni con l’Africa, sfruttando proprio il suo potenziale militare.
L’Ucraina, sedotta e abbandonata?
In molti temono ora che le prossime elezioni presidenziali statunitensi vedano prevalere Donald Trump che non fa mistero di voler mollare l’Ucraina al suo destino per cercare un relativo appeasement con Vladimir Putin e poter concentrare i propri sforzi contro la Cina. Nel frattempo i parlamentari repubblicani bloccano l’approvazione di un megapacchetto di aiuti finanziari e bellici all’Ucraina, il cui esercito è sempre più sfiancato e a corto di munizioni, incapace di contrastare efficacemente l’avanzata delle truppe russe soprattutto in Donbass.
Comunque, per gli Stati Uniti il sostegno all’Ucraina non sembra essere più una novità. Le dimissioni, alcuni giorni fa, del sottosegretario al dipartimento di Stato Victoria Nuland, prima tra i principali attori del cambio di regime a Kiev nel 2014 e poi sponsor fondamentale del sostegno economico e militare all’Ucraina, confermano il disimpegno di Washington.
Mentre l’establishment europeo e in particolare la Francia gonfiano il petto e pensano di sfruttare il parziale dietrofront degli Stati Uniti per ergersi a strenui difensori di Kiev, costi quel che costi – ma saranno in grado di trasformare le altisonanti dichiarazioni in atti concreti, rischiando di entrare in rotta di collisione diretta con la Russia e di scatenare una guerra su vasta scala? – in Ucraina aumenta il numero di quanti nutrono forti dubbi sulla scelta di affidarsi strategicamente a Washington, col rischio di essere sedotti e abbandonati.
La Nato torna in auge e conquista nuovi membri
In fondo, se pure dovesse tirare i remi in barca e lasciare campo libero alla Russia in Ucraina aprendo magari un nuovo fronte con Mosca in un altro quadrante – o potrebbe essere proprio la dirigenza russa a farlo al fine di sfruttare il momento positivo – Washington avrebbe comunque ottenuto numerosi risultati utili a frenare il declino e la crisi della principale superpotenza globale, assediata dalla nascita e dal rafforzamento di una nuova schiera di potenze internazionali e regionali che aspirano ad un posto al sole e ne mettono quindi in discussione il primato.
Innanzitutto gli Stati Uniti sono riusciti a rivitalizzare la NATO – che, non è un segreto, è un’alleanza militare ad uso e consumo dei suoi interessi geopolitici – e a convincere i partner europei ad aumentare in maniera rapida e consistente le spese destinate al comparto difesa e a finanziare l’Alleanza Atlantica. La guerra in Ucraina ha permesso a Washington di vincere le resistenze di alcuni governi europei e di congelare chissà per quanti anni la nascita di un vero esercito europeo che invece, prima dell’invasione russa, sembrava prendere quota. Inoltre Washington ha ottenuto l’ingresso nell’alleanza di Svezia e Finlandia che a lungo erano rimasti neutrali dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Il boom delle esportazioni di armi
Come se non bastasse, come certificato dal Sipri (Stockholm International Peace Research institute) gli Stati Uniti hanno fortemente incrementato la vendita di armi arrivando a fornire più di metà di quelle acquistate dagli eserciti europei. Nell’ultimo quinquennio Washington ha venduto sistemi bellici a ben 107 diversi Stati. Per la prima volta negli ultimi 25 anni, Washington è diventata la principale esportatrice verso l’Asia, anche grazie al boom degli acquisti di armi da parte del Giappone (+155%) e alla crescita della Corea del Sud (+6,5%).
A beneficiare del boom delle esportazioni – e delle vendite al governo statunitense, desideroso di rimpinguare i propri arsenali intaccati dai trasferimenti alle forze armate ucraine – sono stati colossi come la Lockheed Martin, il Northrop Grumman, General Dynamics e Raytheon Technologies, i cui soci nel solo 2022 si sono spartiti dividendi per ben 17 miliardi di dollari, grazie all’aumento del volume d’affari del 49% rispetto all’anno precedente. Secondo i dati pubblicati dalla Federal Reserve, negli ultimi due anni il comparto difesa statunitense ha aumentato il proprio fatturato del 18%.
Gli USA scalano la classifica degli esportatori di gas e petrolio
Per quanto riguarda il comparto energetico, con la distruzione – anche fisica – dei corridoi tra Germania e Federazione Russa gli Stati Uniti si sono imposti come uno dei principali fornitori di gas naturale liquefatto dei paesi europei, venduto ad un prezzo assai superiore a quello del carburante esportato da Mosca attraverso il Nord Stream ed altre pipeline.
Se le sanzioni imposte a Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina avevano l’obiettivo dichiarato di comprimere le esportazioni energetiche russe svuotando le casse di Putin, hanno prodotto soprattutto l’aumento delle esportazioni di idrocarburi statunitensi nel continente europeo, riempiendo le casse di Washington.
Le esportazioni record del 2023 hanno trasformato gli Stati Uniti nel maggior esportatore mondiale di Gnl – estratto in gran parte con il metodo, molto inquinante, della fratturazione idraulica che prevede l’iniezione nel terreno di grandi quantità di acqua e di solventi chimici – davanti al Qatar e all’Australia. Nonostante il calo delle ultime settimane le previsioni indicano che Washington manterrà il primato anche nel 2024.
Anche le vendite di petrolio statunitense ai paesi europei sono cresciute notevolmente; secondo i dati pubblicati dall’Energy Information Administration, ad esempio, nel settembre scorso gli Stati Uniti producevano ogni giorno circa 13,2 milioni di barili di greggio al giorno, il livello più alto mai raggiunto.
Nel 2023 il totale delle importazioni di greggio statunitense da parte dell’Europa ha raggiunto il 46% contro il 37% del 2021. Al contrario, l’Asia ha comprato meno petrolio statunitense, passando dal 47 al 41%, mentre le esportazioni russe – soprattutto a India, Cina e Pakistan – sono salite.
La crisi tedesca ed europea
Se l’Unione Europea ha insistentemente puntato a ridurre al minimo la propria dipendenza energetica dalla Russia ha però aumentato notevolmente quella nei confronti degli Stati Uniti, e a caro prezzo.
L’aumento del costo delle forniture energetiche e la feroce speculazione innestata dalle sanzioni alla Russia hanno infatti spinto in alto l’inflazione in tutti i paesi europei – e non solo – causando un danno economico enorme ai ceti medi e soprattutto alle fasce più deboli della popolazione che hanno visto erodere in maniera consistente il proprio potere d’acquisto.
L’economia tedesca, poi, ha subito un gravissimo contraccolpo anche a causa dell’interruzione dei flussi commerciali ed energetici con la Russia e della crescente concorrenza cinese e statunitense, entrando in crisi per la prima volta dopo parecchi decenni. L’aumento esponenziale dei costi energetici, infatti, ha ridotto notevolmente la competitività della manifattura europea, soprattutto di quella tedesca.
Al contrario, nell’agosto del 2022, il governo statunitense ha varato il cosiddetto “Inflation Reduction Act”, un enorme piano di sussidi e incentivi alla propria industria per un totale di 400 miliardi di dollari che ha permesso alla produzione industriale di Washington di rimanere competitiva e di attirare sul suolo americano anche produzioni estere o di ottenere il ritorno in patria di produzioni precedentemente esternalizzate.
Comunque vada a finire, gli Stati Uniti hanno tratto enormi vantaggi dalla situazione di polarizzazione bellica venutasi a creare dopo l’invasione russa dell’Ucraina, quantomeno nei confronti dell’Unione Europea il cui rafforzamento, sul piano militare, economico e politico è sempre stato considerato dall’establishment statunitense un processo da contrastare.
Come scrive il Wall Street Journal, i supporters del sostegno all’Ucraina di solito invocano gli interessi strategici dell’occidente o gli obblighi morali degli Stati Uniti nei confronti della difesa della libertà e della democrazia. Ma la verità è che la guerra in Ucraina è stata una vera manna per l’economia statunitense. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, El Salto Diario e Berria