di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 23 ottobre 2024 – A due settimane dalle presidenziali del 5 novembre, Kamala Harris e Donald Trump cercano di convincere quanti più indecisi a votare per loro, soprattutto negli “swing state”, gli stati in bilico in cui nessuno dei due schieramenti predomina.
Anche se i due candidati vengono dati alla pari, i democratici temono che una parte di coloro che nei sondaggi si sono dichiarati indecisi abbiano in realtà già deciso di votare per Trump ma si vergognino di ammetterlo, falsando così il risultato delle rilevazioni.
Mentre più di 15 milioni di elettori si sono già espressi col voto postale o anticipato (fortemente incentivato da Trump), lo staff di Harris continua a temere il crollo dei consensi per i democratici tra gli elettori delle minoranze etniche, in particolare tra gli afroamericani e i latinos.
Kamala Harris perde arabi e sindacati
Forti preoccupazioni ha destato recentemente la scelta, da parte dell’Arab American Political Action Committee – la lobby politica delle comunità arabe statunitensi – di non sostenere nessuno dei due candidati e anzi di chiedere ai propri aderenti di non sostenerli.
Anche alcuni sindacati che tradizionalmente sostengono i candidati democratici hanno scelto questa volta di non dare indicazioni di voto, o perché indispettiti dal programma centrista della Harris – che ideologicamente è su posizioni ancora più moderate rispetto a Joe Biden – oppure perché consci del fatto che una parte importante della propria base è attratta dal programma economico del miliardario dal ciuffo rosso.
I democratici corteggiano l’elettorato di destra
Un duro colpo per la vicepresidente, che mentre spera che la mobilitazione, forse tardiva, di Barack Obama e Bill Clinton guadagni nuovi consensi tra le minoranze e gli ambienti progressisti, ha iniziato a rincorrere esplicitamente i repubblicani sul loro terreno.
Gli obiettivi della “svolta a destra” negli slogan e dei programmi di Kamala Harris sembrano due: conquistare i consensi di alcuni settori dell’elettorato repubblicano contrariati da Donald Trump che altrimenti potrebbero astenersi o votare, pur turandosi il naso, per il tycoon; convincere settori orientati su posizioni conservatrici a votare per una candidata assimilabile ad un profilo “moderato” assai più rassicurante di un Trump che non solo insiste nel non riconoscere i risultati delle scorse presidenziali – rivendicando implicitamente l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio – ma che potrebbe replicare, in caso di nuova sconfitta, lo stesso scenario eversivo di inizio 2021.
La vicepresidente sembra voler andare molto al di là della caccia ai voti centristi tipica delle competizioni in sistemi elettorali maggioritari.
Centinaia di dirigenti e funzionari repubblicani sostengono Kamala Harris
Allo scopo Harris è riuscita a mobilitare nelle ultime settimane diverse centinaia di membri e dirigenti del Partito Repubblicano che di fatto si sono prestati ad affiancarla o a sostenerla in diverse iniziative. Tra i più noti e influenti occorre annoverare esponenti ultraconservatori come Liz Cheney o Adam Kinzinger. Se vincerà, ha promesso la vice di Biden, nominerà ministro un membro della corrente repubblicana “moderata”.
La scorsa settimana Harris è stata affiancata durante un comizio in Pennsylvania da oltre 100 ex funzionari eletti repubblicani, assistenti e leader della sicurezza nazionale che hanno sostenuto la sua candidatura contro Trump.
La vicepresidente può ora vantare anche il sostegno del noto opinionista di destra Charlie Sykes. Ex conduttore radiofonico in un’emittente di Milwaukee, in passato Sykes si è riferito all’ex first lady Michele Obama utilizzando termini razzisti e ha spesso suggerito che non meglio identificate “forze oscure” fossero coinvolte in frodi elettorali dirette a manipolare i risultati di alcune competizioni locali.
Come se non bastasse, 741 ex funzionari delle agenzie di sicurezza nazionale e dell’esercito, di fede democratica ma anche repubblicana, hanno firmato un appello di sostegno a Kamala Harris. Nella lettera aperta si afferma che le elezioni del 5 novembre rappresentano “una scelta tra una leadership seria e un’impulsività vendicativa (…) Sappiamo che il vicepresidente Harris sarebbe un eccellente comandante in capo, mentre il signor Trump ha dimostrato di non essere all’altezza del compito”.
Il documento segue di pochi giorni la presa di posizione analoga da parte di 111 ex funzionari delle agenzie di sicurezza nazionale, tutti repubblicani, che avevano definito Trump “inadatto a ricoprire nuovamente il ruolo di presidente”.
La strategia di Harris sembra dare i suoi frutti se un sondaggio del New York Times afferma che ben il 9% degli elettori repubblicani registrati ha dichiarato di voler votare per la candidata democratica, in aumento rispetto al 5% del sondaggio precedente.
Harris promette una stretta sull’immigrazione
Per aumentare l’appeal nei confronti dell’elettorato “conservatore” e di destra, nei giorni scorsi Kamala Harris ha corretto il tiro su un argomento molto sensibile come il contrasto all’immigrazione, chiarendo che un eventuale suo mandato presidenziale non sarebbe semplicemente una continuazione di quello realizzato da Joe Biden.
Nel corso di un’intervista a Fox News, importante emittente televisiva che alcuni anni fa ha rotto con Donald Trump ma che rimane su posizioni nettamente di destra e il cui pubblico è ovviamente schierato su posizioni conservatrici, la vicepresidente ha dichiarato di non sostenere più alcune delle politiche progressiste sull’immigrazione da lei difese durante la campagna elettorale del 2020.
Tra queste vi è la proposta di consentire agli immigrati irregolari di richiedere la patente di guida e di ricevere l’assistenza sanitaria pubblica. Harris ha anche affermato di non sostenere più la depenalizzazione degli attraversamenti illegali della frontiera con il Messico per incentivare al esempio i ricongiungimenti familiari o in altre circostanze.
La candidata democratica ha anche accusato i senatori repubblicani di aver bloccato, su ordine di Trump, una proposta di legge bipartisan che avrebbe introdotto nuove restrizioni per i richiedenti asilo e aumentato il numero di agenti della ‘Border Patrol’ impiegati lungo il confine con il paese confinante.
Il disegno di legge avrebbe stanziato 20 miliardi di dollari per l’assunzione di oltre 4.000 funzionari addetti alle domande di asilo e l’acquisto di tecnologie di screening antidroga nei porti di ingresso. Avrebbe inoltre stanziato 8 miliardi di dollari per le strutture di detenzione degli immigrati irregolari al fine di aggiungere 50.000 posti letto a quelli già esistenti.
Se fosse stata approvata (e Kamala Harris promette di farlo nella prossima legislatura), questa norma bipartisan avrebbe rappresentato la maggiore restrizione nei confronti dell’immigrazione degli ultimi decenni.
“Donald Trump è venuto a conoscenza di quella legge e ha detto ai senatori repubblicani di bocciarla perché preferiva sfruttare elettoralmente un problema anziché risolverlo” ha commentato Kamala Harris lasciando intendere di essere più efficiente, nel contrasto all’immigrazione illegale, rispetto al suo sfidante che pure promette di sigillare la frontiera e di realizzare una deportazione di massa dei migranti irregolari espellendone milioni.
“Se qualcuno entra in casa mia gli sparo”
Lo staff di Kamala Harris sa bene che l’elettorato repubblicano, così come quello democratico più moderato, è assai sensibile al dogma delle “armi libere”, nonostante le continue stragi provocate nel paese dall’estrema facilità con cui chiunque può entrare in possesso di armi da guerra.
La candidata democratica ha utilizzato un talk show tra i più seguiti per lanciare un messaggio all’elettorato di destra, rassicurandolo sul suo rispetto del Secondo Emendamento della Costituzione, quello che consente ai cittadini di portare armi. Ad Harris è bastata una breve battuta, buttata lì. Alla fine di settembre, durante una chiacchierata con la conduttrice Oprah Winfrey, la vicepresidente ha detto: “Se qualcuno entra in casa mia io gli sparo”.
Intanto a Seattle, nello stato di Washington, l’altro ieri un adolescente ha sterminato cinque componenti della sua famiglia.
Si tratta del venticinquesimo “omicidio di massa” – come il Gun Violence Archive classifica le stragi con più di quattro vittime – negli Stati Uniti dall’inizio dell’anno. Le “sparatorie di massa” invece – che includono anche gli episodi in cui ci sono stati almeno quattro feriti – sono state nel 2024 ben 425. Nessuno dei due candidati in lizza per la Casa Bianca, però, si impegnerà per ridurre la circolazione delle armi nella società americana. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria