di Michele Giorgio*
Pagine Esteri, 3 dicembre 2024 – Caduta Aleppo, si combatte intorno a Hama. Ieri migliaia di miliziani di Ha’yat Tahrir al Sham (Hts) e di altre formazioni jihadiste appoggiate dalla Turchia hanno ripreso ad avanzare verso la città un tempo roccaforte dell’islamismo sunnita. Incontrano la resistenza delle forze governative che sembrano aver in parte ricompattato i ranghi dopo il crollo ad Aleppo. I vertici delle forze armate riferiscono di aver ucciso almeno 400 jihadisti nelle ultime ore con l’appoggio dell’aviazione russa. Affermano che «tutte le voci sulle organizzazioni terroristiche che controllano aree, città e villaggi sono false». Lo stesso Bashar Assad – per qualcuno è ancora fuori dal paese – durante un colloquio telefonico col suo omologo iraniano Masoud Pezeshkian, ha ribadito «la determinazione della Siria e del suo esercito nel combattere il terrorismo su tutto il territorio nazionale» ottenendo l’appoggio incondizionato dell’Iran.
Parole che non bastano a migliorare il quadro bellico a favore dell’esercito siriano. I qaedisti di Hts stanno tentando di accerchiare Hama su tre lati per impedire ai rinforzi sciiti iracheni – Brigate Hezbollah e Fatimiyoun – e iraniani di portare aiuto ai governativi. L’avanzata procede lungo due direttrici: verso Mataban e Qalaat al Madiq sul fiume Oronte, e a nord-ovest su Sqeilbiye. Avere notizie precise sull’andamento della battaglia non è semplice. Tuttavia, più di un osservatore sottolinea che senza l’appoggio dell’aviazione, in particolare di quella russa – avrebbe fatto anche 25 vittime civili secondo alcune fonti – e l’arrivo delle milizie alleate irachene e iraniane i governativi difficilmente riusciranno a respingere l’assalto dei jihadisti ben armati ed equipaggiati grazie ai loro sponsor regionali e internazionali.
Damasco inoltre non può contare sull’aiuto pieno degli alleati meglio addestrati e motivati, i combattenti del movimento sciita Hezbollah rientrati in gran parte Libano e che, ci spiegavano fonti libanesi, segnalano ora di poter offrire un aiuto limitato alle forze regolari siriane. Uomini di Hezbollah comunque restano a presidio del confine tra Libano e Siria e sarebbero pronti ad intervenire per difendere la città di Homs e Qusair. Dovessero cadere nelle mani di Hts, si interromperebbero i rifornimenti per Hezbollah. L’attenzione si concentrata ora su cosa accadrà a Daraa, teatro quasi 14 anni fa della prima aperta contestazione di Bashar Assad e dove le forze jihadiste godono di parecchi consensi. Invece nella città drusa di Suwaida, che pure per mesi è stata il centro di proteste contro Damasco, la popolazione teme i miliziani qaedisti.
A differenza di gran parte dei media occidentali e di quelli delle petromonarchie del Golfo che continuano a descrivere le forze di Hts come «ribelli» che lottano contro «il regime brutale del dittatore Assad» per instaurare la democrazia in Siria, tanti cittadini siriani, anche quelli contro Damasco e il presidente, sanno bene, senza fronzoli né abbellimenti, che in Siria è in corso da anni una guerra civile su base settaria. È sufficiente leggere quanto viene scritto e postato in questi giorni sui social: l’identità nazionale siriana non c’è più, scompare nelle discussioni a favore di una identità settaria/religiosa.
Fin dall’inizio dell’operazione «Deterrenza dell’aggressione» non vi è stato alcun tentativo di nascondere la dimensione settaria del conflitto da parte proprio di Hay’at Tahrir al-Sham. Siriani che vivono da decenni negli Usa o in Europa celebrano le vittorie ottenute dai jihadisti senza pensare alle ricadute sul tessuto sociale del loro paese d’origine. Video girati ad Aleppo mostrano combattenti di Hts che si identificano come «mujahhedin sunniti» pronti ad avere un «dialogo» con i siriani cristiani applicando (per ora) le istruzioni ricevute dal loro leader Abu Muhammad al Julani. Una strategia di pubbliche relazioni che non inganna nessuno perché Al Julani governa da anni la provincia di Idlib sotto l’ala protettrice della Turchia e lo fa con la repressione, gli arresti di oppositori, gli omicidi e la discriminazione religiosa.
Fanno sorridere le preoccupazioni di Erdogan per la «stabilità della Siria». In realtà il successo dell’avanzata jihadista offre a Erdogan l’opportunità per rimpatriare almeno una parte dei profughi siriani che da anni vivono nel suo paese, oltre a indebolire quelli che descrive come «i terroristi curdi». Gli interessi di parti occidentali e regionali nella crisi siriana sono enormi, inclusa l’Ucraina che in Siria fa la guerra alla Russia. Ieri l’agenzia Reuters ha rivelato le discussioni avute da Stati uniti ed Emirati, pronti a revocare le sanzioni alla Siria – che scadono il 20 dicembre – se Assad prenderà le distanze dall’Iran e fermerà i rifornimenti di armi per Hezbollah come vuole Israele. I «ribelli» ringraziano Israele per aver costretto Hezbollah a lasciare la Siria. Intervistato dalla televisione pubblica israeliana Kan, un «ribelle» ha detto che «L’Iran e il regime (siriano) non si sarebbero indeboliti senza i recenti attacchi israeliani in Siria». Sempre a Kan un altro «ribelle» dell’area di Idlib ha detto che l’opposizione siriana è «molto soddisfatta» delle azioni di Israele contro Hezbollah e altri gruppi sostenuti dall’Iran. «Amiamo Israele e non siamo mai stati suoi nemici… Non vi odiamo, vi amiamo molto», ha aggiunto. L’analista israeliano Mordechai Kedar ha esortato a stabilire un’alleanza con i jihadisti siriani perché, ha spiegato, sono contro l’Iran e Hezbollah. Pagine Esteri
*questo articolo è stato pubblicato il 3 dicembre dal quotidiano Il Manifesto