di Michele Giorgio*

(foto fermo immagine da Youtube)

Pagine Esteri, 28 novembre 2024 – Se dall’altra parte del confine migliaia di sfollati libanesi ieri, tra mille difficoltà, passando accanto a postazioni e mezzi corazzati israeliani, ritornavano a casa nel Libano del sud festeggiando la tregua, sul versante israeliano sono stati pochissimi gli sfollati che hanno scelto di tornare nei centri a ridosso del confine dove abitavano. Il cessate il fuoco è stato accolto con disappunto da buona parte dei 60mila sfollati israeliani che, nell’ultimo anno, sono stati la voce più alta a sostegno della «soluzione radicale» in Libano, a Gaza, contro l’Iran e in tutto il Medio Oriente affermata più volte dal premier Benyamin Netanyahu. «Dalla vittoria totale alla resa totale», ha scritto il giornale Yediot Ahronot dando voce alla contestazione degli israeliani che ritengono insufficienti i risultati ottenuti da Israele al tavolo delle trattative.

Benyamin Netanyahu

«Questo accordo avvicina la minaccia del 7 ottobre al nord. Come siamo passati dalla vittoria totale alla resa totale? Perché non abbiamo finito ciò che avevamo iniziato?», ha protestato Avihay Stern, sindaco di Kiryat Shmona, cittadina a ridosso del confine e bersaglio dei lanci di razzi di Hezbollah. Moshe Davidovich, capo del Consiglio regionale di Mateh Asher nella Galilea occidentale, ha parla di «accordo farsa». Non festeggia la tregua neanche il centrosinistra all’opposizione, che accusa Netanyahu di aver «barattato» la sicurezza del nord di Israele per l’assicurazione ottenuta dalla Francia che, secondo il quotidiano Haaretz, non rispetterà i mandati di arresto emessi dalla Corte penale internazionale (Cpi) contro di lui e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant per crimini di guerra a Gaza.

Netanyahu ieri ha cercato di correre ai ripari, tuonando contro il ritorno degli sfollati libanesi alle loro case, avendo realizzato che gli israeliani non si sono fatti convincere dal suo proclama di «vittoria schiacciante» su Hezbollah. «L’esercito (israeliano) ha arrestato quattro agenti di Hezbollah, tra cui un comandante locale, che erano entrati nell’area vietata, e continuerà ad agire duramente contro qualsiasi violazione dell’accordo», ha comunicato l’ufficio del primo ministro. Quindi è giunto l’annuncio dell’esercito che ha imposto il coprifuoco nei villaggi del Libano del sud occupati nelle settimane passate. Per molti israeliani in ogni caso parlano molto più chiaramente le immagini che giungono dal Libano con le bandiere gialle del movimento sciita che sventolano in tutto il sud del paese dei cedri a celebrare la resistenza armata dei combattenti sciiti. Inoltre, Hezbollah ha annunciato che terrà funerali pubblici e solenni per il suo leader, Hassan Nasrallah, assassinato da Israele lo scorso 27 settembre con un raid aereo.

Un sostenitore di Hezbollah mostra un poster con Hassan Nasrallah, il leader del movimento sciita assassinato da Israele

Abbiamo chiesto a Diana Buttu, analista di Haifa ed esperta di diritto internazionale, un giudizio sulle contestazioni in Israele dell’accordo di tregua. «Non mi sorprendono queste reazioni nella società e nella politica israeliana, perché Netanyahu non ha raggiunto nessuno degli obiettivi che aveva dichiarato lanciando l’attacco al Libano», afferma Buttu «aveva detto che l’offensiva aerea e di terra avrebbe riportato nelle loro case gli israeliani sfollati dal nord e dalle aree a ridosso del confine. Aveva anche parlato di distruzione di Hezbollah, della costituzione di una zona cuscinetto (in Libano) e atro ancora. In realtà Israele non ha fatto altro che causare distruzioni enormi e migliaia di morti in Libano come è accaduto a Gaza. Ha assassinato i leader di Hezbollah senza riuscire a sconfiggere sul terreno il movimento sciita che, peraltro, ha continuato a lanciare razzi. Netanyahu è stato capace soltanto di separare il Libano da Gaza, non è detto però che la cosa vada necessariamente a vantaggio di Israele perché si moltiplicano gli appelli a favore di una tregua subito anche nella Striscia».

Festeggiamenti in Libano per il cessate il fuoco

Netanyahu intanto fa pressioni sugli alleati occidentali affinché ignorino il mandato di arresto internazionale. Al G7 il ministro degli esteri italiano Tajani ha espresso forti dubbi su «fattibilità» dell’arresto del premier israeliano e la Francia afferma che Netanyahu gode di immunità perché Israele non fa parte della Cpi. Netanyahu afferma di non credere alla legittimità della Corte, ma fa sapere che presenterà ricorso contro il mandato d’arresto. «Siamo davanti a delle assurdità» commenta Butti che comunque si dice ottimista rispetto all’atteggiamento europeo nonostante i segnali ambigui che arrivano dal vecchio continente. «I paesi dell’Ue che riconoscono la Cpi sono tenuti ad arrestare Netanyahu, conta poco il giudizio politico dei loro governanti. In ogni caso non c’è solo l’Europa. Tanti altri Stati del mondo si sono detti pronti ad attuare il mandato di arresto. E anche se nessuno rispetterà la decisione della Cpi, su Netanyahu comunque resterà per sempre la macchia dell’accusa di crimini di guerra e contro l’umanità a Gaza. Il problema sono gli Stati uniti, contrari al mandato di arresto e che faranno di tutto per imporre la loro visione ai loro alleati. Il danno però è fatto, Israele passerà alla storia come uno Stato che ha avuto un primo ministro accusato di crimini di guerra. E non dimentichiamo Gallant, che oggi non è più ministro e rischia seriamente di essere arrestato».

Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre dal quotidiano Il Manifesto