di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 19 marzo 2024. Solo nelle ultime ore di oggi sono stati uccisi decine di palestinesi nella Striscia di Gaza. La distruzione di due case e un appartamento a Rafah hanno causato la morte di 14 persone tra le quali bambini. Ieri, tra le vittime negli edifici dell’area dell’ospedale al-Shifa attaccati dall’esercito, c’erano 9 membri della famiglia Erbi. Due giorni fa, il 17 marzo, a Nusseirat 36 membri della famiglia Tabitibi sono stati uccisi da un bombardamento. La stessa sorte è toccata il 22 Novembre a 52 membri della famiglia Qadoura, a Jabalia: spazzate via tre generazioni, dai nonni ai nipoti. Sono solo alcune delle ultime e più note stragi civili familiari di questi 5 mesi di guerra nella Striscia di Gaza che hanno causato circa 31.800 morti e 74.000 feriti, per la stragrande maggioranza donne e bambini.
Eppure, Israele continua ad assicurare che i bombardamenti incessanti siano gestiti in maniera da ridurre al minimo le vittime civili e che le procedure garantiscono attacchi “proporzionati”. Il premier Netanyahu ha ripetuto il concetto leggendario secondo cui le IDF sarebbero “The most moral Army in the word“, l’esercito più morale del mondo. Le dichiarazioni del governo e dei vertici militari possono essere provate? Secondo alcuni veterani israeliani si tratta di menzogne: i protocolli militari sono saltati, gli attacchi hanno cambiato modalità e stanno producendo un numero enorme di vittime tra i civili di Gaza.
A marzo l’associazione israeliana Breaking the Silence ha pubblicato un report dal titolo “Il mito israeliano dell’Esercito Morale. Il fallimento dei protocolli di targeting dell’IDF sta producendo massicce vittime civili”. Breaking the Silence si occupa di raccogliere le esperienze dei soldati israeliani che si trovano a gestire e controllare ogni aspetto della vita quotidiana dell’intera popolazione palestinese. ONG istituita da veterani dell’IDF (le forze armate israeliane), per quasi 20 anni ha dato ai soldati congedati l’opportunità di raccontare le loro esperienze mantenendo l’anonimato, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle conseguenze di una prolungata occupazione militare.
Nel fascicolo pubblicato pochi giorni fa, l’associazione mette a confronto alcuni dei più sanguinosi attacchi israeliani su Gaza degli ultimi anni (2008-09; 2012; 2014; 2021). Le procedure utilizzate nei bombardamenti precedenti seguivano alcune direttive ideate per limitare il numero di vittime civili. Erano fallaci e spesso inutili, spiega Avner Gvaryahu, il direttore di Breaking the Silence, ma c’erano. Il riferimento è, ad esempio, alla tattica di “bussare al tetto (roof knocking)” prima di abbattere un’abitazione civile. Nella pratica si traduceva nel lancio di un razzo di avvertimento sullo stabile che sarebbe stato distrutto, con lo scopo teorico di dare il tempo (pochi minuti) alle persone al suo interno di uscirne. Questa procedura veniva utilizzata solo quando l’obiettivo dell’esercito non era un edificio militare e si puntava a distruggere l’abitazione e non uccidere chi vi era dentro. Quando, cioè, l’intelligence riteneva che uno degli appartamenti potesse essere la casa di un membro o un sostenitore di Hamas che in quel momento, però, non si trovava lì o che magari era già stato ucciso in precedenza. L’associazione israeliana B’Tselem fece notare nel 2014, non unica tra le ONG che si occupano di diritti umani, che distruggere le case dei militanti rappresenta una violazione del diritto internazionale in quanto si tratta di edifici civili e non militari. Ma l’esercito israeliano giudica qualsiasi stabile in cui viva una persona sospettata di essere sostenitrice di Hamas o di altri gruppi armati palestinesi, anche in assenza di armi e equipaggiamenti, un “quartier generale” del movimento.
La procedura del missile di avvertimento rimaneva però, quando utilizzata, molto pericolosa, imprecisa, non sicura: non tutti possono lasciare la propria casa, nel cuore della notte magari, in pochissimi minuti e allontanarsi abbastanza da non essere colpiti dai detriti del palazzo distrutto. Persone anziane, bambini, malati, posso rimanere bloccati. A volte altri edifici dell’area, e quindi altre famiglie, sono state pesantemente coinvolte nell’abbattimento.
In ogni caso, a differenza del passato, nell’attacco cominciato a ottobre, dopo l’incursione di Hamas che ha causato circa 1.200 vittime in Israele, questa procedura non viene utilizzata. Richiede tempo e un intervento manuale e le IDF si affidano questa volta a procedure automatizzate che velocizzano gli attacchi e colpiscono un numero elevato di obiettivi in un tempo ristretto.
Breaking the Silence fa presente che le informazioni di tipo strutturale (presenza umana, densità abitativa) che venivano prima utilizzate per calcolare la potenza degli attacchi e stimare i “danni collaterali” (anche in questo caso inadeguate a proteggere i civili), sono diventate vetuste. Il numero di esseri umani presenti in un quartiere residenziale, ad esempio, è stato completamente mutato dai trasferimenti di massa ordinati dallo stesso esercito. Se prima l’intercettazione dei cellulari veniva utilizzata per mappare le persone all’interno della Striscia e sapere chi si trova dentro una struttura, oggi richiede tempo e non è tra le priorità di Israele. Le informazioni così ricavate servivano, ad esempio, ad avvisare telefonicamente responsabili di ONG straniere, membri delle Nazioni Unite o di altre organizzazioni umanitarie, giornalisti, di lasciare l’edificio nel quale si trovavano perché stava per essere attaccato. Anche questa metodologia era assolutamente imprecisa. Basti pensare che rappresentanti di associazioni con progetti nella Striscia hanno ricevuto la telefonata dell’esercito che gli intimava di lasciare l’edificio nel quale si trovavano anche se in quel momento erano, in realtà, in un altro Paese e, addirittura, in un altro continente.
L’impressionante frequenza degli attacchi è resa oggi possibile, spiega l’ONG, anche da un nuovo sistema di intelligenza artificiale che genera nuovi potenziali bersagli. “Un sistema progettato per produrre obiettivi in serie compromette inevitabilmente la precisione e aumenta i danni ai civili, come evidenziato dallo sconcertante bilancio delle vittime a Gaza negli ultimi mesi”. Tutto ciò accade quando “gestire il conflitto” diventa l’unico obiettivo in assenza di un piano complessivo e realistico che conduca verso la fine e oltre la guerra. Pagine Esteri