di Maurizio Zullo
Pagine Esteri, 20 dicembre 2024 – Gli eventi delle ultime settimane e il dislocamento di militari nazionali in territorio regionale del Jubbaland, come conseguenza alla “vittoria bis” ottenuta dal Presidente Regionale Madobe, mostrano ancora evidenti segni di incongruenza. Se da un lato pare quasi eradicato il fenomeno Al Shabaab, dall’altro sui monti alle spalle di Boosaaso le forze dell’Isis si stanno riattrezzando.
La fase di capacity building – tanto sostenuta e comunque marciante – sembra proprio non voglia agganciare il volano principale per decollare fino a stabilizzare le condizioni al contorno. Questa instabilità fa anche i conti con interessi internazionali ben consolidati e altri in via di affermazione, che le sfere politico-amministrative governano in maniera solitaria o di gruppo e questo in maniera risoluta. E un caso si sta dimostrando esemplare.
La Turchia e il suo establishment gestionale, militare e del business ha ormai messo le radici in Somalia. La “lungimiranza islamica” con cui il presidente Recep Tayyip Erdoğan è in atto, è di grande efficacia e concede al paese Ottomano di primeggiare in Somalia su tutti gli altri stakeholders e investors. Ma c’è un episodio, si direbbe “un punto critico”, che è rimasto alle cronache per il tempo necessario, senza che alcun commentatore o analista ne abbia considerato l’importanza per l’andamento delle relazioni in continuo sviluppo tra Ankara e Mogadishu.
Dopo l’addestramento militare offerto sia in Turchia sia sul suolo del Corno ai reparti speciali GorGor, seguito dalla presenza di truppe di Ankara e droni in Somalia – questi utili nella battaglia ancora in corso con Al Shabaab – e gli interventi per le strutture ospedaliere, caserme e scuole militari, luoghi di culto ed altro ancora, adesso è arrivato il momento dell’“oro nero” e dei giacimenti di gas sottomarino. Gli interessi in campo sono enormi e al fine di farli prevalere non si esita ad “oscurare” episodi ed eventi che potrebbero turbarli.
Ci riferiamo all’incidente stradale occorso il 30 novembre 2023, poi divenuto mortale, sulle strade di Istanbul in cui è stato coinvolto il figlio del Presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud, di nome Mohammed. Quest’ultimo, alla guida di un’auto con targa diplomatica e nei pressi di un incrocio stradale a più corsie, in pieno giorno, ha tamponato una moto guidata da un consegnatario di “food take away”, Yunus Emre Göçer, come hanno accertato le indagini della Polizia turca (ci sono anche dei tracciati video di camere di sicurezza stradale, rimandati su piattaforma X dal sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu).
Alcuni quotidiani turchi scrissero subito dopo l’incidente che il corpo di Gocer fu sbalzato in aria e nella ricaduta subì ferite molto gravi. I mezzi di soccorso lo trasportarono rapidamente in ospedale per sottoporlo alle terapie d’urgenza ma, il 6 dicembre, Gocer spirò in ospedale. Il rapporto della polizia stabilì che Gocer non aveva effettuato manovre azzardate di alcun tipo, pertanto non aveva avuto responsabilità di alcun tipo nell’incidente. Eppure, a chiusura delle indagini preliminari, Mohammed Mohamud venne rilasciato senza condizioni cauzionali. E in virtù di ciò lasciò la Turchia grazie anche all’immunità diplomatica.
La morte di Gocer riaprì il caso e gli inquirenti dopo aver analizzato nuovamente le immagini e altri elementi, determinarono una responsabilità di rilievo per il figlio del Presidente somalo, colpevole di negligenza alla guida. Pertanto la Turchia fu costretta ad emettere un mandato di cattura internazionale per il figlio del presidente somalo e i pubblici ministeri richiesero una condanna a sei anni di detenzione. Mohammed Mohamud tornò in Turchia per il processo ma, con sorpresa di molti, i giudici lo condannarono ad appena due anni e mezzo di carcere, pena poi convertita in una sanzione pecuniaria di sole 27mila lire turche (9mila dollari), perché l’imputato “aveva mostrato rimorso durante le batture processuali” secondo un servizio televisivo della Bbc in lingua turca.
Immediate le proteste delle opposizioni politiche e, soprattutto, di Imamoglu. “Abbiamo detto che avremmo seguito il processo legale, ma l’indagato ha lasciato la Turchia con le mani libere. Il dolore della famiglia della vittima è aumentato ancora di più. La mentalità che chiude un occhio e permette questa fuga, purtroppo, è troppo debole per difendere i diritti dei propri cittadini nel proprio paese“, ha scritto sui social il sindaco di Istanbul.
Amici, parenti di Gocer e una parte considerevole dell’opinione pubblica manifestarono forte sdegno per la decisione di lasciar partire il figlio del presidente somalo, evidentemente per motivi di opportunità diplomatica e alla luce delle relazioni e degli interessi bilaterali a scapito della giustizia.
A questo punto torna prepotente la questione dell’“oro nero”. Va annoverato che, in concomitanza con la elezione nel 2022 del predecessore di Hassan Sheikh Mohamud (l’allora Presidente Mohamed Abdullahi Mohamed), c’era già stato un accordo commerciale per esplorazioni petrolifere su un certo numero potenziale di bacini, con la statunitense Coastline Exploration Ltd, che ha visto alterne vicende: fu dichiarato nullo e intervenne in difesa di ciò anche il Procuratore Generale della Somalia. L’accordo poi è stato riformulato a seguito della nomina di Mohamud a fine 2022. Ma la spettacolarità “dell’evento o avvento Turco” la dice lunga.
Testate nazionali dei due Paesi e altre internazionali hanno costantemente parlato nei mesi scorsi di una nave sismografica, la Oruc Reis, per la ricerca di giacimenti sottomarini in procinto di salpare da Istanbul per la Somalia. Lo scorso ottobre, scortata anche da mezzi navali militari – autorizzati, questi ultimi, dal Parlamento Turco come richiesto dal Presidente Recep Tayyip Erdoğan – la Oruc Reis ha fatto rotta su Mogadishu giungendovi a fine mese, accolta dagli Onori Militari, dalle Alte Cariche della Repubblica e dalla Banda Militare.
Erdogan punta con forza sul ruolo e sul peso della Turchia nel Corno d’Africa per motivi politici, strategici ed economici. Ritiene di poter svolgere anche una importante funzione di mediazione nelle controversie in quella regione. Ora è riuscito a far sedere e ad accordare inizialmente il premier etiope Abiy Ahmed Ali con Hassan Sheikh Mohamud a proposito della questione spinosa del futuro della regione del Somaliland e l’affaccio a mare per la “Grande Etiopia”, vicenda che tiene con il fiato sospeso mezzo mondo per le sorti del Corno d’Africa. Pagine Esteri