Di Alessandra Mincone – 

Pagine Esteri, 2 maggio 2024. Il 19 Aprile l’UAW ha festeggiato un traguardo in Tennessee senza precedenti: nella fabbrica Volkswagen di Chattanooga, per la prima volta, 2682 lavoratori contro 985 hanno votato in favore dell’adesione sindacale, integrandosi al processo di sindacalizzazione già avviato nei siti in Germania e in Messico. La United Automobile Workers (Unione Internazionale dei Lavoratori dell’Automobilistico, Aerospaziale e dei macchinari Agricoli d’America) è un sindacato fondato negli Stati Uniti nel 1935.  La vittoria dell’Uaw rappresenta un allargamento del sindacato e del suo potere contrattuale verso il sud degli Stati Uniti d’America, come ha affermato lo storico del lavoro Nelson Lichtenstein. Secondo l’esperto, gli esiti del voto “hanno aperto la porta alla conquista di Atlanta, della Georgia e della Carolina”, prevedendo che “gli standard salariali e previdenziali della manodopera nel settore metalmeccanico, cioè di circa un milione di persone, non saranno più stabiliti dalla sola parte industriale”.

I tentativi di sindacalizzazione in Volkswagen risalgono prima al 2014 e poi al 2019, ma all’epoca i governatori di Alabama, Georgia, Mississippi, South Carolina, e Tennessee e Texas riuscirono a influenzare gli operai utilizzando la minaccia delle delocalizzazione e dei licenziamenti per scongiurare l’ingresso della sigla sindacale. Anche stavolta, i politici locali hanno provato a screditare l’Uaw, solo per incentivare le grandi case automobilistiche a investire ancora negli stati federali al sud, dove a un maggior profitto dell’industria automobilistica corrisponde un serbatoio illimitato di manodopera a basso costo. Nonostante le pressioni, quasi il 70% degli operai in VW ha messo al centro le necessità sindacali e marginalizzato le promesse elettorali. D’altronde, le testimonianze riportate sui canali ufficiali del sindacato dei metalmeccanici fanno emergere condizioni di lavoro a rischio dal punto di vista della sicurezza e della salute dei lavoratori, a partire dalla scarsa qualità dell’assicurazione sanitaria fino al mancato pagamento delle assenze dovute a malattie. Isaac Meadows, addetto alla catena di montaggio, ha citato l’episodio di febbraio, quando a causa di un’influenza stagionale molti lavoratori si sono recati comunque al lavoro per non perdere la paga giornaliera. Il risultato è stato che altri operai hanno contratto l’influenza tramite i colleghi, e si sono registrate sanzioni disciplinari per chi alla fine ha scelto di assentarsi.

Un altro dei problemi denunciati è collegato al sistema della “banca-tempo libero”. Secondo questa banca-ore prevista dalla legge, le ore di permessi e di ferie che dovrebbero essere garantite ai lavoratori attraverso una scelta condivisa, vengono scalate dall’azienda in maniera arbitraria nei periodi in cui la produttività nell’impianto è ridotta. Doug Snyder, carrozziere Volkswagen, ha ben sintetizzato le questioni cruciali su cui si muoveranno le prossime campagne sindacali: “i lavoratori vogliono una vita migliore dentro e fuori dal lavoro: una retribuzione equa è importante, ma lo è anche il tempo trascorso con le nostre famiglie, e lo stesso vale per la sicurezza nel nostro stabilimento.”

Tra i fattori scatenanti che hanno favorito la costituzione sindacale nell’impianto, emergono senza dubbio anche le vittorie dell’Uaw ottenute nelle tre grandi case automobilistiche Ford, GM e Stellantis. Nel settembre 2023, dopo la data di scadenza per il rinnovo dei contratti, l’organizzazione ha messo in piedi uno sciopero su larga scala coinvolgendo le “big-three” in contemporanea. La paralisi dell’attività produttiva, in tutti i siti strategici nel nord degli Stati Uniti, ha consentito la stipula di aumenti salariali fino alla prossima ritrattazione, prevista ad Aprile 2028.

LA VITTORIA DEI CONTRATTI CON LE BIG-THREE

In Ford, il sindacato ha ottenuto degli aumenti in quattro anni che vanno dal 25% al 30% per i lavoratori qualificati, fino al 68% per i lavoratori che svolgono mansioni più semplici, e che quindi erano bloccati a dei livelli di retribuzione inferiori. I primi percepiranno un minimo di 40 dollari l’ora, mentre i secondi di almeno 28 dollari l’ora. Per i lavoratori a tempo determinato, gli aumenti previsti arriveranno al 150% da spalmare su tutto il periodo del contratto. Inoltre viene reintrodotta l’indennità “Cola”, che prevede ulteriori incrementi salariali rispetto al costo della vita comparato all’inflazione. L’Uaw, infine, ha anche stipulato una clausola di garanzia economica volta a blindare il diritto di sciopero in casi di serrate dell’azienda. L’accordo con Ford, ad oggi, coinvolge circa  57mila iscritti.

In Stellantis, persino Joe Biden ha plaudito allo storico accordo siglato con la spinta delle agitazioni, per far leva sull’ampia platea di elettorato che fino a poco meno di un anno fa era restìa ai sindacati. “Questo contratto innovativo premia i lavoratori dell’auto che si sono sacrificati per rilanciare la nostra industria automobilistica, con aumenti record, più ferie, maggiore sicurezza pensionistica e più diritti sul lavoro”, ha comunicato il Presidente degli Stati Uniti d’America. Gli aumenti salariali conquistati dagli operai sono pressocché comparabili a quelli ottenuti in Ford, cioè pari al 33% totale nei prossimi 4 anni. In più, l’iniziativa ha permesso la riassunzione di 1200 lavoratori presso lo stabilimento di Belvidere, in Illinois, dismesso nel Febbraio 2023, e di raddoppiare la manodopera nel sito produttivo di Toledo, nell’Ohio, dove l’azienda aveva paventato un esubero di 5000 posti di lavoro. In questo caso, l’accordo coinvolge 46mila lavoratori.

In General Motors, le agitazioni che hanno portato all’accordo definitivo si sono svolte proprio nel Tennessee. Dopo gli scioperi alla Spring Hills, il sindacato ha ottenuto aumenti salariali per i prossimi 4 anni e maggiori diritti sindacali. L’azienda ha accordato finanche un bonus di 2500 dollari per tutti i pensionati, da elargire in rate entro il periodo di scadenza dell’accordo nel 2028. Secondo l’agenzia Reuters, la GM è di fronte a un incremento dei costi della manodopera che ammonteranno ad almeno  +7 miliardi di dollari nel prossimo quinquennio.

AUMENTI LAMPO IN VOLKSWAGEN, UN DETERRENTE CONTRO LE IPOTESI DI SCIOPERO

Durante gli scioperi del 2023, gli operai della VW di Chattanooga hanno avuto l’occasione di comprendere il potere contrattuale dell’Uaw e di ottenere dei risultati di riflesso. Yolanda Peoples, organizzatrice sindacale dallla catena di montaggio dei motori, ha dichiarato che la Volkswangen ha presagito subito i pericoli dovuti al fascino che la lotta sindacale avrebbe potuto esercitare sui suoi dipendenti, tanto da aumentare i salari dell’11% per compensare quanto ottenuto dall’Uaw coi primi picchetti fuori dagli stabilimenti Ford. Alla luce di quanto dichiarato, è facile comprendere che l’azienda, che nel 2019 ha investito nell’impianto 800 milioni di dollari per produrre il SUV elettrico I.D., non sia disposta a rischiare alcun calo della produzione al verificarsi di picchetti contro l’attività della fabbrica.

Gli aumenti lampo, seppure usati come deterrente contro le ipotesi di sciopero, rappresentano una risposta all’insofferenza in crescita per la contrazione dei salari. C’è da considerare che i contratti di lavoro negli USA fanno capo ad una contrattazione collettiva regolata dalla legislazione federale: le singole aziende si accordano generalmente in un rapporto di subordinazione di lavoro tra privati e dettando i minimi delle paghe orarie in relazione alle leggi vigenti in ogni Stato. Secondo la Gen-Usa, società americana di consulenze e servizi specializzata nell’internazionalizzazione verso gli Stati Uniti, e presente anche in Italia, uno degli oggetti di trattativa pre-contrattuale è la scelta dell’inquadramento part-time o full-time, “sebbene non esistano leggi federali che definiscano il lavoro a tempo pieno”.  Ciò significa che gli indennizzi per disoccupazione, malattia e infortunio, che vengono elargiti ai lavoratori a seconda del programma di compensazione statale così come i contributi ai fini pensionistici, possono essere parametrati al ribasso rispetto al rapporto di lavoro prestato.

In uno studio intitolato “La contrattazione collettiva negli Stati Uniti dal Wagner Act ai nostri giorni”, viene descritto come alla base del sistema statunitense di contrattazione ci sia ovviamente il principio di un’economia del mercato libero. L’autore Silvio Bologna scrive: “una delle caratteristiche è proprio la totale decentralizzazione delle relazioni industriali a livello di singola impresa, o unità produttiva, o in alternativa su base individuale delle condizioni di lavoro”. Il testo spiega non solo che il meccanismo di sindacalizzazione made in USA possa avvenire soltanto a partire da un processo burocratico e con la maggioranza dei voti alle elezioni, ma soprattutto come il sistema di relazioni industriali agisca attraverso una politica ben più privatistica anche rispetto all’Europa, “in assenza di una contrattazione di categoria su base nazionale nel settore automobilistico”.

Gli accordi per aumenti salariali indicati da Volkswagen, in fin dei conti, tengono insieme questi elementi e traggono insegnamenti dagli scioperi contro le Big-three (e dalle perdite di profitto da questi inferte). Sotto l’egida regolamentazione del capitalismo, VW potrà persino risparmiarsi l’appellativo di “concorrente sleale” nel settore, in previsione di allineare i costi del lavoro a quelli del trio di Detroit. Oltre agli aumenti salariali, l’azienda ha promesso di trovare soluzioni anche ai problemi di sicurezza sul lavoro, anche se, a detta di una delle operaie che ha promosso l’Uaw, questo sembra un affare ben più difficile da risolvere: “le condizioni dell’impianto sono così degradanti che ci chiediamo tutti se usciremo vivi o mutilati, perché potremmo perdere una gamba, una mano, io ho una nipotina di tre anni che non posso prendere in braccio per via di una lesione grave alla spalla…”.

DAGLI STATI DEL SUD ALLA SOLIDARIETA’ CON GLI OPERAI IN MESSICO

All’indomani del voto, Shawn Fain, presidente dell’Uaw, ha subito dichiarato con entusiasmo che “al tavolo dei negoziati nel 2028 non ci saranno solo le tre-big dell’automobile, ma ce ne saranno cinque o sei”. Dal 13 al 16 Maggio 2024 voteranno per l’adesione sindacale anche 5000 operai di Mercedes-Benz in Alabama, in uno dei due complessi al mondo dove non ci sono tessere. In un volantino dell’Uaw si legge che “Mercedes ha presentato un grafico ai lavoratori che mostrava quanto fossero indietro, perciò ha aumentato il volume di produzione per tenere il passo con produttori europei di auto di lusso, come Audi e BMW”. La pressione dell’azienda è diventata una corsa per raggiungere i ritmi di produzione imposti dall’azienda. All’aumento dei volumi, come prevedibile, corrisponde l’aumento degli incidenti sul lavoro e degli infortuni. L’idea di vedere sindacalizzato un ulteriore impianto verso il sud degli Stati Uniti ha già messo in allerta le alte cariche aziendali:
l’amministratore delegato Michael Göbel ha riferito che l’ingresso nello stabilimento sarebbe dannoso perché significherebbe “scioperi e quote costose”. Proprio in Alabama il sindacato anticipa anche nuove sfide: pare che all’indomani della prima vittoria in Volkswagen e alla vigilia delle elezioni in Mercedes, gli operai già spingano sul pulsante dell’acceleratore verso la sindacalizzazione nelle fabbriche di Hyundai e Toyota.

Ma non solo: nei mesi precedenti il sindacato ha messo in piedi azioni di solidarietà nei confronti dei lavoratori dell’automotive oltre gli USA, fino al Messico. In un comunicato di Marzo, l’Uaw ha denunciato i paradossi prodotti dal libero scambio, sostenendo che nonostante l’espansione della produzione in Messico, i lavoratori messicani sono costretti a comprare i prodotti importati dall’estero mentre il 75% della produzione interna è invece destinata all’esportazione. Nel frattempo il costo delle auto è in aumento ma gli stipendi dei lavoratori metalmeccanici messicani restano tra i più bassi del continente, e se nel 1994 gli addetti all’assemblaggio guadagnavano in media 6,65 dollari l’ora adesso ne guadagnano 3,14. “Le 3 grandi case automobilistiche si sono stabilite in Messico per sfruttare la manodopera a basso costo, e ora i lavoratori messicani guadagnano un decimo dei salari dei lavoratori statunitensi,” si legge nel comunicato. “E’ per questo che il nostro progetto di solidarietà mira a garantire giustizia anche ai lavoratori oltre confine.”