di Belén Fernández*, Al Jazeera
Pagine Esteri, 25 giugno 2024. [Articolo pubblicato da Al Jazeera il 18 giugno 2024]. Immagina per un momento di essere un governo occidentale razzista afflitto da un afflusso di richiedenti asilo, molti dei quali dalla pelle scura. Non sogneresti di metterli in una terra lontana per tenerli fuori dalla tua vista e lontani dai tuoi pensieri?
Bene, quel sogno sta diventando una realtà per l’Italia, dove il primo ministro Giorgia Meloni del partito di estrema destra Fratelli d’Italia sta supervisionando l’accordo con la nazione balcanica dell’Albania per aprire due centri in cui portare i richiedenti asilo intercettati in mare in rotta verso le coste italiane.
Situati nelle città albanesi settentrionali di Shengjin e Gjader, i centri dovrebbero contenere fino a 36.000 persone all’anno. L’accordo costerà all’Italia almeno 670 milioni di euro (720 milioni di dollari) per il primo quinquennio, ma il prezzo apparentemente vale la pena in termini di assegnazione di punteggi nazionalisti xenofobi per il governo.
Meloni, che è salita al potere con una serie di promesse fasciste-friendly tra cui un impegno a frenare l’immigrazione, si è recata in Albania il 5 giugno per visitare le colonie penali dei migranti – perdono, centri di elaborazione dell’asilo – che secondo lei saranno operativi entro agosto. La visita è stata pianificata in modo da coincidere con l’inizio delle elezioni europee, in cui i Fratelli d’Italia ha ottenuto un risultato straordinario.
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha elogiato l’accordo Italia-Albania definendola una “importante iniziativa” che costituisce un “esempio di pensiero fuori dagli schemi, basato su un’equa condivisione delle responsabilità con i paesi terzi, in linea con gli obblighi previsti dal diritto dell’UE e internazionale”.
Non importa che l’accordo sia in realtà una violazione del diritto internazionale che disciplina i salvataggi in mare, nonché una violazione del divieto di detenzione automatica.
Inoltre, non è chiaro perché l’Albania, un paese che era esso stesso una colonia italiana, seppur per breve durata, e che non ha svolto alcun ruolo nella catastrofica impresa coloniale europea che ha posto le basi per gli attuali modelli migratori, dovrebbe essere responsabile della “condivisione” dell’onere affrontare la questione dei rifugiati.
Ricordiamo che gli exploit italiani del XX secolo in Africa hanno causato genocidio in Libia e terrore in Etiopia. Ma Dio non voglia che tutti gli africani di oggi pensino di avere diritto, per carità, di venire a cercare lavoro o una vita migliore in Italia.
La Gran Bretagna, nel frattempo, sta minacciando per il mese di luglio di attuare finalmente il tanto atteso piano per deportare i richiedenti asilo in Ruanda – che nonostante il suo triste record di violazioni dei diritti umani è stato valutato il posto giusto per i rifugiati diretti nel Regno Unito.
Poi, naturalmente, c’è l’approccio all’asilo politico preferito dagli Stati Uniti, che è quello di smantellare del tutto il concetto stesso di asilo.
Nonostante i precedenti, l’accordo Italia-Albania è unico sotto un aspetto: i centri di trasformazione di Shengjin e Gjader saranno sotto la giurisdizione italiana e non quella albanese.
Sembrerebbe un pizzico coloniale.
In un rapporto di gennaio sull’accordo, Amnesty International ha osservato che l’Italia fa da “apri-pista per l’esternalizzazione del controllo delle frontiere”, avendo collaborato negli ultimi due decenni con la Libia – un’altra ex colonia italiana – nel contrastare il movimento dei richiedenti asilo.
Nel corso degli anni, i contributi italiani al partenariato hanno incluso la facilitazione dell’intercettazione in mare da parte della Libia di migliaia e migliaia di rifugiati che sono stati poi portati nei centri di detenzione libici per affrontare una certo numero di pericoli, che vanno dalle sparizioni forzate alla tortura e all’uccisione.
Anche la Tunisia ha avuto una mano all’Italia per reprimere la migrazione, un accordo che ha alimentato le violazioni dei diritti umani, senza riuscire però a dissuadere i richiedenti asilo a venire in Europa.
E mentre Meloni ha pubblicizzato l’intesa con l’Albania come uno “straordinario deterrente contro i migranti illegali che cercano di raggiungere l’Italia e l’Europa”, si rivelerà senza dubbio solo un’altra costosa trovata per permettere le violazioni dei diritti umani politicamente opportune.
Come ha sottolineato Amnesty International, Shengjin si trova a più di 500 miglia nautiche (926 km) dall’area nel Mar Mediterraneo centrale dove la maggior parte dei rifugiati viene salvata, il che significa che ci vorranno dai due ai tre giorni per portarvi i sopravvissuti al naufragio, a differenza di località più vicine in Italia o a Malta.
Queste sono persone “spesso traumatizzate” per motivi diversi, che vanno dall’aver subito tortura in prigionia all’aver assistito all’annegamento dei propri cari. Il rapporto ha stabilito: “In tali situazioni, costringerli inutilmente a trascorrere giorni a bordo delle navi di soccorso, dove gli equipaggi non possono soddisfare pienamente le loro esigenze, costituisce una violazione degli standard internazionali in materia di soccorso e può di per sé equivalere a maltrattamenti”.
Una volta sul suolo albanese – o forse di nuovo suolo italiano? – queste persone saranno inghiottite a tempo indeterminato da un apparato di detenzione neocoloniale, al sicuro fuori dalla vista e lontano dai pensieri.
Secondo Meloni, l’accordo Italia-Albania è un “modello” che potrebbe essere “replicato in molti paesi” e potrebbe persino “diventare parte della soluzione strutturale” dell’UE.
Ma se questo è pensare “out-of-the-box”, direi che è il momento di ritornare nella scatola. Pagine Esteri
________________
*Belén Fernández è l’autrice di “Inside Siglo XXI: Locked Up in Mexico’s Largest Immigration Detention Center” (OR Books, 2022), “Checkpoint Zipolite: Quarantine in a Small Place” (OR Books, 2021), “Exile: Rejecting America and Finding the World” (OR Books, 2019), “Martyrs Never Die: Travels through South Lebanon” (Warscapes, 2016) e “The Imperial Messenger: Thomas Friedman at Work” (Verso, 2011). È una redattrice di Jacobin Magazine e ha scritto per il New York Times, il blog London Review of Books, Current Affairs e Middle East Eye, tra le numerose altre.