di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 30 luglio 2024 – Se c’è un paese dove si stanno moltiplicando e salgono di tono le proteste contro l’overtourism è sicuramente la Spagna, dove le manifestazioni si susseguono ormai a cadenza settimanale.
Lo sviluppo turistico, soprattutto delle coste meridionali, fu deciso dal regime di Franco già negli anni ’50. Dopo la devastazione provocata dal golpe e dalla successiva guerra civile, occorreva risollevare l’economia e rompere l’isolamento internazionale.
Un boom turistico che viene da lontano
Nei decenni successivi la speculazione edilizia (a lungo voce trainante del Pil spagnolo), l’avvento dei voli low cost e il ridisegno delle città ad uso e consumo dell’industria turistica, trainato da alcuni grandi eventi – le Olimpiadi di Barcellona del 1992 furono un volano determinante – originarono un vero e proprio boom. I massicci investimenti nel settore seguiti alla crisi finanziaria del 2008/2009 e la diffusione delle piattaforme online per gli affitti brevi hanno però ora trasformato il turismo in una vera e propria calamità suscitando un trasversale rifiuto sociale.
“Maiorca non si vende”
L’ultima grande mobilitazione ha attraversato le strade di Maiorca il 21 luglio, quando 20 mila persone hanno protestato contro un afflusso turistico incontrollato che ha causato il crollo della qualità della vita, l’aumento del prezzo degli alloggi e del costo della vita e la diffusione di forme di lavoro sempre più precarie e stagionali.
A promuovere il corteo il coordinamento “Meno turismo, più vita”, formato da 110 tra comitati, associazioni, sindacati e gruppi politici. I manifestanti hanno sfilato dietro uno striscione che reclamava “Cambiamo rotta, mettiamo dei limiti al turismo”, chiedendo al governo statale, a quello regionale e al municipio misure urgenti e concrete dirette a diminuire l’afflusso turistico a Maiorca e nelle altre tre isole dell’arcipelago dove, a fronte di 1,2 milioni di abitanti, quest’anno è previsto l’arrivo di ben 20 milioni di turisti.
Già nel 2023 nel solo mese di luglio per l’aeroporto di Palma erano transitati ben 4,3 milioni di persone, il 6% in più rispetto all’anno precedente, rendendo l’isola mediterranea la terza destinazione estiva più ambita del paese dopo Madrid e Barcellona.
Un’altra grande manifestazione – 25 mila partecipanti – aveva già inaugurato il conflitto il 25 maggio al grido di “Mallorca no es ven” (Maiorca non si vende), rispondendo anche in quel caso all’appello dei sindacati degli inquilini, delle associazioni ecologiste e dei comitati dei residenti.
All’inizio di luglio poi, in piena stagione turistica, centinaia di persone hanno simbolicamente occupato alcune spiagge, rendendo patente agli ignari bagnanti il proprio disagio, quando non la propria rabbia, agli ignari bagnanti. Ad esasperare i residenti sono soprattutto i turisti teutonici, i più numerosi e chiassosi, che considerano Maiorca una sorta di 17esimo Land tedesco.
Gli abitanti si sentono espulsi dai loro spazi e denunciano la devastazione ambientale e culturale provocata da un’industria turistica che mira a una crescita infinita.
La parola d’ordine è “decrescita”
E invece i comitati chiedono una “decrescita turistica” che parta dalla riduzione, fino alla scomparsa, degli affitti brevi, da una diminuzione dei voli low-cost e degli scali delle navi da crociera e dalla disincentivazione degli acquisti di case da parte di persone non residenti.
La lobby turistica ovviamente difende un settore che, afferma l’associazione di categoria Exceltur, nel 2023 avrebbe rappresentato il 71% della crescita reale dell’economia spagnola. Ma se è vero che il turismo costituisce una voce determinante del Pil di molti territori, la realtà è che la ricchezza prodotta finisce in poche mani e spesso a migliaia di km di distanza, arricchendo fondi di investimento e imprenditori insensibili alle ricadute sugli abitanti delle mete più trendy. Le lavoratrici delle pulizie – ribattezzate ormai “las kellys” (da una contrazione dell’espressione “las que limpian”, cioè “quelle che puliscono le stanze negli hotel) – ad esempio vedono il loro carico di lavoro aumentare di anno in anno senza che salari e diritti progrediscano proporzionalmente.
Le Canarie sono al limite
Denunce e rivendicazioni accomunano le diverse mobilitazioni, come ad esempio quelle che hanno attraversato negli ultimi mesi un altro arcipelago, le Canarie, che secondo i comitati locali sta letteralmente «collassando dal punto di vista sociale e ambientale» sotto la pressione di più di 10 milioni di visitatori stranieri annui, ai quali vanno aggiunti milioni di iberici.
Proprio nelle otto isole al largo del Marocco si è svolta la mobilitazione più massiccia; il 20 aprile scorso infatti ben 200 mila persone hanno detto “no all’invasione” e alle politiche dell’amministrazione locale che vuole raddoppiare la già spropositata capacità ricettiva delle isole mentre la popolazione a rischio di povertà ha toccato quota 34%.
Baleari e Canarie rappresentano i casi più eclatanti di quella che alcuni media e la maggior parte della classe politica hanno impropriamente ribattezzato “turismofobia”, insieme a Barcellona dove i coordinamenti contro la gentrificazione rimangono sospettosi nei confronti della promessa dell’amministrazione del sindaco socialista Collboni di cancellare entro il 2028 diecimila licenze ad altrettanti alloggi turistici e di limitare l’approdo delle crociere.
“Tourist go home”
Nel capoluogo catalano alcuni dei 20 mila manifestanti scesi in piazza il 6 luglio anche per denunciare la “museificazione” della città hanno bersagliato con pistole ad acqua dei turisti seduti in un bar, e da tempo su alcuni muri campeggiano scritte come “turist go home”. In passato alcuni collettivi della sinistra indipendentista radicale avevano preso di mira le bici a noleggio e recentemente a Malaga, in Andalusia, alcuni comitati hanno sigillato con il silicone le serrature di alcuni appartamenti turistici mentre migliaia di persone sfilavano al grido di “Vogliamo vivere, non sopravvivere”, imitati dagli abitanti di Cadice.
In generale, però, piuttosto che prendersela con i turisti la mobilitazione denuncia il ruolo dei grandi gruppi imprenditoriali e un modello di turistificazione vorace ed estrattivo.
Il 13 luglio è toccato agli abitanti di Alicante (nel Paese Valenzano) scendere in piazza per la prima manifestazione del genere, stufi delle 100 navi da crociera che sbarcano centinaia di migliaia di turisti che si aggiungono ai 17 milioni che visitano ogni anno la provincia, dove in appena cinque anni i prezzi delle case sono più che raddoppiati.
“Donostia ez dago salgai”
La pressione turistica è diventata così insopportabile da suscitare proteste anche nel nord del paese, divenuto meta negli ultimi anni anche di un turismo climatico di lusso che cerca riparo dalle estati sempre più torride del Mediterranea.
Sulla costa atlantica è stata alcuni anni fa la città basca di Donostia a mobilitarsi contro il moltiplicarsi dei pisos turisticos e degli hotel e la distruzione del patrimonio architettonico e naturale.
Il turismo di massa si è abbattuto sulla “perla del Cantabrico” come uno tsunami. Secondo Eustat a San Sebastian, nel 2023 hanno soggiornato 1 milione di turisti, senza contare i pernottamenti nelle strutture ricettive abusive. Con il risultato che gli affitti, già tra i più alti del paese, sono aumentati nell’ultimo anno del 12%; il prezzo medio di un appartamento è di 400 mila euro e il costo della vita supera la media spagnola del 34%.
La zona più stravolta dalla turistificazione è la “Parte Vecchia”, invasa da bar, ristoranti e pisos turisticos e dove i sempre più scarsi abitanti si ritrovano a fare da figuranti in un vero e proprio “parco tematico”. E così da qualche anno cittadini e comitati scendono in piazza al grido di “Donostia ez dago salgai” (San Sebastian non si vende).
Per Asier Basurto, del comitato “Bizilagunekin” (“Con gli abitanti”), la destagionalizzazione e la distribuzione del carico turistico in tutta la città sono false soluzioni che anzi aggravano il problema, aumentando i flussi invernali senza diminuire quelli estivi e gentrificando altri quartieri.
Ormai anche Bilbao è sul piede di guerra: alcuni attivisti del sindacato degli inquilini si sono incatenati alle porte di un appartamento turistico potendo contare sulla solidarietà dei vigili del fuoco che si sono rifiutati di intervenire per sloggiarli.
La politica non si muove
Anche nella confinante e normalmente placida Cantabria sono iniziate le prime proteste scatenate dalla turistificazione di molti piccoli centri rurali e da un aumento record del prezzo degli alloggi, che nel solo 2023 è balzato del 33%. A Laredo, ad esempio, 10 mila manifestanti hanno marciato contro il progetto urbanistico di Ribamontán del Mar che include la realizzazione di appartamenti di lusso e di un campo da golf.
A livello locale qualche amministrazione sta iniziando a mutare quanto meno la narrazione, dicendosi disponibile a orientarsi verso un modello di “turismo sostenibile”, ma le misure concrete finora adottate sono scarse.
Nonostante le pressioni delle sinistre, il governo di Pedro Sanchez si limita a chiedere alle comunità autonome di mettere ordine nel far west turistico e promette il varo, nel 2025, di un registro centrale dei pisos turisticos. Il Partito Socialista Catalano, però, ha contribuito a bocciare, insieme alle destre, la legge regionale che intendeva regolare gli affitti stagionali, spesso utilizzati dai proprietari degli immobili per legalizzare gli appartamenti turistici senza licenza. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria