di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 29 maggio 2024. Otto anni di minacce da parte dei servizi segreti israeliani alla Corte penale internazionale. Otto anni di stalking alla ex procuratrice Fatou Bensouda perché rinunciasse alle inchieste su Tel Aviv e le sue violenze nei Territori palestinesi occupati. Ricatti, appostamenti, intimidazioni alla giurista e alla sua famiglia: l’indagine del quotidiano inglese Guardian, in collaborazione con +972 Magazine e Local Call, rivelano la guerra segreta del Mossad contro la CPI.
Yossi Cohen, potente alleato e leale sostenitore del premier israeliano Benjamin Netanyahu, è stato capo del consiglio di sicurezza nazionale tra il 2013 e il 2016, anno in cui Bibi gli affida la direzione del Mossad, la temibile agenzia di intelligence israeliana. Secondo più fonti, Cohen inizia a coordinare uno sforzo multiagenzia contro la CPI nel 2015, quando la procuratrice gambiana decide di aprire un’inchiesta preliminare sulla situazione in Palestina per una valutazione iniziale delle accuse di crimini a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
L’annuncio provoca la reazione rabbiosa dei vertici israeliani i quali non intendevano permettere che la Corte arrivasse ad accusare i suoi cittadini di crimini compiuti nei Territori palestinesi Occupati. Tel Aviv attacca duramente la CPI e i suoi ministri minacciano persino di smantellarla. È in quel momento che gli alti pubblici ministeri vengono avvertiti dell’interessamento dell’intelligence israeliana. Si diffonde addirittura il timore che il Mossad abbia delle fonti all’interno dell’ufficio del procuratore, d’altronde Cohen ha la reputazione di essere un ottimo reclutatore di agenti stranieri.
Il primo incontro tra Bensouda e il direttore del Mossad avviene, secondo la ricostruzione del Guardian, a Monaco nel 2017. Dopo quella volta, la spia israeliana compie una serie di imboscate e assume comportamenti persecutori tipici dello stalker. Il tutto con il supporto di un improbabile alleato: Joseph Kabila, l’ex presidente della Repubblica Democratica del Congo, che ha svolto un ruolo importante nel complotto. I legami tra i due uomini sono stati rivelati nel 2022 dalla pubblicazione israeliana TheMaIker, che ha riferito di una serie di viaggi segreti che il direttore del Mossad ha effettuato nella RDC per tutto il 2019. Kabila rappresentava una pedina importante per l’intelligence in quanto, di tanto in tanto, incontrava la procuratrice per discutere con lei dell’indagine della CPI in corso su probabili crimini commessi nel suo Paese. Durante uno di questi incontri, nel 2018, in una suite dell’hotel di Manhattan a New York, al personale di Bensouda viene chiesto di lasciare la stanza nella quale dopo pochi secondi si presenta, inatteso, Cohen. Con ogni probabilità l’incontro richiesto da Kabila non è altro che una copertura per garantire l’incursione a sorpresa. Il blitz mette in allarme la procuratrice e i funzionari della CPI che viaggiano con lei. Ma le sgradite sorprese dello 007 erano appena cominciate. Cohen trova il numero del telefono personale di Bensouda e la chiama ripetutamente. Secondo diverse fonti vicine alla procuratrice, ad un certo punto lei gli chiede come ha ottenuto quel numero e lui risponde “Hai dimenticato cosa faccio per vivere?”
In una fase iniziale il capo Mossad prova a convincere la procuratrice con le buone a cooperare con Israele, facendole delle promesse e delle proposte vantaggiose per la collaborazione. Con il tempo però, e con i rifiuti di Bensouda, Cohen diventa più aggressivo e comincia a minacciare lei e la sua famiglia. Di questi comportamenti, insieme ai tentativi di manipolazione la giudice parla con un piccolo gruppo di alti funzionari della CPI.
Nel dicembre 2019, dopo le inchieste preliminari, la procuratrice annuncia che ci sono motivi per aprire un’indagine penale completa sulle accuse di crimini di guerra a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Ma prima richiede una sentenza alla camera preliminare della CPI per confermare che la corte ha effettivamente giurisdizione sulla Palestina. È in questo momento che le pressioni israeliane si sono intensificate. Tra il 2019 e il 2020 Cohen riesce a intercettare fisicamente Bensouda per tre volte. La procuratrice, confidandosi con alcuni suoi collaboratori racconta che durante uno degli incontri la spia fa riferimento alla sua sicurezza e a quella della sua famiglia, facendola sentire sotto minaccia. Il Mossad comincia a seguire suo marito, lo fotografa mentre a Londra è in gita con la famiglia e mostra le foto alla moglie. Poi li intercetta, cerca prove compromettenti, forse ne fabbrica alcune e tenta di utilizzarle negli ambienti diplomatici per isolare Bensouda ma non riesce a convincere gli stati occidentali alleati ad utilizzarle. Anche se lo sforzo di Tel Aviv viene condiviso e coordinato con il suo alleato più devoto: il governo di Washington. Tra il 2019 e il 2020 l’ex presidente Donald Trump porta avanti un attacco senza precedenti contro la Corte Penale Internazionale, imponendo restrizioni sui visti e sanzioni nei confronti della procuratrice capo. Ufficialmente la mossa è la risposta all’indagine sui probabili crimini di guerra commessi dagli USA in Afghanistan. Tuttavia, Mike Pompeo, allora segretario di Stato USA, parlando delle sanzioni, dichiara: “È chiaro che la CPI sta mettendo Israele nel mirino per scopi esclusivamente politici”, accusando poi Bensouda, senza citare alcuna prova, di aver “commesso atti di corruzione per il suo personale beneficio”.
Nel febbraio 2021, la camera preliminare della CPI emette una sentenza che conferma la giurisdizione della Corte sui Territori Palestinesi Occupati. Il mese successivo è stata aperta l’indagine penale. Bensouda ha terminato il suo mandato quando l’inchiesta era in corso, lasciandola nelle mani del suo successore, Karim Khan, che prima di richiedere i mandati di arresto per Netanyahu, Gallant e tre leader di Hamas, ha più volte denunciato pressioni sulla corte e diverse minacce ai membri del suo ufficio. Pagine Esteri