di Claudio Avella –
Pagine Esteri, 9 maggio 2024. Si è tenuta il 7 maggio la terza fase delle elezioni generali, per la camera bassa del parlamento, la Lok Sabha. Le elezioni indiane hanno una durata di 44 giorni e prevedono in totale sette fasi. Iniziate il 19 aprile, continueranno fino al primo giugno, mentre i risultati finali sono attesi per il 4 giugno.
Narendra Modi, attuale Primo Ministro, corre per il terzo mandato con il suo partito, il Bharatiya Janata Party (BJP). La sua campagna è incessante e prevede una fitta agenda di eventi in tutta l’India. Il 5 maggio, in Uttar Pradesh, che con i suoi 80 seggi è uno Stato chiave per le elezioni indiane, ha presieduto tre eventi, a partire dal primissimo pomeriggio, conclusisi nella città di Ayodhya con un roadshow di due chilometri e una visita presso il Ram Mandir, il tempio dedicato a Rama, una delle divinità principali dell’induismo.
Ayodhya rappresenta uno dei luoghi simbolo della campagna di Modi: il Ram Mandir è stato inaugurato il 22 gennaio, a lavori non ancora conclusi, con una cerimonia di consacrazione presieduta da Modi stesso, che ha visto la partecipazione di almeno 300.000 persone. Da allora il tempio viene visitato giornalmente da circa 100-150.000 persone. La cerimonia è stata considerata da molti commentatori e oppositori politici come una mossa puramente politica, oltre che un pericolo per la laicità dello stato.
Per la minoranza musulmana dell’India (15% della popolazione), inoltre, il Ram Mandir rappresenta una ferita ancora aperta: è stato costruito sul luogo dove sorgeva la Moschea del sedicesimo secolo Babri Majid, rasa al suolo il 6 dicembre 1992 da una folla di 150.000 estremisti Indù, recatisi sul luogo per partecipare a un comizio del BJP e del Vishva Hindu Parishad (VHP), organizzazione nazionalista Indù di destra. Si riteneva, infatti che la moschea sorgesse sul luogo dove precedentemente sorgeva un tempio Indù, nel luogo di nascita di Rama. Alla demolizione sono seguiti scontri in tutto il paese, che hanno causato oltre 1500 morti, la maggior parte musulmani.
Quello di Ayodhya non è un caso isolato di violenza nei confronti della comunità musulmana: secondo Amnesty International sono stati 255 i casi di violenza solo nei primi sei mesi del 2023. In questi dieci anni di governi, Modi ha alimentato un’ideologia suprematista Indù colpendo le minoranze del paese, in particolare quella musulmana, attraverso discorsi d’odio, politiche vessatorie e violenze. AI denuncia diversi casi di demolizione di case e proprietà di persone di religione musulmana da parte delle autorità, senza preavviso né processo. Uno dei più recenti avvenuto lo scorso 21 gennaio, a seguito di alcuni scontri a Mumbai, quando 15 negozi appartenenti a persone musulmane sono stati demoliti.
Le denunce da parte di AI non finiscono qui: il Citizenship Amendment Act (CAA), entrato in vigore lo scorso 14 marzo, rimuove barriere all’ottenimento della cittadinanza indiana per Indù, Sikh, Buddisti, Jainisti, Parsi e Cristiani provenienti da Afghanistan, Bangladesh e Pakistan, escludendo in maniera discriminatoria altri gruppi, come i Rohingya dalla Birmania (musulmani), la minoranza Tamil dello Sri-Lanka, i Butanesi o gli Hazaras. Secondo AI si nascondono anche altri problemi dietro l’applicazione del CAA: se un individuo venisse escluso dal Registro Nazionale dei Cittadini, i Tribunali per Stranieri, istituiti nel giugno 2019, avrebbero il potere di ritirarne la cittadinanza e inviarlo ad un centro di detenzione. In questo scenario, solo i gruppi menzionati dal CAA potrebbero mantenere la cittadinanza.
Anche la campagna elettorale di Modi non risparmia la comunità islamica: in un discorso risalente allo scorso 21 aprile, Modi ha affermato che il programma del principale partito di opposizione, l’Indian National Congress, prevederebbe di distribuire la ricchezza a “quelli che fanno più figli” e agli “invasori”, facendo esplicito riferimento alla comunità musulmana. Modi è stato accusato di discorso d’odio e le sue affermazioni sono state sfatate dalla stampa di opposizione, che però oggi è ridotta ai minimi termini: un rapporto di Reporters Without Borders pubblicato il 3 maggio posiziona l’India al 159º posto per la libertà di stampa. RWB denuncia l’uso intimidatorio di leggi antiterrorismo e dell’epoca coloniale per fare pressione sulla stampa, anche da parte dei partiti di opposizione come il Congress. Vengono inoltre riportati frequenti casi di procedimenti penali arbitrari, molestie, attacchi fisici e omicidi: l’organizzazione denuncia una media di 3-4 omicidi di giornalisti ogni anno.
Nonostante negli ultimi 10 anni 135 milioni di persone siano uscite dallo stato di Povertà Multidimensionale, come riportato dall’UNDP nel 2023, l’India rimane uno dei paesi con il più alto tasso di disuguaglianza economica al mondo. Uno studio del World Inequality Lab pubblicato nel marzo 2024 indica che l’1% più ricco del paese detiene il 40% della ricchezza, raggiungendo massimi storici, mentre il 50 % più povero detiene solo il 6,4% della ricchezza. In questo contesto, Modi continua a puntare su una ideologia suprematista Indù come strategie elettorale. Così, intorno alle 19:30 del 5 maggio, Modi si è recato all’interno del Ram Mandir per pregare, in diretta su alcune emittenti nazionali, dopodiché, insieme al candidato locale Lallu Singh, si è concesso l’ultimo bagno di folla della giornata. Pagine Esteri