di Michelangelo Cocco*
(nella foto Xinhua l’ingresso della Grande sala del popolo a piazza Tiananmen)
Pagine Esteri, 22 marzo 2024 – Il Partito comunista cinese (Pcc) ha ridotto ulteriormente l’autonomia del Consiglio di stato (il governo della Repubblica popolare cinese) con il varo della riforma del testo unico sul Consiglio di stato (2.883 “sì”, 8 “no” e 9 astenuti) da parte della II sessione della XIV Assemblea nazionale del popolo che si è chiusa l’11 marzo scorso a Pechino.
In seguito agli emendamenti approvati, la legge ora stabilisce che il governo deve “sostenere risolutamente l’autorità del comitato centrale del partito e la sua leadership centralizzata e unificata”, che deve “attuarne le decisioni” e seguire gli insegnamenti politici dei massimi leader, incluso il segretario generale Xi Jinping.
Secondo Deng Yuwen, ex direttore di “Study Times”, il giornale della Scuola centrale di partito:
«L’era della separazione del lavoro tra partito e governo è ormai finita: dopo quattro decenni, la Cina è ora incentrata sulla leadership del partito. Xi ha accentrato tutti i principali poteri decisionali nel partito e nel suo segretario generale, rendendo il Consiglio di stato solo un braccio per eseguire le decisioni politiche del partito. Ha attribuito a Li Qiang il ruolo di premier per assicurarsi che il Consiglio di stato svolga esattamente la funzione che gli è stata assegnata».
Da organismo che contribuisce all’elaborazione delle politiche a mero attuatore delle direttive del vertice del partito dunque, in linea con l’impostazione della leadership uscita dal XVIII congresso e consolidatasi nel XIX (18-24 ottobre 2017), quello aperto da Xi con la citazione di Mao Zedong: «Il governo, l’esercito, la società e le scuole, da nord a sud, da levante a ponente il partito dirige tutto».
Sottrarre poteri agli organismi dello stato a vantaggio di quelli del partito, e concentrarli nel vertice di quest’ultimo è la ricetta utilizzata dalla V generazione di leader incarnata da Xi Jinping per rispondere a una crisi inedita, nella quale alle difficoltà interne (dal rallentamento della crescita economica alle proteste di massa del movimento pro-democrazia di Hong Kong del 2019-2020) si sommano le tensioni internazionali, in primis il confronto con gli Stati Uniti.
Il vice presidente del comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, Li Hongzhong, l’ha spiegata così: «La politica è al comando, e sia i quadri di partito che la burocrazia del governo sono tenuti a prestare sempre maggiore attenzione ai dettami e alle direttive ideologiche del partito come guida per il processo decisionale quotidiano».
Era stato Deng Xiaoping a spingere per la separazione tra partito ed esecutivo (che, ufficialmente, controlla i 21 ministeri e i governi locali), che era stata formalizzata nella (appena emendata) legge sul Consiglio di stato del 1982.
Il partito aveva ripreso l’iniziativa dopo la repressione del movimento di piazza Tiananmen del 1989, in seguito all’affermazione della fazione conservatrice. Ma è soltanto con la “Nuova era” proclamata da Xi Jinping che si è arrivati, attraverso una serie di riforme (Xi ha concentrato gran parte della sua azione proprio sulla riforma del partito), a un controllo pressoché completo del Consiglio di stato da parte del Pcc.
Grazie al rafforzamento di una serie di comitati di partito (competenti sulla politica estera, le finanze, la propaganda, la sicurezza interna, eccetera) i vertici del Pcc hanno sottratto iniziativa politica al governo.
Infine, sono state ridotte le riunioni del Consiglio di stato (da una ogni settimana a due-tre al mese) e, da quest’anno, è stata abolita la tradizionale conferenza stampa del premier (che presiede il Consiglio di stato) in chiusura della sessione annuale dell’Assemblea nazionale del popolo. Pagine Esteri