di Oren Ziv* per +972 magazine

In partership con LOCAL CALL

(traduzione di Federica Riccardi)

https://www.972mag.com/israeli-army-refuseniks-moav-mueller-greenberg/

Pagine Esteri, 12 agosto 2024. Questa settimana, tre obiettori di coscienza di 18 anni si sono presentati al centro di reclutamento dell’esercito israeliano di Tel Hashomer, vicino a Tel Aviv, e hanno dichiarato il loro rifiuto di arruolarsi nel servizio militare obbligatorio per protestare contro l’occupazione e l’attuale guerra a Gaza. Yuval Moav, Oryan Mueller e Itamar Greenberg sono stati processati e condannati a una pena iniziale di 30 giorni di prigione militare, che probabilmente sarà prolungata. Gli unici altri refuseniks che si sono opposti pubblicamente alla leva per motivi politici dal 7 ottobre – Tal Mitnick, Ben Arad e Sophia Orr – sono stati recentemente rilasciati dopo aver scontato pene detentive per un totale di 185 giorni, 95 giorni e 85 giorni rispettivamente.

I tre ultimi refuseniks – che sono accompagnati nel processo di rifiuto dalla rete di obiettori di coscienza Mesarvot – hanno rilasciato dichiarazioni prima di comparire davanti al tribunale militare. Greenberg, che è cresciuto nella città ultraortodossa di Bnei Brak, ha detto che all’inizio vedeva l’arruolamento come un modo per integrarsi meglio nella società israeliana, prima di rendersi conto che “la porta della società israeliana passa attraverso l’oppressione e l’uccisione di un altro popolo”. Ha aggiunto: “Una società giusta non può essere costruita sulle canne dei fucili”.

Moav ha rivolto la sua dichiarazione ai palestinesi. “Con questo mio semplice gesto, voglio essere solidale con voi”, ha detto. “Riconosco anche di non rappresentare l’opinione della maggioranza della mia società. Ma con la mia azione spero di alzare la voce di quelli di noi che aspettano il giorno in cui potremo costruire un futuro comune [e] una società basata sulla pace e sull’uguaglianza, non sull’occupazione e sull’apartheid”.

Mueller ha parlato di come la vendetta sia il motore del ciclo di spargimento di sangue. “La guerra a Gaza è il modo più estremo in cui lo Stato di Israele sfrutta l’impulso alla vendetta per portare avanti l’oppressione e la morte in Israele-Palestina”, ha affermato. “La lotta contro la guerra non è sufficiente. Dobbiamo combattere i meccanismi strutturali che la rendono possibile”.

Lunedì mattina, mentre Moav riceveva la sentenza, alcune decine di persone sono venute a sostenere i refuseniks in una manifestazione davanti al centro di reclutamento. Nelle vicinanze, centinaia di ebrei ultraortodossi hanno manifestato con forza sul posto, nel primo giorno del loro obbligo di leva dopo la storica sentenza dell’Alta Corte del mese scorso, che ha annullato un’esenzione dal servizio militare vecchia di decenni.

Inizialmente gli Haredim hanno pensato che i manifestanti di sinistra fossero laici venuti a manifestare contro di loro, ma i due gruppi hanno presto trovato un terreno comune nella loro comune opposizione all’esercito. “La sacra Torah ci proibisce di [impegnarci] nella guerra, nell’occupazione e nell’esercito”, ha detto un manifestante ultraortodosso, tra gli applausi di coloro che sostenevano i refuseniks. “Non dobbiamo provocare le nazioni [non ebraiche], dobbiamo scendere a compromessi laddove è possibile, perché la cosa più importante è la vita, non la morte”.

Prima di entrare in carcere, i tre adolescenti hanno parlato con +972 Magazine e Local Call delle ragioni del loro rifiuto, delle reazioni con chi li circonda e delle prospettive di convincere altri israeliani a raggiungere la loro posizione. La conversazione è stata modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza.

Come è arrivato alla decisione di rifiutare?

Mueller: Sono nato a Tel Aviv e la mia formazione politica è iniziata a casa. Vengo da una famiglia critica nei confronti dell’occupazione e di altri problemi politici, ma era comunque una famiglia sionista e tutta la mia famiglia ha prestato servizio nell’esercito. C’era l’aspettativa che avrei servito anch’io. Ma poi ho imparato e capito di più, e quando è scoppiata la guerra [e ho letto] le testimonianze che arrivavano da Gaza, ho capito che dovevo rifiutare.

Credo che la brutalità abbia minato l’idea che si possa distinguere tra l’occupazione da un lato e lo Stato di Israele dall’altro, e che si tratti di cose separate. Il livello di distruzione e di morte a Gaza e la mancanza di considerazione che se ne presta in Israele – o il modo in cui ciò viene attivamente occultato – hanno rotto questa dissonanza.

Greenberg: Dopo essere cresciuto in una casa ultraortodossa, ho attraversato processi di messa in discussione politica e religiosa. Ho lasciato la religione e, dato che sono stata una persona molto politicizzata fin da giovane, questo mi ha indirizzato verso la giustizia e sono arrivato al punto in cui mi trovo oggi. Credo che la decisione di rifiutare sia un risultato diretto di tutto questo.

In una famiglia ultraortodossa, presumibilmente non è un problema non prestare servizio, ma sono cresciuto con un padre riservista da 25 anni, e anche ora è impegnato da 10 mesi. L’atmosfera a casa ne risente molto. Non è facile. Non ne parlo con loro perché so quanto sia doloroso. Questo è l’aspetto che mi preoccupa di più dell’intero processo. Il vero costo del rifiuto non è il carcere, ma quello che succede fuori. Mi preoccupa il prezzo che [la mia famiglia] paga, perché non se lo merita. Cerco di non ferirli troppo.

Moav: Vengo da Kfar Netter, un moshav vicino a Netanya. Come Oryan, sono cresciuto in una famiglia sionista di sinistra, ma in una casa meno impegnata politicamente. Hanno avuto un ruolo nella mia identità, ma il mio rifiuto non è nato da lì. La verità è che sono stato fortunato ad essere esposto a contenuti internazionali che mi hanno permesso di cambiare idea sul luogo in cui vivo.

Mi sono reso conto che non sapevo davvero cosa stesse succedendo qui. Non appena mi sono interessato e ho fatto domande, ho visto che ero solo: Ho capito che non potevo arruolarmi perché si tratta di un esercito di occupazione, e anche se sapevo che c’erano altri che si rifiutavano, mi sentivo completamente solo nella mia esperienza e nella ragione da cui derivava la mia decisione. Poi ho sentito parlare dei refuseniks, di Mesarvot, di persone che escono allo scoperto, dicono la loro verità e pagano un prezzo, e ho capito che appartenevo a quel mondo, che non ero solo.

Se mi chiedete perché mi rifiuto oggi, la risposta è, in ultima analisi, perché mi rifiuto di partecipare a un genocidio. Ho subito violenze [per la mia decisione], ma continuo ad andare avanti. La guerra ha solo rafforzato la mia posizione.

L’aver vissuto in prima persona l’occupazione ha influenzato la vostra decisione?

Greenberg: Sono attivo [nelle attività di solidarietà] in Cisgiordania, soprattutto nel villaggio di Mukhmas [una comunità palestinese che subisce regolarmente la violenza dei coloni sostenuti dall’esercito]. Essere presenti in Cisgiordania cambia le percezioni, ti fa conoscere l’occupazione e l’oppressione e ti trasforma da ascoltatore a partner fisico dell’esperienza. Anche se non la vivo in prima persona, ho amici che affrontano l’oppressione quotidianamene, persone che vogliono cacciarli dalle loro case. Quando la vedi con i tuoi occhi, non sparisce. Sto camminando qui, ma la mia testa è lì.

Mueller: Non ho avuto modo di viverla, ma a differenza della maggior parte della società israeliana, sono stato esposto a testimonianze dal campo, soprattutto online. Sono attivo nei forum di discussione politica. Quando cerco di parlare di queste testimonianze con persone che non vi sono esposte, mi imbatto in un enorme muro che separa gli israeliani da ciò che sta accadendo a 5 chilometri a sud di dove vivono. Non so che tipo di sconvolgimento culturale occorra perché si possano cominciare a vedere le testimonianze provenienti da Gaza nei notiziari israeliani; al momento non le vediamo.

Se si può parlare, bisogna farlo: della portata della distruzione e della morte a Gaza, dell’oppressione e di quanto siano profonde le radici dell’apartheid in Cisgiordania. C’è un limite a quanti bambini senza braccia si possono guardare prima di capire che qualcosa non va.

Moav: Il mio processo è stato più personale. La causa principale della mia radicalizzazione ha a che fare con la società israeliana e la sua opacità. Alla fine ho deciso di non arruolarmi perché ero esposto a contenuti internazionali. Ho capito che l’israeliano medio sa meno di quello che succede a due chilometri da casa sua rispetto a chi ha accesso a internet all’estero, e che non c’è simpatia da parte di molte persone, alcune più anziane di te, che dovrebbero proteggerti.

Vedete il vostro rifiuto come un modo per cercare di influenzare la società israeliana – soprattutto nell’ambiente estremo di oggi, dove molti non hanno voglia di ascoltare le voci contro la guerra?

Greenberg: Penso che questo sia un messaggio importante per la società israeliana: iniziare a dire no. Invito i miei coetanei a riflettere su ciò che stanno facendo. L’arruolamento è una scelta politica, ed è così che dovrebbe essere trattato. Abbiamo il diritto di scegliere ciò in cui crediamo.

Mueller: Rifiutarsi è come mettere la società israeliana davanti ad uno specchio, prima di tutto per mostrare che è possibile resistere alla macchina di morte militarista e al ciclo di spargimenti di sangue. Non dobbiamo prendervi parte. È anche una sorta di piattaforma che permette di mostrare alla società israeliana ciò che sta accadendo al di là di ciò che si vede nei media, che non rivelano realmente ciò che sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania.

Moav: A differenza dei miei amici, sono meno ottimista sull’impatto di ciò che facciamo sulla società israeliana, e alla fine è anche meno importante per me. Innanzitutto, lo faccio per solidarietà con il popolo palestinese e nella speranza di far sentire la voce di chi, nella società israeliana, aspetta il giorno in cui potremo costruire un futuro condiviso. Il mio appello è prima di tutto e soprattutto per il popolo palestinese.

Tuttavia, è molto importante per me farlo anche per le persone che amo, per mostrare loro che c’è un’altra strada. Posso solo sperare che le persone si fermino a riflettere quando portano armi e gli viene chiesto di fare cose che forse non vorrebbero fare. Spero anche che arrivi in tutto il mondo, perché alla fine le persone di tutto il mondo vedono gli orrori che stanno accadendo a Gaza.

Greenberg: Credo che il nostro più grande messaggio alla società palestinese sia che qui ci sono persone che lottano, forse non abbastanza, ma comunque lottano, e sono disposte a pagare un prezzo personale molto alto per aver scelto di lottare per la giustizia e l’uguaglianza.

Mueller: C’è il quadro più ampio del conflitto e dell’occupazione, come un intero processo storico, ma c’è anche la sfida immediata alla guerra e alla morte che deve essere fermata. E il modo più pratico per partecipare a questa causa è il rifiuto.

A differenza di molti refuseniks del passato, il vostro rifiuto avviene in tempo di guerra. Pensate che questo dia un ulteriore significato alla vostra decisione?

Greenberg: Abbiamo discusso del privilegio del rifiuto e penso che rifiutare durante la guerra sia davvero un privilegio. Ma rifiutare è anche l’atto più forte che possiamo compiere di fronte alla guerra.

Mueller: Se posso impedire a un solo israeliano di andare a Gaza, di uccidere e morire, allora ne vale la pena. E naturalmente vogliamo sostenere e promuovere la lotta contro l’occupazione. Il cambiamento che la coscienza israeliana subisce in modo piuttosto esteso durante la guerra trasforma il nostro rifiuto in qualcosa di ancora più marginale di quanto non fosse in passato. È andare contro la società israeliana e dire: “No, non abbiamo bisogno di costruire monumenti ai morti se possiamo prevenire le morti in primo luogo”.

Moav: Alla fine della giornata, ciò che è più importante per me dire è che mi rifiuto di partecipare al genocidio. Parlando di privilegi, non andrò in prigione con la coscienza pulita perché non so se sto facendo abbastanza, non so quale sia la mia responsabilità in questa situazione. Riconosco che i giovani e i ragazzi della mia età a Gaza e in Cisgiordania non possono fare nulla di simile; non possono decidere di rifiutarsi di alzare le armi, di comunicare questo atto e di cercare di migliorare la situazione di entrambi i popoli.

Il vostro rifiuto è anche una dichiarazione contro il militarismo che si è ulteriormente intensificato in Israele dall’inizio della guerra?

Moav: Sì. Siamo persone di pace. Ma c’è qualcosa di più grande qui, un processo che corrompe la società. La nostra è una società che può rimanere in silenzio di fronte a crimini di tale portata. È una società in cui in questo momento l’unica cosa che posso fare come essere umano, per quanto sia doloroso dirlo, è separarmi da essa. Se ripetere ancora e ancora che mi rifiuto di essere complice di un genocidio, o anche solo di pronunciare questa frase, può compromettere la mia capacità di raggiungere il pubblico israeliano, così sia.

Greenberg: È un po’ complicato. Mi piacerebbe molto dirle di sì, perché penso che il militarismo sia una delle cose peggiori. All’età di 12 anni ho deciso di arruolarmi perché capivo che questo era il mio modo di integrarmi nella società israeliana, e credo che sia stata una delle osservazioni più accurate che abbia mai fatto. È una grande ingiustizia per tutti coloro che sono cresciuti in questa società: è questo il modo di farne parte? Purtroppo la risposta è sì. Ma il rifiuto pubblico ha anche un aspetto militantista, di mobilitazione per una causa, solo diversa.

Vi siete preparati per la prigione? Avete parlato con i refuseniks che hanno già scontato la pena?

Mueller: All’interno di Mesarvot, c’è un ruolo chiamato scorta: un ex refusenik che ha scontato la pena in carcere e aiuta a preparare il futuro refusenik – sia che si tratti di preparazione mentale riguardo alle difficoltà del processo che porta all’incarcerazione, sia che si tratti di capire la vita in carcere, di imparare trucchi che possono rendere più facile la vita quotidiana, di conoscere le leggi, le procedure e la routine.

Più o meno come un programma di preparazione pre-militare.

Greenberg: Un corso preparatorio al rifiuto – questo è il sogno.

Moav: Il consiglio principale era che più parli, più vieni fregato.

Libri e CD sono ammessi all’interno del carcere, previa ispezione e approvazione all’ingresso. Cosa porterete con voi?

Mueller: Prima di tutto, “Israeliani e Palestinesi: From the Cycle of Violence to the Conversation of Mankind” diJonathan Glover. È un libro fantastico ma difficilissimo, e lo sto leggendo lentamente. Porterò anche “La più grande prigione della Terra” di Ilan Pappe e molta prosa ebraica. Ho un CD di Johnny Cash, “At Folsom Prison”, che ha registrato in una prigione federale degli Stati Uniti. Ho anche un CD degli OutKast che mi è stato regalato dal refusenik Ben Arad e che non vedo l’ora di portare con me.

Greenberg: Ho diversi libri di economia. Il mio obiettivo è avere la legittimità di esprimere un’opinione economica, perché al momento non capisco l’economia. Ho un libro sull’economia vietnamita, per esempio.

Moav: Porterò con me alcune buone opere di Marx e altri classici che in carcere mi sarà più facile leggere. Devo continuare a imparare.

Itamar, lei è cresciuto in una casa ultraortodossa e il giorno in cui si presenta al centro di reclutamento, i manifestanti Haredi stanno manifestando nello stesso luogo contro la coscrizione obbligatoria. Come vede la loro lotta contro la leva?

Greenberg: Posso capire la giustificazione degli ultraortodossi che si rifiutano di arruolarsi: viola la loro religione, quindi non hanno interesse ad accettarla. Posso anche capire il sentimento dei “Dalabim” [acronimo ebraico per “democrazia per soli ebrei”, riferito alla maggior parte del movimento di protesta di massadell’anno scorso contro la revisione giudiziaria del governo di estrema destra] secondo cui l’onere [della sicurezza] dovrebbe essere equamente condiviso.

Dobbiamo lavorare per integrare gli ultraortodossi nella società israeliana e lavorare per l’uguaglianza – ma non attraverso l’uguaglianza nell’uccidere e opprimere. Se non abbiamo avuto sicurezza con 300.000 soldati, non l’avremo nemmeno con 360.000.

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*Oren Ziv è un fotoreporter, reporter di Local Call e membro fondatore del collettivo fotografico Activestills.