di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 18 settembre 2024 – Juan Lopez lottava da anni per proteggere il suo territorio e impedirne la devastazione, finché, sabato scorso, il 46enne è stato ucciso a colpi di pistola da alcuni sicari mentre usciva da una chiesa a Tocoa, una località sulla costa atlantica dell’Honduras.
L’ennesimo omicidio di un attivista che si batteva per la difesa per l’ambiente nel piccolo paese centroamericano, avvenuto lo scorso 14 settembre, segue di alcuni mesi l’assassinio di tre attivisti sempre nella stessa località.
Lopez era un impiegato comunale e faceva parte del “Comitato per la difesa dei beni comuni e pubblici”, impegnato da anni in una campagna per la difesa di due fiumi e contro l’estrazione del ferro in una miniera a cielo aperto nel territorio di Tocoa, teoricamente protetto da una riserva forestale.
Lo scorso 24 giugno l’attivista aveva reclamato le dimissioni del sindaco Adàn Fúnez Martìnez, dopo che questi ed altri funzionari del partito di governo – “Libre” – erano apparsi in un video mentre, nel 2013, negoziavano delle tangenti con alcuni narcotrafficanti. Nel video, reso noto recentemente, appariva anche Carlos Zelaya, cognato dell’attuale presidente dell’Honduras, Xiomara Castro. In seguito alla diffusione delle immagini Zelaya ha dovuto dimettersi dal suo seggio al congresso.
Già nel 2021, nel corso di un’intervista, Juan Lopez aveva descritto i rischi affrontati in Honduras dai difensori del territorio e dell’ambiente contro gli interessi delle multinazionali e delle bande criminali. «Se si comincia a difendere gli interessi comuni di questo Paese ci si scontra con gli interessi privati. Quando esci di casa non sai mai se tornerai» aveva detto all’agenzia Afp.
Viste le continue minacce nei suoi confronti, la “Commissione interamericana per i diritti umani” aveva ordinato al governo dell’Honduras di adottare misure di protezione nei suoi confronti che però sono state completamente inefficaci.
L’omicidio politico non rappresenta purtroppo un caso isolato, in un paese che il report annuale dell’ong Global Witness segnala come quello con il più alto numero di attivisti ambientali assassinati in proporzione alla popolazione.
Nel 2023 con 18 omicidi di attivisti ambientali (che diventano 148 se si prendono in considerazione gli ultimi 10 anni), l’Honduras si è piazzato in terza posizione – per quanto riguarda i numeri assoluti – solo dopo Colombia e Brasile.
Secondo il report pubblicato da Global Witness, intitolato “Missing Voices”, nel 2023 sono stati assassinate, nel mondo, quasi 200 persone a causa del loro impegno nella difesa dei loro territori e delle loro comunità dalla devastazione ecologica e sociale. Le cifre reali, spiegano all’associazione, in realtà sono sicuramente più alte, perché alcuni omicidi causati da moventi di tipo economico e politico ai danni degli attivisti ambientali sfuggono al conteggio.
Dall’approvazione dell’accordo di Parigi contro il cambiamento climatico nel dicembre del 2015, segnala l’ong, nel mondo sono morti 1500 attivisti e attiviste.
Oltre a quelli assassinati, decine di migliaia di persone sono state sottoposte a minacce, percosse, torture, attentati e campagne di criminalizzazione organizzate da governi locali o statali, imprese o media.
La maggior parte degli omicidi rilevati nel 2023, l’85%, sono stati registrati in America Latina.
Lo scorso anno 79 delle 196 vittime totali contabilizzate (nel 2022 erano state 60) sono state registrate nella sola Colombia, paese in cui dal 2012 – anno in cui l’ong ha cominciato a monitorare i crimini compiuti contro gli ecologisti – sono stati uccisi almeno 461 attivisti ambientali. Nella maggior parte dei casi, gli omicidi sono stati eseguiti da gangster o paramilitari al servizi di imprese locali o multinazionali legate all’estrazione mineraria, alla deforestazione, alla pesca industriale, all’agroindustria, alla realizzazione di infrastrutture di vario tipo e di centrali idroelettriche.
«Anche se il presidente Gustavo Petro si è impegnato a reprimere il fenomeno, finora le sue promesse non hanno prodotto una diminuzione delle rappresaglie contro gli attivisti» segnala Global Witness.
Dopo la pubblicazione di “Missing Voices”, il governo di Bogotà ha diffuso una dichiarazione in cui lamenta il suo “disonorevole” primato per il secondo anno consecutivo, attribuito ai «conflitti socio-ecologici associati al narcotraffico, alle pratiche estrattive illecite e alla riconfigurazione del conflitto armato» che vede esercito, paramilitari e narcos scontrarsi in diverse regioni del paese.
In Brasile, invece, lo scorso anno sono state uccisi 25 attivisti e attiviste, mente 18 sono le vittime registrate nel 2023 in Messico.
In Centro America, oltre ai 18 uccisi in Honduras, si contano 10 vittime in Nicaragua e 4 nella “tranquilla” Panama. In questa piccola porzione dell’America Latina, segnala Global Witness, metà delle vittime erano indigeni.
Nel resto del pianeta spiccano le Filippine, dove dal 2012 sono stati uccisi 298 attivisti ambientali.
Il rapporto menzione il caso di Jonila Castro, un’attivista filippina rapita dall’esercito filippino nel 2023 e poi colpita da alcuni provvedimenti punitivi da parte del governo di Manila:
«Anche dopo la nostra liberazione dal rapimento, le minacce sono continuate. Stiamo affrontando difficoltà nel tornare alle nostre case e comunità. Stiamo ancora subendo sorveglianza e intimidazioni. La devastazione ambientale e le violazioni dei diritti umani sono interconnesse, entrambe sostenute dai governi e dai sistemi estrattivi che difendono».
«Mentre la crisi climatica accelera, coloro che usano la loro voce per difendere coraggiosamente il nostro pianeta vengono accolti con violenza, intimidazioni e omicidi. I nostri dati mostrano che il numero di omicidi rimane allarmantemente alto, una situazione semplicemente inaccettabile» ha spiegato Laura Furones, una delle autrici del rapporto di Global Witness.
«I governi non possono restare inerti; devono adottare misure decisive per proteggere i difensori e affrontare i fattori scatenanti della violenza contro di loro. Gli attivisti e le loro comunità sono essenziali negli sforzi per prevenire e porre rimedio ai danni causati dalle imprese che danneggiano il clima. Non possiamo permetterci di perdere altre vite, né dovremmo tollerarlo» ha aggiunto Furones.
Anche se nel nord del pianeta le cose vanno decisamente meglio e non si segnalano quasi episodi violenti nei confronti degli attivisti ambientali, l’ong Climate Rights International segnala comunque un aumento delle misure repressive adottate dai governi – dalla Russia all’Unione Europea agli Stati Uniti – contro le organizzazioni che si battono in maniera radicale contro il cambiamento climatico e il rispetto dei diritti umani e sociali.
Negli ultimi mesi sono stati registrati un numero crescente di arresti e detenzioni preventive contro gli organizzatori di proteste pacifiche, quando non l’approvazione di leggi che trasformano in un reato forme di mobilitazione prima tollerate.
Anche in Italia sono stati approvati prima il ddl contro i cosiddetti “eco-vandali”, che ha inasprito le sanzioni contro chi imbratta dei monumenti anche se con vernice lavabile per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni, e una norma che prevede il carcere da sei mesi a due anni per i protagonisti di blocchi stradali. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria