di Ahmed Abu Abu*Mondoweiss

(traduzione di Amedeo Rossi per Zeitun.info)

Come capo della gestione della salute e dell’ambiente del Comune di Gaza City sono responsabile del trattamento e smaltimento di ogni tipo di rifiuti, compresi quelli casalinghi, sanitari, industriali, agricoli e marini. Con una popolazione che supera le 800.000 persone la nostra città produce oltre 700 tonnellate di rifiuti al giorno. Già prima che il 7 ottobre, quasi un anno fa, iniziasse il genocidio da parte di Israele, era difficile gestire questa quantità di rifiuti in una città sotto assedio. Durante gli ultimi vent’anni l’occupazione israeliana ci ha impedito sistematicamente di importare o costruire le attrezzature necessarie, compresi camion della spazzatura o strutture per il trattamento dei rifiuti, per svolgere il nostro lavoro. Dopo che il genocidio è iniziato l’occupazione israeliana, con l’obiettivo di creare una crisi ambientale e sanitaria a Gaza, ha lanciato una guerra contro ogni nostra struttura sanitaria e i sistemi per il trattamento dei rifiuti.

Nel corso degli anni ho vissuto vari attacchi israeliani contro Gaza — nel 2008, 2012, 2014 e 2021. Ogni volta ci siamo adattati e abbiamo continuato a svolgere i nostri servizi essenziali. Ma questa guerra è diversa da tutte quelle che abbiamo visto. Non è solo un ennesimo attacco, ma un genocidio inteso a privare la nostra città della possibilità di funzionare. Ogni giorno sembra una inutile lotta contro il tempo per garantire i servizi essenziali per una città che viene sistematicamente annientata.

L’occupazione ha preso di mira le nostre squadre a Gaza est, dove è situata la nostra discarica, rendendo impossibile trasportarvi la spazzatura e obbligandoci ad ammassarla in mezzo alla città, creando condizioni pericolose per gli abitanti di Gaza.

Fin dall’inizio della guerra mi sono costantemente preoccupato della sicurezza della mia famiglia. Quando l’esercito israeliano ha ordinato l’evacuazione ho portato la mia famiglia a Khan Younis, nel sud, come ci è stato imposto. L’immagine della supplica di mia madre in lacrime perché rimanessi con loro quando ho deciso di tornare a nord mi tormenterà per sempre. Eppure mi sono sentito in obbligo di tornare a Gaza City per continuare il mio lavoro per quanti erano ancora lì. Mentre guidavo da solo di ritorno ho superato un veicolo colpito da un attacco aereo. Ho visto corpi fatti a pezzi lungo la strada e macerie ovunque. Ho accelerato nonostante la paura.

Di ritorno a Gaza ero da solo. Abbiamo lottato per salvare ciò che rimaneva del sistema di gestione dei rifiuti e per fornire servizi operativi di base per quanti erano rimasti. In mezzo a condizioni terribili ho perso oltre 8 kg in un mese. Mia madre non mi ha quasi riconosciuto quanto ci siamo parlati con una videochiamata.

Gestire rifiuti solidi durante un genocidio

Prima del genocidio il blocco ci aveva già impedito di importare gli impianti adatti, come compattatori o inceneritori. Tutto il nostro sistema era già fragile in conseguenza dell’assedio di 17 anni.

Si suppone che la gestione avvenga in tre fasi: raccolta, trasporto e smaltimento. Il blocco ci obbligava a ricorrere a soluzioni di ripiego, come l’uso di 300 carretti trainati da animali, che per anni ha funzionato in città fino a quando è iniziato il genocidio.

Il primo giorno del genocidio le forze israeliane hanno preso di mira i lavoratori della discarica, ferendone molti e distruggendo 1,5 milioni di dollari di equipaggiamento. Non ci è rimasto altro che smaltire i rifiuti nel centro della città in luoghi provvisori come il mercato di Yarmouk e gli spazi aperti nel mercato al-Feras. Queste zone, una volta animate, ora sono sommerse di rifiuti in decomposizione, rappresentando gravi pericoli per la salute dei pochi abitanti che sono rimasti.

Gestire oltre 500 lavoratori è diventato praticamente impossibile. Metà dei miei dipendenti vive nel nord di Gaza, dove nei primi giorni della guerra hanno continuato ad usare carretti. Quando i combattimenti si sono intensificati persino questo sistema non è più stato sicuro. La parte settentrionale di Gaza ha subito pesanti bombardamenti e molti lavoratori sono stati sfollati e si sono rifugiati nelle scuole.

I loro carretti sono stati parcheggiati nei pressi, ma sono stati distrutti dagli attacchi aerei. Molti lavoratori hanno perso i loro mezzi di sussistenza e di sopravvivenza. In un attacco abbiamo perso oltre 40 operatori che si erano rifugiati nel nostro principale garage. Otto missili hanno distrutto oltre 120 veicoli utilizzati per la raccolta dei rifiuti, per la gestione delle acque reflue e le forniture idriche. Metà dei miei dipendenti è stata ferita, molti non saranno più in condizione di tornare al lavoro.

Una città sommersa dai suoi rifiuti

Con più di 150.000 tonnellate di rifiuti accumulati a Gaza City le conseguenze ambientali e sanitarie sono disastrose. L’inverno si avvicina e questi cumuli di spazzatura bloccheranno i sistemi di drenaggio, portando a potenziali inondazioni in una città già devastata. Molti abitanti sfollati che vivono in rifugi provvisori dovranno affrontare l’orrore aggiuntivo di allagamenti. L’aria è densa dell’odore di spazzatura che brucia in quanto gli abitanti disperati cercano di gestire i rifiuti incendiandoli. Il fumo tossico peggiora la situazione, provocando un incremento dei disturbi respiratori. Il ministero della Salute di Gaza ha registrato oltre 250.000 casi di malattie dermatologiche dovuti all’esposizione alla spazzatura. Con rifiuti ospedalieri e pericolosi che si accumulano insieme a quelli domestici siamo sull’orlo di una catastrofica crisi sanitaria.

Il nostro sistema di gestione della spazzatura, una volta fragile ma funzionante, ora è in rovina. Oltre 150.000 tonnellate di rifiuti stanno avvelenando la città e la stagione delle piogge non farà che peggiorare la situazione. Abbiamo urgente bisogno di assistenza. Il sistema infrastrutturale di Gaza sta collassando e la sua gente è sconvolta dal peso del genocidio. Non possiamo sopportare questo per molto tempo ancora. Il mondo deve agire prima che Gaza diventi inabitabile, che la sua gente se ne vada con nient’altro che i ricordi di una città che una volta era fiera di sé e ora è sepolta sotto i suoi rifiuti.

*Ahmed Abu Abdu è un tecnico con una lunga esperienza nella gestione dei rifiuti solidi e in problemi ambientali che attualmente guida le difficoltà delle crisi umanitarie e l’impatto del cambiamento climatico. Con oltre un decennio di esperienza e un passato di gestione di rifiuti pericolosi dal Giappone, è impegnato ad affrontare le molteplici sfide che si trovano di fronte le comunità in zone di conflitto come Gaza.