di Antonella D’Agostino –
Pagine Esteri, 26 novembre 2024. Il 24 novembre si è conclusa la conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP29), tenutasi nella capitale azera di Baku. L’accordo, che prevede un finanziamento di 300 miliardi di dollari all’anno per aiutare i Paesi più poveri a combattere il cambiamento climatico, è stato definito insufficiente dai destinatari.
Nonostante l’obiettivo adottato sia di circa 1,3 trilioni di dollari all’anno entro il 2035, solo 300 miliardi di dollari annuali sono stati stanziati dai Paesi ricchi per sovvenzioni e prestiti a basso interesse. Lo scopo è aiutare i Paesi in via di sviluppo nel loro passaggio verso economie a basse emissioni di carbonio e nella lotta al cambiamento climatico. Infatti, la conferenza ha evidenziato la responsabilità finanziaria dei Paesi industrializzati, causa della maggior parte delle emissioni di gas serra nel corso della storia. Una grande fetta dei finanziamenti dovrebbe provenire da investimenti privati ma anche da altre fonti, ad esempio le imposte proposte sui combustibili fossili e sui frequent flyer.
I negoziati si sarebbero dovuti concludere venerdì ma si è giunti a un accordo solo dopo molte negoziazioni: l’assemblea di sabato è stata interrotta perché i rappresentanti di alcuni Paesi in via di sviluppo e nazioni insulari sono andati via.
“Questo documento è poco più di un’illusione ottica”, ha affermato il delegato indiano Chandni Raina.
Il ministro dell’Ambiente della Sierra Leone, Jiwoh Abdulai, ha dichiarato che c’è una “mancanza di buona volontà” da parte dei Paesi ricchi nel sostenere i più poveri.
Una delle cause di discordia è l’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi con cui si vuole dare una struttura sia al commercio diretto di quote di carbonio tra Paesi, sia al mercato regolamentato dalle Nazioni Unite. Questo perché sono state approvate delle norme che permettono ai Paesi ricchi di acquistare, dai Paesi in via di sviluppo, delle “compensazioni” per la riduzione delle emissioni di carbonio. Da un lato, i sostenitori dell’iniziativa credono che questa possa incentivare gli investimenti nei Paesi in via di sviluppo, in quanto molti crediti di carbonio si generano con attività di riforestazione, protezione dei pozzi di carbonio e transizione verso l’uso di energia pulita. Dall’altro lato, gli oppositori sono allarmati dall’assenza di rigide misure di salvaguardia, utili a evitare un greenwashing sugli obiettivi climatici che consentirebbe ai principali inquinatori di ritardare le riduzioni delle emissioni. Inoltre, il mercato del carbonio non regolamentato è stato già al centro di scandali in passato.
A ciò si aggiungono le parole del presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, che ha definito le risorse di combustibili fossili un “dono di Dio “.
A peggiorare la situazione è stata l’elezione di Donald Trump, il quale ha dichiarato di voler rimuovere nuovamente gli Stati Uniti dalla cooperazione internazionale sul clima, definendo il cambiamento climatico una bufala.
Nel mentre, i disastri climatici continuano a colpire diverse parti del mondo, mietendo milioni di vittime: inondazioni diffuse in Africa, frane mortali in Asia e siccità in Sud America; piogge torrenziali e inondazioni in Spagna e 24 disastri ambientali solo negli Stati Uniti.
Alcuni scienziati e attivisti, tra cui l’ex Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, hanno definito il processo COP come “non più adatto allo scopo”.
Intanto, da fine novembre 2023, le autorità azere hanno dato inizio a una campagna di arresti di giornalisti e attivisti. Secondo l’IPI, finora sono 18 i giornalisti arrestati con false accuse di contrabbando di valuta ed estorsione. Inoltre, è stato confermato che molti detenuti siano stati sottoposti a torture e maltrattamenti.
“L’IPI è profondamente preoccupato per la debole reazione a questa situazione da parte della comunità internazionale, che non è riuscita a rispondere a questi gravi attacchi alla libertà di stampa. Baku è stata persino ricompensata con la possibilità di ospitare la conferenza annuale sul clima COP”. Pagine Esteri