di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 18 gennaio 2024 – L’accordo firmato il primo gennaio tra Etiopia e Somaliland – uno stato della Somalia che rivendica la propria indipendenza da Mogadiscio – per dotare Addis Abeba di uno sbocco al mare ha già provocato una seria crisi regionale che rischia di degenerare nell’ennesimo conflitto armato.

Uno sbocco al mare per fare grande l’Etiopia
L’utilizzo del grande porto di Berbera, la città costiera del Somaliland oggetto delle mire di Addis Abeba, concederebbe all’Etiopia un accesso diretto al Golfo di Aden e quindi al Mar Rosso, una delle rotte economicamente più redditizie e importanti anche dal punto di vista strategico. L’intesa potrebbe avere infatti anche un risvolto militare, come testimonia un recente incontro tra i capi di stato maggiore degli eserciti dei paesi contraenti. Nell’area di 20 chilometri di coste che il Somaliland assegnerebbe all’Etiopia per 50 anni, o secondo alcune fonti a Lughaya, nella regione di Adal, Addis Abeba ha intenzione di costruire una base navale.

L’intesa preoccupa molti paesi
Non stupisce che il progetto abbia suscitato, oltre a quella somala, la contrarietà di diversi paesi – dagli Stati Uniti al Regno Unito, dall’Egitto alla Turchia all’Arabia Saudita – che considerano contraria ai propri interessi una crescita del ruolo geopolitico dell’Etiopia e la destabilizzazione della regione.
Il memorandum rischia inoltre di far entrare Addis Abeba in contraddizione con la Cina, con cui negli ultimi anni l’Etiopia ha sviluppato relazioni preferenziali. Non solo il Somaliland è riconosciuto solo da Taiwan, territorio a sua volta rivendicato da Pechino, ma l’accordo consente ad Addis Abeba di bypassare del tutto Gibuti, paese che finora ha assicurato l’85% delle importazioni e delle esportazioni etiopi e nel quale è presente la più grande base militare cinese all’estero, inaugurata nel 2017. É anche vero che senza uno sbocco al mare l’Etiopia rischia di rimanere in gran parte tagliata fuori dalle potenzialità offerte dalla “Belt and Road Initiative”, l’enorme progetto infrastrutturale guidato proprio dalla Cina.

Il Somaliland spera nell’effetto domino
Secondo vari media regionali, tra cui il sito “Garowe Online”, nei prossimi giorni il primo ministro etiope Abiy Ahmed intende visitare Berbera. La stessa visita di Ahmed costituirebbe una forma di legittimazione per la regione de facto indipendente, rappresentando quindi un’inaccettabile provocazione per la Somalia. Il Somaliland sorge sui territori occupati e amministrati dall’Impero Britannico dal 1884 al 1960, quando la regione ottenne l’indipendenza ma decise di unirsi a quelle liberatesi dal dominio italiano per formare la Repubblica di Somalia. Presto però le tensioni sfociarono in una sanguinosa guerra civile finché nel 1991 l’ex Somalia Britannica ha tagliato completamente fuori Mogadiscio dalla gestione della regione. Da molti anni, poi, il Somaliland è impegnato anche in un conflitto a bassa intensità, causato da contrapposte rivendicazioni territoriali, con il confinante Puntland, stato somalo che pure accampa pretese indipendentiste da Mogadiscio.

Il governo del Somaliland punta molto sull’intesa con Addis Abeba. Nei giorni scorsi, in un’intervista concessa al quotidiano “Observer”, il ministro degli Esteri di Hargheisa (la capitale dell’entità indipendentista) Essa Kayd ha sottolineato che in cambio della concessione all’Etiopia dell’utilizzo di Berbera, il governo etiope dovrà riconoscere formalmente la sovranità del Somaliland. Hargheisa spera che il passo possa generare un effetto domino in Africa e nel resto del mondo spianando la strada ad un ampio riconoscimento internazionale.

Manifestazione in Somalia contro l’intesa tra Etiopia e Somaliland

La “prigione geografica” è una “ingiustizia storica”
Per ora il premier etiope sembra cauto sul riconoscimento formale del Somaliland, ma Ahmed insiste sull’urgenza di risolvere quella definisce «un’ingiustizia storica», ricordando che a partire dal 1993 – quando l’indipendenza dell’Eritrea sottrasse all’Etiopia centinaia di km di coste – il suo paese è diventato il più grande al mondo senza accesso al mare e che «quest’errore minaccia l’esistenza stessa del popolo etiope». «Nel 2030 avremo 150 milioni di abitanti, che non possono vivere in una prigione geografica» ha affermato il leader etiope.

Ad ottobre il governo etiope ha presentato in parlamento un documento intitolato “Interesse nazionale dell’Etiopia: principi e contenuti” nel quale per la prima volta la rivendicazione di un accesso al mare veniva tramutata in azione concreta.

Tra la fine di ottobre e i primi di novembre, il governo etiope ha poi avanzato alla Somalia, all’Eritrea, al Sudan, al Kenya e a Gibuti la richiesta di concedergli l’uso di alcune porzioni delle loro coste, ricevendo però in cambio dei secchi dinieghi. A quel punto le attenzioni di Addis Abeba si sono concentrate sul Somaliland che, pur essendo uno stato indipendente solo de facto, si è dimostrato interessato alla proposta.

La miccia accesa da Ahmed rischia di accendere il Corno d’Africa
La strategia di Ahmed però rischia ora di accendere una nuova miccia in una regione dove sono già attivi numerosi conflitti e dove altri potrebbero esplodere. La stabilità stessa dell’Etiopia è minata dagli scontri etnici e tribali in numerose regioni, a partire dal Tigray e dall’Oromia, e le condizioni economiche del paese sono peggiorate a tal punto che per pagare l’affitto del territorio concesso dal Somaliland Addis Abeba ha offerto una parte delle azioni della propria compagnia aerea e della Ethio-Telecom.

Nei giorni scorsi il governo somalo ha ottenuto dal proprio parlamento un documento che dichiara “nullo” l’accordo siglato da Etiopia e Somaliland. In un intervento televisivo, poi, il premier Hamza Abdi Barre ha dichiarato che in caso di «intervento etiope in territorio somalo» Mogadiscio sarà costretta ad una risposta militare. Nei giorni scorsi il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud aveva già affermato che Mogadiscio «è in grado di combattere contemporaneamente i terroristi di al Shabaab e gli invasori etiopi».

In realtà da alcuni anni un numeroso contingente di truppe etiopi è presente nelle regioni meridionali somale per affiancare, insieme agli eserciti di altri paesi africani, il debole governo di Mogadiscio nel contrasto alle bande di fondamentalisti islamici. Secondo varie segnalazioni le truppe etiopi schierate nel sud della Somalia starebbero già rafforzando la propria presenza e scavando trincee.

La sortita etiope e la dura reazione somala hanno spinto gli organismi regionali a convocare riunioni urgenti dirette a impedire l’allargamento della crisi. Ieri è stata la Lega Araba a riunire la propria direzione, precedendo di un giorno il vertice dell’Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo (Igad, che riunisce i paesi del Corno d’Africa), convocato in Uganda dal governo di Gibuti che esprime attualmente la presidenza di turno dell’organismo. Sia l’Igad sia l’Unione Africana hanno esortato i due paesi a non esasperare la crisi dopo il richiamo da parte somala dell’ambasciatore ad Addis Abeba. Ma il ministero degli Esteri etiope ha fatto sapere che non parteciperà al meeting ad Entebbe, adducendo difficoltà logistiche.

Inoltre ieri le autorità somale preposte al controllo del traffico aereo hanno bloccato un volo dell’Ethiopian Airlines diretto ad Hargeisa, che secondo alcune indiscrezioni ospitava a bordo dei rappresentanti diplomatici etiopi.

Repressione in Somaliland contro i contrari all’intesa
Invece le autorità del Somaliland hanno arrestato l’ex ministro dell’Agricoltura, Ahmed Mumin, a causa delle sue dichiarazioni negative a proposito dell’accordo firmato da Ahmed e dal leader locale Muse Bihi Abdi. L’arresto dell’esponente politico segue quello di diverse persone, tra cui alcuni giornalisti, che hanno espresso la propria contrarietà all’accordo con Addis Abeba. Il ministro della Difesa, Abdiqani Mohamud Aateeye, si è invece dimesso contro quella che definisce una minaccia alla sovranità del Somaliland.

La contesa sulla Gerd
Per tentare di convincere i paesi vicini a concedere all’Etiopia l’agognato sbocco al mare, Ahmed ha proposto di barattare alcune delle quote della Grande Diga della Rinascita Etiope (Gerd) che Addis Abeba ha realizzato sul Nilo Azzurro, fortemente contestata però da Egitto e Sudan che accusano il vicino di ridurre la portata del fiume e di mettere a rischio il proprio approvvigionamento idrico e la propria agricoltura. Ma poi, approfittando del relativo coinvolgimento dell’Egitto nella gravissima crisi di Gaza e della guerra civile in corso in Sudan, Addis Abeba ha avviato nei giorni scorsi il processo di completamento dei lavori che apre la strada al quinto e definitivo riempimento del bacino della grande infrastruttura. Il ministro degli Esteri etiope Demeke Mekonnen ha accusato l’Egitto per il fallimento dei negoziati intavolati negli ultimi mesi.
All’opposto, il governo egiziano ha denunciato che le azioni “unilaterali” di Addis Abeba riguardo al riempimento e alla gestione della diga costituiscono una “guerra esistenziale” per l’Egitto e minacciano la sua stabilità.

La controffensiva somala
Dopo l’annuncio dell’intesa tra Etiopia e Somaliland, il presidente somalo Mohamud ha lanciato una controffensiva diplomatica diretta ad assicurarsi il sostegno dei paesi dell’area che hanno dei contenziosi con Addis Abeba, in particolare l’Eritrea – che pure ha partecipato con le sue truppe alla guerra lanciata da Ahmed contro il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray – e l’Egitto.
Mohamud ha ricevuto a Mogadiscio una delegazione egiziana e poi è volato ad Asmara per consolidare le relazioni con il dittatore Isaias Afewerki, che in Eritrea garantisce da tempo ai soldati somali l’addestramento necessario al contrasto militare dei miliziani integralisti di al Shabaab affiliati ad al Qaeda. In un comunicato, i delegati del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi hanno ribadito un «incrollabile sostegno alla sovranità, all’unità e all’integrità territoriale della Somalia».
Anche il governo di Gibuti ha ovviamente espresso «preoccupazione» per la mossa etiope.

L’Etiopia, invece, dovrebbe poter contare sul sostegno degli Emirati Arabi Uniti, che hanno ceduto ad Addis Abeba armi e droni durante l’offensiva in Tigray e che vantano già una presenza militare e commerciale a Berbera, grazie ad un patto del 2019 che affidava il 51% della gestione del porto al gigante emiratino della logistica DP World, il 19% all’Etiopia e il 30% al Somaliland. – Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria