di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 27 settembre 2024 – È di nuovo tornata a salire la tensione nel Corno d’Africa, regione già scossa nel corso degli ultimi anni da una sanguinosa guerra civile che ha sconvolto l’Etiopia e dagli scontri in Somalia tra le forze governative – sostenute da contingenti militari di altri paesi africani – e le organizzazioni jihadiste.

Ad alimentare la tensione sono soprattutto lo scontro tra Mogadiscio e Addis Abeba e la guerra dell’acqua tra Egitto ed Etiopia. In questo quadro si inseriscono la storica inimicizia tra Eritrea ed Etiopia e le mire espansionistiche turche.

Armi egiziane alla Somalia
Nei giorni scorsi il regime di Al Sisi ha consegnato alla Somalia un carico di armi pesanti così come previsto dal recente accordo di cooperazione militare siglato dal Cairo con Mogadiscio. I militari egiziani avrebbero scaricato nel porto della capitale somala, nel frattempo chiuso al traffico commerciale, un carico che comprende obici, missili anticarro, munizioni e altri materiali bellici.

Poco prima il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty, nel corso di un incontro con il segretario di Stato americano Antony Blinken, aveva ribadito il proprio sostegno «all’indipendenza e all’integrità territoriale della Somalia», imitato dal suo omologo statunitense.

Nel tentativo di isolare l’Etiopia, sua rivale storica nella regione, l’Egitto ha deciso di sostenere Mogadiscio dopo la firma da parte di Addis Abeba di un’intesa con l’autoproclamata repubblica del Somaliland, una regione settentrionale della Somalia che nel 1991 ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza.

In base all’accordo, l’ex colonia britannica concederebbe ad Addis Abeba venti chilometri di costa per realizzare un porto commerciale a Berbera, sul Mar Rosso. In cambio di uno strategico accesso al mare e alle rotte marittime internazionali, che l’Etiopia ha perso dopo l’indipendenza dell’Eritrea all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, Addis Abeba si impegna – anche se in maniera abbastanza vaga – a sostenere l’indipendenza della regione separatista.

Dopo la firma dell’accordo, la Somalia ha interrotto i rapporti diplomatici con l’Etiopia e ne ha espulso l’ambasciatore, e la tensione è rapidamente salita. Già ad agosto l’Egitto aveva inviato un primo carico di armi alla Somalia.

I militari egiziani in Somalia
L’accordo militare prevede inoltre che un contingente militare egiziano forte di cinquemila soldati si unisca alla terza missione dell’Unione Africana che verrà dispiegata in Somalia a fine anno per contrastare le milizie islamiste di al-Shabaab.

Da questa missione, invece, saranno esclusi i tremila militari etiopi finora dispiegati con lo stesso compito nel paese, mentre altri cinquemila uomini provenienti dal Cairo saranno stanziati in Somalia grazie ad un accordo bilaterale.

Secondo voci non confermate, il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud, eletto nel 2022, potrebbe addirittura concedere ai soldati egiziani una base nel centro-sud del paese dopo aver concesso ben cinque installazioni militari agli Stati Uniti.

La reazione dell’Etiopia
La reazione etiope agli accordi raggiunti tra Egitto e Somalia non si è fatta attendere. Dopo l’annuncio del dispiegamento di soldati egiziani negli stati regionali somali di Hirshabelle e di Galmudug, l’Etiopia ha schierato centinaia di militari e di veicoli blindati alla frontiera con il suo vicino. In seguito, i militari di Addis Abeba hanno occupato alcuni aeroporti nella regione somala di Ghedo, dove una parte della popolazione e delle autorità locali sostiene Addis Abeba, per impedire o quantomeno ritardare il dispiegamento delle truppe egiziane in un territorio in cui la maggior parte delle vie di comunicazione terrestre è controllata da al-Shabaab.

Nel tentativo di destabilizzare la Somalia, l’Etiopia ha inoltre rafforzato le proprie relazioni con il Puntland, un altro stato regionale somalo da decenni in conflitto con il governo federale. Secondo il presidente Mohamud, l’Etiopia avrebbe inviato in Puntland un carico di armi destinato alle milizie locali.

«Questa azione costituisce una grave violazione della sovranità della Somalia e pone serie implicazioni per la sicurezza nazionale e regionale» ha denunciato in un comunicato il ministero degli Esteri somalo, secondo il quale Addis Abeba avrebbe rifornito di armi anche le milizie della regione somala di Galmudug e di Baidoa, anch’esse in rotta con il governo federale.

A causa dell’aumento della tensione, l’Egitto ha chiesto ai propri cittadini di lasciare il Somaliland, mentre le autorità dell’autoproclamata repubblica hanno chiuso la Biblioteca culturale egiziana di Hargheisa, invitando il personale a lasciare la regione entro 72 ore.

La guerra dell’acqua
Ad opporre l’Egitto all’Etiopia, ormai da tempo, è la scelta di Addis Abeba di completare i lavori per la costruzione della Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd), un’enorme diga sul corso del Nilo Blu. La “diga della Rinascita”, la cui costruzione è iniziata nel 2011 e il cui riempimento è quasi completo, serve ad alimentare due grandi centrali idroelettriche che a regime dovrebbero produrre 15700 Gwh annui, energia sufficiente a permettere l’elettrificazione di molte regioni dell’Etiopia e a trasformare il paese in un esportatore di elettricità.

Nonostante le rimostranze dell’Egitto e del Sudan, secondo i quali la deviazione del fiume causerà la siccità nei loro paesi e un crollo dei raccolti agricoli, il premier etiope Abiy Ahmed Ali ha imposto il completamento della grande opera, realizzata dal Webuild Group, azienda amministrata dall’italiano Pietro Salini.

Nella disputa creata dall’accordo tra Etiopia e Somaliland si sono infilate poi anche la Turchia (che proprio recentemente si è riavvicinata dall’Egitto dopo anni di inimicizia) e l’Eritrea. Entrambi i paesi si sono schierati con la Somalia.

L’Eritrea si avvicina all’Egitto
L’Egitto ha intenzione di siglare con l’Eritrea un’intesa militare simile a quella raggiunta con la Somalia, allo scopo formale di “proteggere” la navigazione nel Mar Rosso dagli attacchi dei pirati e di altre entità non meglio precisate.

Secondo il quotidiano emiratino “The National”, inoltre, l’Egitto starebbe offrendo ad Asmara la propria mediazione nel conflitto in corso ormai da decenni fra il governo eritreo e il Fronte di liberazione popolare del Tigrè (Tplf), protagonista della guerra conclusa due anni fa che l’ha contrapposto all’esercito etiope. Allo scopo, la scorsa settimana il capo dell’intelligence egiziana Kamal Abbas e il ministro degli Esteri del Cairo Abdelatty hanno incontrato ad Asmara il dittatore eritreo Isaias Afewerky.

La Turchia allunga i tentacoli nel Corno d’Africa
Da parte sua la Turchia ha deciso di inviare delle navi da guerra per sorvegliare le operazioni di estrazione del petrolio, che il governo di Mogadiscio ha di fatto affidato ad Ankara in molti tratti al largo della costa della Somalia. Secondo le stime del dipartimento del commercio di Washington, la Somalia avrebbe riserve di petrolio e gas per un totale di 30 miliardi di barili.

La società Turkish Petroleum possiede la licenza di estrazione in tre aree delle coste territoriali somale, ognuna delle quali con una superficie di 5 mila km quadrati, e ora Erdogan ne sta approfittando per proiettare la propria presenza militare nel quadrante, giustificata dall’esigenza di proteggere le attività dai pirati.

D’altronde nel febbraio scorso la Turchia ha già siglato un accordo di difesa navale con la Somalia che autorizza le forze armate di Ankara a pattugliare le coste somale per i prossimi dieci anni. Sul fronte terrestre, i militari turchi sono già presenti in Somalia da dieci anni, impegnati ad addestrare e sostenere le truppe locali.

I paesi coinvolti dalla crisi sono molti e gli interessi in ballo enormi. Il Corno d’Africa è sempre più una polveriera sul punto di esplodere. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria