di Michelangelo Cocco – Rassegna Cina

(nella foto Xinhua, la fabbrica di Li Auto a Changzhou, nella provincia del Jiangsu)

Pagine Esteri, 8 ottobre 2024 – La cosiddetta “saga dei veicoli elettrici” si è conclusa (ma, come vedremo, forse è ancora presto per pronunciare la parola “fine”) il 4 ottobre scorso, con l’imposizione da parte della Commissione europea di pesanti dazi sull’importazione nell’Ue delle auto elettriche (Ev) prodotte in Cina. In questa newsletter esamineremo il provvedimento approvato e le sue ripercussioni all’interno e nei rapporti tra i due blocchi.

La prima cosa da sottolineare è che la posta in gioco è davvero alta: siamo di fronte a una delle più importanti dispute commerciali di sempre tra la Cina e l’Unione europea.

Nell’Ue il settore automotive – indotto compreso – dà lavoro a circa 10 milioni di persone, ma i produttori europei sono rimasti indietro rispetto a quelli cinesi per quanto riguarda gli Ev. E l’Ue ha stabilito che dal 2035 nel mercato comunitario non potranno essere vendute nuove auto che non siano a emissioni zero.

Il rapporto sul futuro della competitività europea presentato al parlamento di Strasburgo da Mario Draghi per industrie come quella dei veicoli a batteria ha invocato protezioni commerciali «caute, difensive e progettate soprattutto per livellare il campo di gioco».

Per la Cina quella degli Ev è un’industria strategica, avendo scalzato nel 2023 (assieme a quella delle batterie e dei pannelli solari) dai gradini più alti del podio dei principali prodotti di esportazione i “tre vecchi” a basso valore aggiunto: abbigliamento, elettrodomestici, mobili.

Venerdì 4 ottobre l’Unione europea si è spaccata sul voto sull’aumento dei dazi di importazione per i veicoli elettrici (Ev) prodotti in Cina. Non essendo stata raggiunta la maggioranza qualificata richiesta per deliberare (15 o più paesi che abbiano complessivamente almeno il 65 per cento della popolazione complessiva dell’Ue), per superare l’impasse la Commissione ha esercitato i suoi poteri esclusivi in materia di politica commerciale, imponendo l’incremento dei dazi, che sarà effettivo dal 31 ottobre prossimo, rimanendo in vigore per cinque anni.

Le nuove tariffe (che si sommeranno a quelle attuali del 10 per cento) sono così ripartite tra le diverse case automobilistiche:

  • SAIC 35,3 per cento
  • Geely 18,8 per cento
  • BYD 17 per cento
  • Tesla 7,8 per cento
  • Altri produttori che hanno collaborato con l’inchiesta della Commissione 20,7 per cento
  • Altri produttori che non hanno collaborato con l’inchiesta della Commissione 35,3 per cento

L’aumento dei dazi è stato deciso al termine di un’anomala inchiesta “anti-sussidi” avviata ex officio dall’esecutivo comunitario, che ha ha rilevato una minaccia futura per il mercato europeo dell’automotive, a causa del vantaggio competitivo delle auto elettriche “made in China”, che – secondo l’Ue – è in gran parte il risultato di sussidi, lungo tutta la catena di produzione: dai suoli concessi a prezzo scontato alle fabbriche da parte dei governi locali, alle forniture di litio e batterie a prezzi inferiori a quelli di mercato da parte di imprese statali, alle agevolazioni fiscali e ai finanziamenti al di sotto del tasso di interesse da parte delle banche controllate dallo stato.

Sul consistente incremento delle tariffe d’importazione, l’Unione europea si è divisa, con la Francia fautrice dell’inchiesta e capofila dei paesi favorevoli, la Germania di quelli contrari, e la maggior parte dei governi che ha preferito astenersi.

  1. FAVOREVOLI (45,99 per cento della popolazione europea):

Francia, Italia, Polonia, Olanda, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Irlanda, Lituania, Lettonia;

  1. CONTRARI (22,65 per cento della popolazione europea):

Germania, Ungheria, Malta, Slovenia, Slovacchia;

  1. ASTENUTI (31,36 per cento della popolazione europea):

Spagna, Svezia, Finlandia, Repubblica ceca, Grecia, Croazia, Cipro, Lussemburgo, Portogallo, Romania, Finlandia, Austria.

Da un punto di vista politico, la “saga dei veicoli elettrici” evidenzia:

  1. la riaffermazione della linea anti-Cina della nuova Commissione, presieduta dalla rieletta Ursula von der Leyen;
  2. senza esito invece – almeno finora – gli sforzi negoziali (ovvero la carota, alternata al bastone) della Cina, che negli ultimi mesi ha mobilitato la sua diplomazia e avviato una serie di “contro-inchieste”, nel tentativo di scongiurare l’aumento dei dazi;
  3. e, soprattutto, è risultata sconfitta la Germania, il cui settore dell’automotive è intimamente legato alla Cina (e che è dunque più esposta rispetto agli altri paesi dell’Ue), che – a differenza che nel passato – si è dimostrata incapace di costruire alleanze europee a difesa dei propri interessi nazionali.

Transport & Environment prevede che a partire da quest’anno gli Ev importati dalla Cina supereranno il 25 per cento del mercato europeo e che tra questi i brand cinesi saranno la maggioranza già a partire dal 2025, e aumenteranno costantemente

La consultazione di venerdì scorso ha lasciato aperto uno spiraglio per soluzioni alternative all’incremento dei dazi, in quanto la Commissione ha consentito alle case automobilistiche che producono in Cina di presentare offerte di impegno sui prezzi minimi (e/o volumi massimi) a cui vendere i loro Ev nell’Ue dopo l’entrata in vigore dei dazi il 31 ottobre 2024. Se queste offerte venissero accettate, le dogane smetterebbero di riscuotere i nuovi dazi sui marchi che beneficiano delle misure alternative.

Le stesse case automobilistiche potranno richiedere dazi su misura, come ha fatto Tesla.

È tuttavia evidente che prezzo minimo, volumi massimi e tariffe su misura (che andrebbero negoziati, senza interventi governativi, tra singola azienda e funzionari UE) dovrebbero essere proporzionati all’entità dei sussidi statali ricevuti – secondo l’inchiesta della Commissione – dalla singola compagnia.

Una valutazione dell’impatto che le nuove misure protezionistiche varate dall’Ue potranno avere sui costruttori cinesi di Ev non può che essere approssimativa. BYD (di gran lunga la numero uno in Cina) potrebbe non essere danneggiata in maniera particolare. Il colosso di Shenzhen ha infatti la capacità di assorbire una riduzione dei profitti risultato dell’incremento dei dazi, senza scaricarla sul consumatore. Inoltre BYD ha avviato la costruzione di un impianto di produzione in Ungheria (all’interno dell’Ue) che dovrebbe iniziare a sfornare 200.000 auto all’anno a partire dal 2025 e ne dovrebbe inaugurare un altro entro il 2026 in Turchia, membro dell’Unione doganale dell’Ue (Eucu).

Su altri produttori invece le ripercussioni potrebbero essere ben più pesanti: riducendo la capacità di compensare con i profitti all’estero (dove gli Ev cinesi vengono venduti a un prezzo circa il doppio di quello in Cina) le perdite causate dalla guerra dei prezzi con la quale in patria si stanno contendendo da due anni quote di mercato, l’incremento dei dazi d’importazione nel mercato europeo (che segue quello del 100 per cento sugli Ev cinesi decretato in Nord America) potrebbe accelerare il processo di ristrutturazione e consolidamento di un mercato interno attualmente affollato da decine di brand e centinaia di modelli.

I dazi varati non fermano il negoziato tra Bruxelles e Pechino, che è ripartito oggi ma che resta salita. Con un editoriale dell’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, il governo di Pechino ha avvertito che «i dazi protezionistici dell’Unione europea sugli Ev cinesi minacciano la cooperazione e la transizione verde».

Se nelle prossime settimane non sarà raggiunto un accordo di compromesso, Pechino ha già pronta la rappresaglia, che potrà colpire una serie di settori sui quali ha avviato inchieste anti-dumping e anti sussidi. In particolare:

  • sulle importazioni di carne di maiale, che arrivano principalmente dalla Spagna (che sui dazi si è astenuta), dalla Danimarca e dall’Olanda (entrambe favorevoli);
  • sulle importazioni di latticini, rispetto alle quali i paesi più esposti sono Irlanda, Francia e Olanda (tutti e tre hanno votato “sì”);
  • sulle importazioni di Cognac, con la Francia nel mirino;
  • sulle importazioni di auto di grossa cilindrata, che colpirebbe Germania e Slovacchia (entrambi i paesi hanno però votato contro l’aumento dei dazi). Pagine Esteri